Lo studio Deloitte "Work toward net zero"

Lavoro a rischio clima: possibili 300 mln di occupati in più o 800 mln in meno

Se la transizione sarà governata l’economia mondiale crescerà di 43mila mld di dollari al 2070, altrimenti le perdite economiche saranno quattro volte superiori

[11 Gennaio 2023]

La crisi climatica non è un rischio lontano, ma un fenomeno di cui già oggi paghiamo le conseguenze: l’ultimo anno è stato il più caldo dal 1800 per l’Italia, mancano all’appello circa 50 mld di metri cubi d’acqua, gli eventi meteo estremi sono cresciuti del 55% in un anno e solo lo scorso luglio la mortalità è aumentata del 21% a causa delle ondate di calore.

Tutto questo sta cambiando in profondità il modo in cui viviamo e, naturalmente, anche quello in cui lavoriamo. In Italia e nel mondo, siamo di fronte a un bivio. Possiamo decidere di governare la transizione verso un modello economico a emissioni nette zero di CO2eq, come quello indicato dal Green deal europeo, oppure attendere che l’avanzata della crisi climatica prosegua indisturbata.

Nel primo caso si creeranno oltre 300 mln di posti di lavoro in più entro il 2050 – di cui 21 in Europa, 26 nelle Americhe, 75 in Africa e 180 in Asia – e si prospetta una crescita dell’economia mondiale di circa 43mila mld di dollari entro il 2070; nel secondo caso sono a rischio 800 mln di posti di lavoro (circa un quarto di tutta l’attuale forza lavoro globale) e le perdite economiche arriverebbero a 178mila mld di dollari.

È questo il quadro che emerge dal nuovo rapporto Deloitte Work toward net zero, pubblicato oggi. «Rispetto a una transizione passiva, che comporterebbe un disallineamento tra competenze e posti di lavoro e impedirebbe la crescita dei settori a basse emissioni, il percorso di transizione attiva, se realizzato con idonee politiche ambientali e programmi di innovazione, rappresenta una situazione win-win per il clima e per l’economia. Da una parte, si riducono le emissioni globali e si mitigano gli impatti del climate change e, dall’altra, si creano nuovi settori, nuovi lavori e nuove competenze», spiega Franco Amelio, Deloitte sustainability leader, sottolineando la necessità di intraprendere percorsi di up-skilling delle competenze dei lavoratori.

Il rapporto suddivide il mondo del lavoro in quattro grandi gruppi: professioni altamente richieste con l’emergere e l’espansione di settori a basse emissioni (Growing-demand jobs); i nuovi posti di lavoro che emergeranno durante la transizione verso la riduzione delle emissioni nette (New net-zero jobs); le occupazioni attualmente esistenti che, nel corso del periodo di transizione ecologica, vedranno una trasformazione dei propri requisiti e della modalità di svolgimento (Transformed jobs). Nel secondo gruppo invece troviamo professioni collegate ad attività con alta intensità di emissioni che subiranno una interruzione temporanea o definitiva (Emissions-intensive jobs) e posti di lavoro con attività dipendenti dall’ambiente e dal clima e che saranno influenzati negativamente in termini sia di condizioni di lavoro più dure sia di interruzione delle attività (Climate-dependent jobs).

«Per garantire che la transizione garantisca la massima crescita economica possibile, la creazione di posti di lavoro e una maggiore uguaglianza in un sistema di produzione a basse emissioni sarà determinante anche il coordinamento delle istituzioni locali e sovrannazionali – concludono Amelio e Gianluca Di Cicco, Deloitte workforce transformation leader – La transizione globale non sarà un processo unico, ma piuttosto un insieme di transizioni locali, ciascuna modellata dalle rispettive condizioni climatiche, dai rischi connessi e da una idonea preparazione dei policymaker. Ogni regione ha un proprio e differente percorso per raggiungere le emissioni net-zero entro il 2050, quindi è fondamentale determinare come sfruttare questo quadro politico in base alle specificità del contesto e alle competenze necessarie per guidare l’economia in un mondo a zero emissioni».