Il futuro della raffineria Eni di Stagno prende forma nel Pnrr, tra grandi interrogativi

Si indicano risorse Ue per finanziare la conversione dell’impianto alla produzione di biodiesel e per ricavare metanolo da rifiuti. Ma restano ignoti piano industriale e ricadute ambientali, sociali ed economiche

[31 Dicembre 2020]

Passando da una bozza “riservata” all’altra, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) inizia a prendere forma: dopo il documento provvisorio lasciato trapelare il 7 dicembre un altro è arrivato il 29, e di certo – viste le continue fibrillazioni nell’esecutivo – non sarà l’ultimo. Ogni valutazione definitiva nel merito sarebbe dunque prematura, ma di certo stupisce vedersi delineare nell’ultima bozza il futuro della raffineria Eni di Stagno quando (almeno ufficialmente) sul territorio non si sa praticamente niente sul relativo progetto industriale da quando è stato annunciato, nel luglio 2019.

Nell’ultima bozza del Pnrr, con cui il Governo è chiamato a delineare l’impiego delle risorse europee per la ripresa post-Covid, la raffineria a cavallo tra i territori di Livorno e Collesalvetti trova posto all’interno della scheda M2C1, quella che articola 6,3 miliardi di euro di investimenti nell’ambito della componente “Impresa verde ed economia circolare”.

Attingendo a queste risorse, il ministero dell’Economia – che insieme alla Cdp è l’azionista pubblico di riferimento di Eni – propone di puntare 1,35 miliardi di euro su sei diversi progetti dedicati alla “produzione di combustibili alternativi e/o biopolimeri”. Due di questi dovrebbero concretizzarsi, dal 2021 al 2024, nell’impianto di Stagno: il primo prevede di “convertire la raffineria di Livorno in una bioraffineria per produrre HVO (Hydrotreated Vegetable Oil)”, il secondo di “costruire un impianto integrato Waste to Methanol (WtM) presso la raffineria di Livorno per produrre idrogeno o metanolo da impiegare come combustibile derivato da carbonio riciclato”.

La bozza del Pnrr è avara di dettagli, ma sulle sue pagine Eni informa che HVO è il biodiesel che, addizionato al gasolio fossile in una quota pari a circa il 15%, va a comporre il carburante Enidiesel+; un carburante ottenuto tramite la tecnologia Ecofining a partire da oli vegetali (di quale provenienza, nei progetti per Livorno?) che già oggi il Cane a sei zampe produce a Venezia e Gela.

Per quanto riguarda invece l’impianto WtM, le uniche informazioni disponibili nel merito sono quelle rese note a partire da un anno e mezzo fa durante la presentazione dell’accordo nel merito siglato tra Regione Toscana, Eni e Alia: si tratterebbe cioè di un gassificatore in grado di gestire 200mila ton/anno (con un raddoppio in ipotesi al 2030) di plastiche non riciclabili e Css (Combustibile solido secondario da rifiuti), da cui ricavare metanolo. Nel luglio 2020 l’ipotesi progettuale è stata oggetto anche di un accordo siglato tra Eni e Corepla, ma ancora due mesi fa i sindaci di Livorno e Collesalvetti chiedevano fondi europei per la raffineria insieme alla necessità di “aprire un confronto con i Governi nazionali e regionale oltre che con Eni, per avere garanzie sul piano industriale”. Da allora non se n’è saputo più niente, fino all’ultima bozza del Pnrr.

Di certo in Toscana si presenta la necessità di incrementare e migliorare la dotazione impiantistica per la gestione dei rifiuti (urbani e speciali) prodotti sul territorio: non a caso si stima che almeno 8.760 tir carichi di spazzatura valichino ogni anno i confini regionali, con elevati costi ambientali (si pensi solo al relativo traffico e smog) oltre che per le aziende e per i cittadini, in termini di Tari più salate. Tanto che anche il Cigno verde e la Cgil regionali, nel luglio 2019, riservarono una pur interlocutoria apertura all’ipotesi di realizzare una bioraffineria a Stagno, naturalmente con la necessità preliminare di chiarirne i termini.

Da allora resta però intatta la necessità di una prospettiva industriale più chiara sugli investimenti previsti quanto sulle loro ricadute ambientali, sociali ed economiche. Chiarimenti che non sono ancora arrivati per quanto riguarda l’ipotesi del gassificatore, cui adesso nella bozza di Pnrr si aggiunge anche l’incognita dell’impianto HVO.

E se alla prima parte del mondo ambientalista guarda con interesse per saperne di più, sulla seconda le riserve potrebbero essere assai maggiori: dopo un esposto di Legambiente, Movimento Difesa del Cittadino e Transport & Environment, lo scorso gennaio l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) ha irrogato una sanzione da 5 milioni di euro a Eni per «la diffusione di messaggi pubblicitari ingannevoli utilizzati nella campagna promozionale che ha riguardato il carburante Eni Diesel+ […] L’ingannevolezza dei messaggi derivava in primo luogo dalla confusione fra il prodotto pubblicizzato EniDiesel+ e la sua componente biodiesel HVO (Hydrotreated Vegetable Oil), chiamata da Eni “Green Diesel”, attribuendo al prodotto nel suo complesso vanti ambientali che non sono risultati fondati».

Accuse che da Eni hanno rimandato al mittente, con Legambiente che invece continua a tenere il punto. Guardando al complesso dei sei progetti indicati nella bozza di Pnrr per la “produzione di combustibili alternativi e/o biopolimeri”, il vicepresidente del Cigno verde nazionale, Edoardo Zanchini, osserva: «Erano anni che Eni prometteva questi investimenti. Ora può farli con i fondi europei sottraendoli ad altri pubblici più utili e urgenti». Un commento cui si aggiunge quello caustico in arrivo dal presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani: «Sta circolando la seconda bozza del Pnrr, il Piano nazionale ripresa e resilienza, datata 29 dicembre. Stiamo chiedendo a gran voce un Piano “partecipato” e non “delle partecipate”. Leggendolo sembra il Piano “di una sola partecipata”. Quella che fattura ogni anno 70 miliardi di euro e che vuole farsi finanziare i suoi progetti con i soldi dei contribuenti europei. Quella che comunica dappertutto di essere green e che noi invece abbiamo fatto condannare per greenwashing».