Skip to main content

Isin, alle porte di Pisa ci sono 894,04 metri cubi di rifiuti radioattivi

L’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare pubblica i dati relativi al Cisam di San Piero a Grado, in attesa del Deposito unico nazionale
 |  Green economy

Le istituzioni toscane – dai Comuni alla Regione – si sono schierate compatte contro l’ipotesi di ospitare sul territorio il Deposito unico nazionale dei rifiuti radioattivi, ma di fatto un deposito c’è già: quello del Cisam di San Piero a Grado (Pisa).

Qui sono presenti 894,04 metri cubi di rifiuti radioattivi con attività molto bassa (6,44 GBq), bassa (5923,78 GBq) e media (145,22 GBq), cui si aggiungono sorgenti radioattive dismesse per 4503,92 GigaBecquerel di attività radioattiva.

Sono questi i dati (aggiornati al 31 dicembre 2020) documentati per la prima volta nel nuovo Inventario nazionale dei rifiuti radioattivi pubblicato dall’Isin, l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin).

«Nel D.Lgs n.101/2020, l’art.242, comma 3, stabilisce che tutti i rifiuti dell’Amministrazione della Difesa dovranno essere trasferiti al Deposito nazionale. A tal fine sono stati inseriti nell’inventario dei rifiuti radioattivi al dicembre 2020 i depositi di rifiuti radioattivi del Cisam», spiegano dall’Isin.

Il Centro interforze studi applicazioni militari (Cisam), facente capo al ministero della Difesa, nasce nel 1994 per portare avanti – oltre a studi, verifiche, applicazioni di specifico interesse militare nei vari settori tecnologici tra cui anche l’energia nucleare – la dismissione del reattore termico sperimentale “Galileo Galilei” (un reattore di ricerca da 5MW del tipo a piscina, moderato e raffreddato ad acqua leggera, per il quale lo smantellamento è iniziato alla fine degli anni ‘80), oltre al condizionamento e la conservazione in sicurezza dei rifiuti radioattivi provenienti dall’Amministrazione della Difesa.

Tutti rifiuti che dovranno essere trasferiti nel Deposito unico nazionale in via di definizione, dove confluiranno non solo i resti della fallimentare avventura nucleare italiana per la produzione di energia – che ora qualcuno vorrebbe inopinatamente riproporre – ma anche i rifiuti radioattivi che vengono prodotti giornalmente nel nostro Paese come: si tratta di rifiuti provenienti dal mondo civile e in special modo da quello medico e ospedaliero, dalle sostanze radioattive usate per la diagnosi clinica, per le terapie anti tumorali, ad esempio, da tutte quelle attività di medicina nucleare che costituiscono ormai il nostro quotidiano.

Per il territorio che si troverà ad ospitarlo, il Deposito unico potrà rappresentare un’occasione preziosa di sviluppo socioeconomico, oltre che un presidio ambientale; è quanto accaduto ad esempio col Centre de l’Aube nel nord-est della Francia – una zona di produzione dello champagne – dove nel 1992 è entrato in funzione un deposito superficiale con una capacità di 1 milione di metri cubi di rifiuti radioattivi.

«All’inizio l’85% della comunità era contraria al deposito – spiega Philippe Dallemagne, vicepresidente del dipartimento de l’Aube e sindaco di Soulaines-Dhuys, dove ha sede il deposito – Temevamo rischi per la salute e danni all’economia. Il confronto e l’esperienza hanno fugato tutte le nostre paure. Il deposito nazionale è accolto dalla popolazione come il modo più sicuro per gestire i rifiuti radioattivi di un paese e un volano per lo sviluppo del territorio che lo accoglie». Oggi l’80% dei cittadini è favorevole al deposito, tanto che è in valutazione la realizzazione di un secondo impianto.

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.