Esportazioni: la Toscana migliore regione Italiane e meglio anche della Germania
Rapporto Irpet sull’economia toscana: «Nel 2015 l’uscita dalla crisi»
Rossi: «Ora investimenti, superare Fornero, patto con imprenditori e sindacati»
[3 Marzo 2015]
Secondo il rapporto “Una bassa competitività esterna: ma è questo il problema della Toscana?” presentato oggi dall’Irpet (Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana), «Con il 2014 si è chiusa, per la Toscana, la seconda fase recessiva – quella iniziata nel 2012, successiva a quella del biennio 2008/09 – che ha contrassegnato la lunga crisi: il PIL è rimasto sui livelli 2013 (+0,1% secondo le stime) mentre in Italia è ancora diminuito (dello 0,3%)». Quindi, il 2015 dovrebbe essere l’anno della definitiva uscita dalla crisi e l’Irpet stima che la crescita in Toscana sarà dell’1,1%, superiore a quella italiana ed aggiunge che «Se gli elementi di incertezza ancora presenti nello scenario nazionale e internazionale si sciogliessero, sarebbe possibile una crescita addirittura dell’1,7%».
All’Irpet però sottolineano che «Anche nel 2014 la Toscana, pur con una crescita poco distante dallo zero, ha realizzato un risultato migliore di quello delle altre regioni in virtù soprattutto delle buone prestazioni sui mercati internazionali. Non siamo però ancora usciti dalla fase recessiva che oramai prosegue da troppo tempo; stando alle attuali previsioni la ripresa viene , infatti, rimandata al 2015, quando si potrebbe collocare attorno all’1%. I riflessi di questo lungo periodo di difficoltà sono evidenti su tutti i fronti e sono tali da ritenere questa fase della nostra storia come assolutamente straordinaria. È evidente che vi è innanzitutto un problema nazionale, oltre che europeo, per cui la possibilità di uscire definitivamente dalla crisi dipende in larga misura da scelte che verranno fatte a tali livelli. Ciò non toglie, però, che il caso della Toscana sia utile da seguire, se non altro per il fatto che, sulla base di tutti gli indicatori disponibili, i comportamenti regionali sembrerebbero essere migliori di quelli delle altre regioni ad indicare che, pur in presenza delle gravi difficoltà avvertite da imprese, famiglie, pubblica amministrazione, vi sia da noi una maggiore densità di soggetti virtuosi in grado, probabilmente, di ricondurci sulla “diritta via” che si era smarrita».
La crescita è tuttavia insufficiente a sanare i problemi che anche l’economia toscana ha accumulato a causa della crisi: cali di PIL, occupazione, investimenti e un aumento consistente della disoccupazione.
In questi anni l’economia toscana ha mostrato una tenuta migliore rispetto dele altre regioni: secondo i 7 indicatori ISTAT per le regioni (PIL, consumi delle famiglie, investimenti, occupati, disoccupati, unità di lavoro, esportazioni) la Toscana è subito dopo il Trentino Alto Adige per capacità di tenuta e crescono le esportazioni: dal 2008 più 23%, una dato record in Italia e persino superiore alla Germania.
Quindi a pesare sull’econmomia toscana è il crollo della domanda interna e degli investimenti, «causato in larga misura dalle politiche di austerity imposte dall’Europa» e, mentre la domanda di servizi è rimasta sostanzialmente ferma, l’industria si è polarizzata, «da un lato con i successi delle imprese esportatrici, dall’altro con le difficoltà delle imprese orientate al mercato interno».
Nel 2014 l’occupazione in toscana sarebbe diminuita solo dell’1,7% rispetto all’inizio della crisi, nel 2008, ma il dato potrebbe alla fine essere addirittura del – 0,7%. Lavoratori autonomi e giovani sono le categorie più svantaggiata: «Il 26% dei giovani che nel 2009 cercava di lavoro (106 mila) non è riuscito trovarlo».
A destare grande preoccupazione è il calo degli investimenti: «E’ come se dal 2008 ad oggi non si fossero fatti 45 miliardi di investimenti (600 miliardi in Italia). Oggi gli investimenti hanno difficoltà a crescere perché le imprese hanno capacità produttiva inutilizzata, perché le aspettative sono ancora incerte, perché molte imprese non ci sono più; quindi il rilancio degli investimenti può partire solo dall’operatore pubblico».
La Regione Toscana rivendica di aver avviato investimenti in strade. aeroporti, porti, ferrovie per oltre 8 miliardi e che «una volta realizzati, consentiranno al sistema di essere più competitivo, innalzando la crescita di almeno lo 0,6%. Ma anche nella fase di cantiere essi genereranno domanda e posti di lavoro stimabili in oltre 15 mila l’anno (nell’ipotesi che i cantieri occupino un arco temporale di 10 anni)».
Poi ci sono i fondi strutturali per le imprese dinamiche «per garantire l’effettiva realizzazione di nuovi investimenti volti a rafforzare la capacità innovativa del sistema. Anche in questo caso gli oltre 3 miliardi di euro utilizzabili creeranno, nella fase di realizzazione degli interventi, altre 8 mila unità di lavoro l’anno; con un rafforzamento evidente della capacità produttiva quando gli interventi saranno operativi, rafforzamento che potrebbe consentire di occupare oltre 30 mila unità di lavoro».
Il presidente della Regione Enrico Rossi ha detto: «Siamo soddisfatti, ma non basta: ora è indispensabile rilanciare gli investimenti pubblici, occorrono, in Europa, migliaia di miliardi, serve un patto con imprenditori e sindacati per il lavoro, è necessario superare le rigidità prodotte dalla legge Fornero, urge un salario minimo per la disoccupazione, va combattuta la precarietà, ci vuole pace sociale perché con le tensioni sociali e il rancore non si va da nessuna parte. I dati ci dicono che siamo andati meglio degli altri, meglio delle regioni come la Lombardia, il Veneto, l’Emilia-Romagna, che tradizionalmente venivano indicate come le locomotive d’Italia, siamo andati meglio anche dei land della Germania. Questo significa che il nostro manifatturiero è stato capace di reagire meglio degli altri alla crisi, merito di quegli imprenditori che hanno saputo investire e dei lavoratori che hanno fatto sacrifici in questi anni durissimi. Merito di quei distretti industriali che qualche anno fa in molti davano per decotti, e che noi abbiamo difeso prendendoci anche le accuse di essere veteroindustriali. Ma se l’export della Toscana, ed export significa manifatturiero ci ha permesso di resistere meglio all’inferno della crisi, questo conferma quello che abbiamo sempre sostenuto come Regione, ossia la centralità del lavoro».
Rossi ha ripreso la citazione dantesca utilizzata dall’Irpet per presentare il suo rapporto: «Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita» e rilancia: «Ebbene, quell’”amor che move il sole e l’altre stelle” altro non è che il lavoro. Ma è ancora presto, secondo Rossi, per cantare vittoria: non basta una crescita dello zero virgola, o anche dell’uno-virgola per dire che siamo usciti dall’inferno della crisi, e che siamo “usciti a riveder le stelle”. Certo, se le cose fossero andate male tutti sarebbero stati pronti ad addossarne le colpe alla Regione; visto che siamo i migliori in Italia, perché il Trentino non fa testo grazie al regime agevolato di cui gode, questo significa che anche il nostro governo è stato migliore che altrove, comunque è certo che non ci siamo messi di traverso.”
Rossi ha ricordato alcuni degli interventi fatti e in itinere: «Piombino, Livorno, gli investimenti nelle infastrutture, la riforma della formazione, volta a garantire più efficacia agli interventi, la riforma della sanità, anch’essa volta a ottimizzare le risorse», ma sollecita un intervento forte dell’Europa: «Il piano Junker, così come è, rappresenta una piuma. Si parla di 300 miliardi in tre anni, per tutta l’Europa, in Italia arriverebbero 40 miliardi, sempre in tre anni, quando l’Irpet ci ricorda che solo la Toscana ha perso in questi anni oltre 40 miliardi di euro di investimenti. Dunque occorre un piano straordinario, che rilanci gli investimenti pubblici per migliaia di miliardi, che assomigli a quel piano Marshall che permise la ricostruzione del dopoguerra evocato da Stefano Casini Benvenuti, direttore dell’Irpet, nel suo intervento. Se Draghi con il suo piano ci dà una mano per gli investimenti privati, occorre che l’Europa vari un piano di migliaia di miliardi per sostenere gli investimenti pubblici, per dare una svolta in senso keynesiano alle politiche, come dice l’Irpet. E ricordo che Prodi aveva formulato una proposta in questo senso, basandosi sulle riserve auree dei singoli Stati. E’ una questione di scelte politiche. “Renzi si è già speso molto su questo, anche Tsipras, ma occorre una mobilitazione più ampia perché è una questione di tenuta futura della democrazia».
Secondo il presidente della Regione, «In Italia due sono le ricette fondamentali: il lavoro e la pace sociale. Con il Jobs Act alcune cose si sono fatte, nonostante non ne condivida alcuni aspetti, ma si tenta di superare la precarietà. Negli ultimi anni l’85% dei nuovi rapporti di lavoro erano precari e solo il 15% erano a tempo indeterminato, ora, quando parlo con i giovani, mi sento rispondere che un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, è qualcosa su cui vale la pena di giocarsela».”
Ma per Rossi bisogna fare altre due cose: «Superare la Fornero che è servita in un certo momento storico, ma ha introdotto troppe rigidità e dare un reddito minimo di cittadinanza a chi perde il lavoro, consentendogli di passare con più serenità da un lavoro ad un altro. Se la flessibilità non è un male lo è la precarietà. Ci vuole un patto con gli imprenditori e i sindacati, che riprenda quel rapporto che si è sfilacciato con il Governo, perché con il rancore non si va da nessuna parte. Credo che l’abbassamento dei tassi, quindi il minore debito pubblico e le risorse liberate dal prezzo del petrolio più basso possano dare al Governo le risorse per andare in questa direzione».
La conclusione di Rossi è che bisogna «Ribadire quel concetto che è fissato nell’articolo 1 della Costituzione: l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro».