Geotermia, ecco da dove arriva la CO2 rilasciata dalle centrali in Toscana
Sbrana (Università di Pisa): «Deve essere acquisito il concetto che l’anidride carbonica non viene prodotta, ma viene generata in maniera naturale»
[3 Ottobre 2018]
L’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), ovvero la massima autorità scientifica al mondo sul cambiamento climatico – responsabile delle analisi alla base delle Conferenze ONU sul clima, come quella che nel 2015 ha prodotto l’Accordo di Parigi –, ha da tempo inserito la geotermia all’interno del proprio Special report on renewable energy sources and climate change mitigation (Srren), certificando che il «diffuso dispiegamento dell’energia geotermica potrebbe svolgere un ruolo significativo nella mitigazione dei cambiamenti climatici», in quanto questa fonte rinnovabile ha il potenziale per fornire sul lungo termine un sicuro approvvigionamento per il soddisfacimento (grazie alla propria continuità produttiva) delle richieste energetiche di base-load (la domanda di base) e al contempo la riduzione nelle emissioni gas serra.
Eppure alcuni comitati e soggetti, critici verso l’impiego industriale delle risorse geotermiche naturalmente presenti nel sottosuolo, mettono in dubbio che la geotermia sia effettivamente una fonte energetica rinnovabile, e che non sia utile nella lotta ai cambiamenti climatici in quanto fonte di CO2. Non è così.
È vero invece che anche i migliori impianti geotermici non sono però (come del resto ogni attività umana) a impatto ambientale zero, e uno dei temi dibattuti al riguardo ha a che fare con le emissioni di CO2 in uscita dalle centrali. Da dove provengono? L’anidride carbonica «viene rilasciata (non prodotta) dalle centrali geotermiche», come documenta per Arpat (qui e qui) Alessandro Sbrana, professore ordinario di Geochimica e vulcanologia all’Università di Pisa. «Deve essere acquisito il concetto – “relativamente nuovo” per l’area geotermica toscana, osserva Sbrana – che l’anidride carbonica non viene prodotta nel ciclo di produzione geotermoelettrico, ma viene generata in maniera naturale (non dal processo industriale) nei serbatoi geotermici e nei sistemi magmatici/termometamorfici sottostanti per degassamento dai magmi più o meno profondi e per reazioni termometamorfiche. L’anidride carbonica viene emessa in atmosfera attraverso il degassamento diffuso dai suoli, come dimostrato da vari studi in varie aree del mondo inclusa la Toscana. L’anidride carbonica ha infatti la capacità di attraversare le coperture argillose dei sistemi geotermici e viene continuamente rilasciata in superficie in Toscana (Amiata e Larderello) in quantità molto elevate dell’ordine delle migliaia di tonnellate al giorno per ciascun sistema geotermico. Queste emissioni naturali sono di almeno un ordine di grandezza più elevate delle emissioni rilasciate dalle centrali geotermiche; inoltre l’anidride carbonica rilasciata dalle centrali è una parte della anidride carbonica che sarebbe comunque rilasciata naturalmente dal suolo attraverso il degassamento diffuso».
Ecco dunque che in questo caso l’anidride carbonica è probabilmente «un falso problema, perché questa specie gassosa viene emessa comunque dai suoli delle aree geotermiche e vulcano-geotermiche». Si tratta comunque di un problema che è possibile provare a gestire.
La centrale a ciclo binario prevista a Castelnuovo Val di Cecina, ad esempio, prevede «la reiniezione totale di gas incondensabili» nel sottosuolo, anche se – essendo una soluzione impiantistica nuova per il contesto toscano – andrà «valutata nell’attuazione concreta», tenendo inoltro conto che ad oggi non sappiamo se l’anidride carbonica «reimmessa rimarrà nei serbatoi geotermici oppure sarà di nuovo rilasciata in superficie». Altre soluzioni sono già in corso nelle centrali geotermiche a flash presenti in Toscana: l’anidride carbonica rilasciata dagli impianti non sempre è immessa in atmosfera, ma separata dal vapore e «utilizzata per processi industriali o agroalimentari».
Un processo che probabilmente sarebbe più facile finalizzare se, come aggiunge Giampaolo Manfrida (Università degli Studi di Firenze, chairman e rappresentante italiano Temporary Working Group Deep Geothermal – EU Set Plan), fosse adeguatamente incentivato: l’Italia «perse un treno importante quando non riuscì a livello europeo a far includere queste emissioni (complessivamente circa 2 Milioni di tonnellate/anno) nell’inventario delle emissioni di anidride carbonica (all’epoca – 2005 – circa 120 milioni di tonnellate/anno emesse dagli impianti di produzione energia elettrica). Ad oggi, il possibile sequestro di queste 2 Mton/anno non risulta pertanto incentivato […] è ingiusto che essendo classificate come naturali non ci sia nessun incentivo alla loro cattura e sequestro, che sarebbe molto interessante e potrebbe anche attrarre investimenti (in America – USA – ad esempio, EPA classifica le emissioni come “evitate” da dovunque siano originate; quindi la possibilità di sequestro di CO2 ad un prezzo di circa 20 €/ton avrebbe di fatto un valore commerciale di 40 M€/anno… a cui stiamo rinunciando)».
Pur tenendo conto della naturalità delle emissioni, il problema della CO2 rilasciata da centrali geotermiche è dunque un fronte su cui è possibile migliorare, adottando un variegato ventaglio di approcci. Ciò non toglie un dato di fondo: la Regione Toscana «ha la fortuna – conclude Sbrana – di possedere una risorsa rinnovabile locale che ha grandi possibilità di sviluppo senza un uso del territorio eccessivo puntando alle aree già in coltivazione e ad una loro estensione limitata (possiamo puntare in Toscana al raddoppio della produzione elettrica al 2050). Questo, assieme al mix di altre risorse rinnovabili, fotovoltaico con sistemi di accumulo in maniera particolare, può consentire la riduzione di importazione di energia e la transizione all’elettrico con grande vantaggio ambientale ed incremento di posti di lavoro ed economico mantenendo intatta la vocazione peculiare della nostra bella regione. Non dobbiamo – aggiunge infine il professore trascurare il ruolo che la geotermia a bassa temperatura può avere nella climatizzazione e nel teleriscadamento», essendo «in grado di migliorare in maniera molto importante l’impatto ambientale legato alla immissione di anidride carbonica e polveri sottili in aree urbane consentendo inoltre un considerevole risparmio energetico ed economico agli utilizzatori», tanto che la stessa Università di Pisa «sta sviluppando un nuovo polo didattico di grandi dimensioni climatizzato con pompe di calore geotermiche».