Pubblicata dall’Agenzia europea dell’ambiente la prima valutazione continentale
Eea, l’Europa non si sta adattando abbastanza velocemente al clima che cambia
«I responsabili politici europei e nazionali devono agire immediatamente con interventi volti a limitare i rischi climatici». Gli Stati del sud, come l’Italia, sono particolarmente esposti ai rischi
[11 Marzo 2024]
Dopo un anno e mezzo di lavoro da parte di oltre sessanta esperti, l’Agenzia europea dell’ambiente (Eea) ha pubblicato oggi la prima Valutazione europea dei rischi climatici, coordinata insieme al Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc).
Si tratta del documento chiamato a valutare come il Vecchio continente si sta adattando (o meno) alla crisi climatica in corso, col suo corredo di caldo estremo, siccità, incendi boschivi e inondazioni.
Eventi estremi che sono ormai destinati ad acuirsi anche in base agli scenari climatici più ottimistici, sebbene resti una differenza enorme in termini d’impatto tra un clima a +1,5°C rispetto all’era pre-industriale – l’obiettivo di riferimento per la comunità scientifica e l’Accordo di Parigi sul clima – e uno a +2,5-2,9°C, come quello cui stanno portando gli attuali impegni climatici.
Già oggi, gli effetti del clima che cambia si stanno ripercuotendo con particolare forza in Europa, ovvero nel «continente che sta registrando i più rapidi aumenti delle temperature al mondo», come sottolinea la Eea e come mostra in particolare l’Italia, dove la crisi climatica marcia a velocità quasi tripla rispetto alla media internazionale.
«L’Europa si trova di fronte a rischi climatici urgenti che si acuiscono più rapidamente di quanto le nostre società riescano a prepararsi – dichiara Leena Ylä-Mononen, direttrice esecutiva della Eea – Per garantirne la resilienza, i responsabili politici europei e nazionali devono agire immediatamente con interventi volti a limitare i rischi climatici, sia mediante una rapida riduzione delle emissioni sia con l’attuazione di politiche e di interventi di adattamento forti».
Il rapporto individua 36 principali rischi climatici, suddividendoli in 5 grandi gruppi: ecosistemi, alimenti, salute, infrastrutture, economia e finanza.
Dalla Valutazione emerge che «sono già necessari interventi più incisivi per oltre la metà dei principali rischi climatici individuati dalla relazione, di cui 8 da attuare con particolare urgenza, principalmente per preservare gli ecosistemi, limitare l’esposizione umana al calore, proteggere la popolazione e le infrastrutture da inondazioni e incendi boschivi e garantire la sostenibilità dei meccanismi di solidarietà europei, come il Fondo di solidarietà dell’Ue».
Ad esempio, i rischi per gli ecosistemi marini e costieri sono valutati come «particolarmente gravi» e con profonde conseguenze per i cittadini in termini di ricadute su produzione alimentare, salute, infrastrutture ed economia. Basti osservare che il Veneto rischia di perdere il 21% del proprio Pil al 2100, solo per quanto riguarda i rischi legati all’innalzamento del mare.
«L’innalzamento del livello dei mari e i cambiamenti dei modelli evolutivi delle perturbazioni – argomenta la Eea – possono causare effetti devastanti sulle popolazioni, sulle infrastrutture e sulle attività economiche». Eppure l’Italia preferisce spendere 10 volte di più per affrontare le emergenze, anziché investire negli interventi di prevenzione contro il dissesto idrogeologico.
Per quanti pensano che l’adattamento alla crisi climatica possa declinarsi semplicemente nella stipula di polizze assicurative, la Eea spiega chiaramente perché un approccio simile è largamente insufficiente: l’aggravamento degli impatti climatici può infatti «ampliare il vuoto assicurativo, tra la copertura da parte delle assicurazioni private e le perdite effettive, rendendo più vulnerabili le famiglie a basso reddito».
Anziché demandare l’adattamento al mercato, occorre piuttosto riconoscere che la maggior parte dei principali rischi climatici è «un fattore che interessa “congiuntamente” l’Ue, i relativi Stati membri e altri livelli di governo», che sono chiamati dunque a lavorare in coordinamento per risolverli.
Un tema che dovrebbe essere in cima alle priorità politiche soprattutto negli Stati dell’Europa meridionale – con l’Italia in prima fila – particolarmente esposti al clima che cambia.
In quest’area ad esempio «il caldo e la siccità sono all’origine di rischi concreti per la produzione, la distribuzione e la domanda di energia», e «anche gli edifici a uso residenziale devono essere adattati all’aumento delle temperature».
Inoltre i rischi posti dal caldo eccessivo e dalla siccità alla produzione agricola «sono già a un livello critico nell’Europa meridionale», seppur interessino anche i paesi dell’Europa centrale.
La Valutazione della Eea parla esplicitamente della siccità come di «una minaccia significativa per la produzione agricola, la sicurezza alimentare e l’approvvigionamento in acqua potabile».
Un contesto che rende ancora più surreali le recenti proteste degli agricoltori contro il Green deal, quando invece anche il settore primario è chiamato a cambiare per non essere travolto dalla crisi climatica.
«Una delle soluzioni – argomenta nel merito la Eea – potrebbe risiedere in un passaggio, anche parziale, dalle proteine di origine animale a quelle di origine vegetale ottenute da piante coltivate in modo sostenibile, che permetterebbe di ridurre il consumo di acqua in agricoltura e la dipendenza da mangimi importati».