Aamps, i rifiuti di Livorno tra autosufficienza impossibile e soluzioni (ancora) percorribili

Il punto essenziale rimane la capacità di incrociare il mercato dal punto di vista impiantistico: serve un piano industriale

[3 Giugno 2016]

Dopo mesi di vertenza Aamps, la “luce” in fondo al tunnel ha sempre più la forma del fallimento. Se non necessariamente economico (anche se il rischio è forte), almeno politico. E bipartisan. Non è e non vuole essere una gufata, è l’analisi dei fatti – e delle chiacchiere in assenza dei documenti – di ciò che è accaduto fino ad oggi. La discussione di stare dentro o fuori Retiambiente appassiona il giusto visto – il prossimo appuntamento della querelle è atteso con una sentenza del Tar –, e soprattutto non cambia il ragionamento di fondo.

A prescindere da Retiambiente, per Livorno i conti saltano se la strada che si vuole imboccare è quella dell’autosufficienza in fatto di gestione dei rifiuti. Anche l’alfiere della prospettiva “rifiuti zero”, ovvero Capannori, ha ritenuto opportuno lavorare all’interno dell’Ato Costa. Capannori è considerato il comune più “virtuoso” e più zero waste d’Italia e così già nel dicembre scorso gennaio ha motivato l’ingresso di Ascit – la società che gestisce i rifiuti sul territorio comunale – in seno al gestore unico: «Decidendo di stare all’interno del percorso decisionale di costituzione del nuovo gestore unico dei rifiuti dei Comuni della costa  – ha detto l’assessore Carmassi –  abbiamo collaborato alla definizione del nuovo sistema di gestione dei rifiuti. Lo dimostra anche il nuovo piano straordinario in cui sono stati inseriti criteri vicini alle nostre politiche, come ad esempio,  raggiungere il 70% di raccolta differenziata in almeno l’80% dei Comuni serviti. Tra i nostri contributi anche la  proposta di inserire nel bando per il gestore unico l’obiettivo di realizzare la tariffazione puntuale in tutti i Comuni dell’Ato».

Per Livorno la scelta di fondo non è quella di dire sì o no a Retiambiente, ma quella di gestire i rifiuti all’interno di un’ormai impossibile autosufficienza oppure calibrarsi all’interno di un territorio che garantisca flussi di materia ed economici sostenibili: il punto essenziale rimane la capacità di incrociare il mercato dal punto di vista impiantistico. Impossibile, invece, è pensare di dotarsi degli impianti necessari in funzione dei soli rifiuti provenienti dalla città di Livorno.

Ma torniamo ad Aamps. Prima strada: l’azienda punta all’autosufficienza. E non è neppure “costretta” a far confluire il servizio nel gestore unico come previsto dalla legge, perché alla fine dei ricorsi e delle sentenze ad oggi c’è in ipotesi anche questo risultato (anche se la nota recentemente prodotta da Regione Toscana ad Ato Costa sembra escludere decisamente tale possibilità). Che si fa a quel punto? Come si pensa di poter sostenere il business? Con i soli flussi di materia locali? E che si fa con l’unico impianto a disposizione che è un inceneritore, che peraltro l’amministrazione vuol spegnere? Si costruiscono impianti dedicati? Con quali soldi e quali costi? Come li si ammortizza? Qui l’unica possibilità – ed è un paradosso – è che si voglia aprire o riaprire una discarica.

Il già precario bilancio di Aamps ha tra i pochi punti “neri” (ovvero di segno più) i soldi che arrivano dall’impianto del Picchianti. Che brucia rifiuti non solo di Livorno. Se ad esempio Capannori, che porta i rifiuti a bruciare a Livorno, decidesse di non portarli più, il bilancio ne soffrirebbe. Non solo, visto che si pensa di incrementare il porta a porta, come si paga il servizio? Se si pensa che i soldi arrivino dalla migliore raccolta differenziata prodotta, qualcuno ci faccia vedere i numeri di come ci riesce perché saremo al limite della moltiplicazione del pane e dei pesci. Di fronte ai numeri che smentiscono questa nostra affermazione, ovviamente ci ricrederemmo. Ma vorremmo davvero sapere ad esempio dove l’umido raccolto si può portare senza pagare, perché già sarebbe un passo avanti. Ad oggi, l’umido lo si porta o in discarica (90 euro a tonnellata) o a un impianto di compostaggio (dove si paga comunque). Se l’impianto è di proprietà (costo, almeno 18 milioni di euro) l’esborso va ammortizzato vendendo il prodotto finito: ecco anche questa filiera virtuosa sarebbe opportuno conoscerla in dettaglio.

I soldi da tirar fuori sarebero tanti, quelli che arriverebbero dai guadagni sono tutti da dimostrare. Questa strada porta al fallimento, perché nessuna banca sosterrebbe un piano industriale e finanziario simile. Non è questa la strada per uscire dal tunnel dove Aamps – e insieme a lei tutti i cittadini livornesi che rappresenta – è stata imbottigliata, fino a diventare un’azienda che ad oggi non ha più le basi per produrre valore. In fatto di rifiuti, pensare di isolarsi in una bolla d’autosufficienza è una strategia dal sapore retrò che nel XXI secolo non paga.

Ci sarebbe un’altra strada? A nostro avviso sì. Rimanere in un’ottica di area vasta, eventualmente mantenendo – come già hanno fatto altri – la proprietà degli impianti, con l’obiettivo comune di costruire una vera filiera del riciclo. Costa poco, aumenta i lavoratori, abbassa le tariffe? No, costa molto, ma risponderebbe alle esigenze reali e non andrebbe tutto a bruciare o in discarica come qualcuno pensa. Si farebbe e bene la raccolta differenziata e si guadagnerebbe dove possibile e spenderebbe dove è inevitabile, senza “nascondere” più niente. Fantascienza? Se ci sono progetti concreti, ambientalmente ed economicamente sostenibili, sarebbe l’ora di tirarli fuori.

di Fabiano Alessandrini