Circa 2,8 mln di ton vengono gestite in regioni diverse da quelle di generazione
Il turismo dei rifiuti urbani, 62 mln di chilometri l’anno percorsi a spese nostre e dell’ambiente
Brandolini (Utilitalia): «Gli sforzi degli italiani nella raccolta differenziata devono essere premiati da un sistema che sia in grado di valorizzare al meglio i rifiuti»
[27 Ottobre 2021]
Il turismo dei rifiuti urbani, ovvero quel fenomeno per cui i rifiuti generati dai cittadini di una regione vengono gestiti altrove per carenza di adeguati impianti di prossimità, continua a crescere.
Rispetto all’analisi pubblicata lo scorso anno da Utilitalia – la federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche –, l’aggiornamento presentato oggi a Ecomondo mostra infatti dati in peggioramento: nel 2019 in Italia sono stati generati 30,1 mln di ton di rifiuti urbani, ma 2,8 mln di ton hanno dovuto essere gestite in regione diverse da quelle di produzione.
Per farlo sono stati necessari 108mila viaggi di camion, pari a 62 milioni di chilometri percorsi: ciò ha comportato l’emissione aggiuntiva di 40mila tonnellate di CO2 e 75 milioni di euro di aggravio pagato dai cittadini con la Tari (il 90% del quale a carico degli abitanti nel Centro-Sud).
«Il paradosso – spiega Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia – è che i cittadini dei territori nei quali non ci sono sufficienti impianti sono costretti a pagare le tariffe dei rifiuti più alte ed hanno una qualità ambientale più bassa».
Più nel dettaglio, il Nord ha importato circa 2 mln di ton (equivalenti a circa il 14% della produzione locale di rifiuti urbani) dalle aree del Centro-Sud, mentre il Centro ne ha esportate 1,5 (il 17% della produzione) nonostante avvii in discarica il 37,5% dei suoi rifiuti urbani, e il Sud peninsulare ha esportato 1 mln di ton (il 16% della produzione) oltre a sotterrare in discarica il 37% dei suoi rifiuti urbani.
«Gli sforzi degli italiani nella raccolta differenziata – continua Brandolini – devono essere premiati da un sistema che sia in grado di valorizzare al meglio i rifiuti. In quest’ottica, i dati dimostrano che anche la raccolta differenziata e gli impianti non sono due elementi contrapposti, anzi: i territori che registrano le percentuali più alte di raccolta differenziata, non a caso, sono proprio quelli in cui è presente il maggior numero di impianti».
Un gap che, senza interventi correttivi, rischia di ampliarsi ancora di più in vista del 2035, quando secondo le nuove direttive Ue l’Italia dovrà arrivare a un riciclo effettivo di rifiuti urbani pari almeno al 65% e non eccedere il 10% di conferimenti in discarica.
Il rapporto di Utilitalia Rifiuti urbani, fabbisogni impiantistici attuali e al 2035, considerando la capacità impiantistica attualmente installata nel Paese, documenta che se si vogliono centrare gli obiettivi europei e annullare l’export di rifiuti tra le aree del Paese, andranno costruiti nuovi impianti con una capacità pari a 5,8 milioni di tonnellate annue dedicate ai rifiuti non riciclabili e all’organico.
«Senza impianti di digestione anaerobica e termovalorizzatori – argomenta Brandolini – non è possibile chiudere il ciclo dei rifiuti in un’ottica di economia circolare. Si continuano a ipotizzare scenari con future tecnologie che al momento non sono disponibili o immediatamente applicabili su scala estesa, e nel frattempo si rimanda un problema non più procrastinabile».
Per stimare il fabbisogno d’impianti è stata fatta da una parte la differenza tra l’organico (umido + verde) che presumibilmente sarà raccolto in modo differenziato nel 2035 e l’attuale disponibilità impiantistica, e dall’altra la differenza tra i rifiuti urbani residui (comprensivi degli scarti delle raccolte differenziate) al 2035 e l’attuale disponibilità impiantistica.
«Su base annua e nello specifico – è il risultato dell’analisi – il Nord risulterà autosufficiente per l’organico e in debito di 240mila tonnellate per la termovalorizzazione; il Centro avrà bisogno di termovalorizzare ulteriori 1,2 milioni di tonnellate e di trattarne altrettante di organico; al Sud avrà un fabbisogno di recupero energetico di 600mila tonnellate e di 1,4 milioni di tonnellate per l’organico; per la Sicilia il deficit sarebbe di 500mila tonnellate per l’incenerimento e 600mila tonnellate per l’organico; la Sardegna sarebbe invece autosufficiente per l’organico ma presenterebbe un deficit di 90mila tonnellate per la termovalorizzazione».
Tutto questo senza considerare che la vita residua delle discariche attive è in esaurimento, ponendo seri problemi – in assenza di impianti alternativi – non solo per l’economia circolare ma anche per la semplice igiene urbana: sotto questo profilo per il Nord si prospettano ancora 4-5 anni di autonomia; per il Centro 2-3 anni; per il Sud 1-2 anni.
«A questo ritmo di conferimento – conclude Brandolini – saremo obbligati a scegliere se costruire nuovi impianti o continuare a portare i rifiuti in discarica, sottoponendo il nostro Paese a nuove procedure di infrazione». Entro pochi anni in mancanza di interventi, la chiusura delle discariche soprattutto al Sud rischia infatti di far aumentare ulteriormente il numero dei viaggi della spazzatura verso gli impianti del Nord.
L. A.