Il Circularity gap report 2024 sottolinea l’urgenza di frenare le disuguaglianze
L’economia circolare del mondo è ferma al 7,2%, mentre il consumo di risorse aumenta
Solo negli ultimi sei anni l’umanità ha consumato 582 miliardi di tonnellate di materiali, quasi quanto tutte quelle prelevate nell’intero XX secolo
[25 Gennaio 2024]
Mentre il chiacchiericcio sull’economia circolare a livello globale continua gonfiarsi – negli ultimi 5 anni discussioni, dibattiti e articoli sono quasi triplicati –, le applicazioni concrete dei principi tanti applauditi stanno precipitando.
L’edizione 2024 del Circularity gap report, pubblicata come sempre dalla Circle economy foundation, mostra che il tasso di circolarità è sceso dal 9,1% del 2018 al 7,2% del 2023 (lo stesso dato riportato nella penultima edizione del rapporto).
Questo significa che il 92,8% dell’economia globale si alimenta estraendo e usando materie prime vergini, mentre è in calo l’impiego di materiali riciclati. Ma il problema è doppio, perché nel frattempo il metabolismo economico è sempre più vorace.
«Negli ultimi sei anni, l’economia globale ha consumato 582 miliardi di tonnellate di materiali, quasi quanto le 740 miliardi di tonnellate consumate nell’intero XX secolo – documenta il rapporto – Questo pone una pressione insostenibili sugli ecosistemi e sulla biocapacità della terra, molto più di quanto abbiamo bisogno per soddisfare equamente molti bisogni sociali».
Al contempo, il rapporto sottolinea come non tutti gli esseri umani stiano depredando la Terra allo stesso modo. Anzi, insieme al consumo delle risorse naturali crescono anche le relative disuguaglianze socioeconomiche.
«Una minoranza sempre più ridotta di persone è responsabile della maggior parte degli impatti ambientali, sia tra le nazioni che all’interno di esse – si legge nel report – Gli Stati ad alto reddito (come l’Italia, ndr) sono fattori chiave del collasso ecologico: i Paesi dell’Ue e gli Stati Uniti da soli sono responsabili di oltre la metà del consumo materiale mondiale, nonostante ospitino appena un decimo della popolazione mondiale. L’1% più ricco del mondo è responsabile delle emissioni di carbonio pari a quelle dei due terzi più poveri, e ha accumulato quasi il doppio del denaro del 99% più povero».
Si tratta di dinamiche le cui conseguenze si riflettono ben oltre i confini dell’economia circolare: «Esacerbando la disuguaglianza, stimolando disordini politici e inasprendo la tensione sociale, i modelli di produzione e consumo dell’economia globale stanno provocando disordini sociali, guerre e migrazioni di massa. Il collasso climatico non fa altro che peggiorare la situazione, mettendo ulteriormente a dura prova l’accesso alle risorse e riducendo l’area di terra vivibile sulla Terra».
Anche perché, come sottolinea il rapporto, il consumo di materiali è un valido indicatore dei danni ambientali: la movimentazione e l’utilizzo dei materiali contribuiscono per il 70% alle emissioni globali di gas serra, alimentando così la crisi climatica in corso.
«Molte nazioni ad alto reddito – sottolinea lo studio – sono a un punto di saturazione: un momento unico nella storia, in cui l’aumento del consumo materiale non garantisce più aumenti del benessere umano. Le società più diseguali sono anche quelle più infelici. Le nazioni più ricche del mondo non possono più usare il progresso come scusa per un consumo materiale senza restrizioni».
Da qui la scelta di prospettare diverse indicazioni per promuovere l’economia circolare, in base al contesto dei Paesi ricchi, a medio o a basso reddito cui sono rivolte.
Secondo questa prospettiva, nei Paesi a basso che a medio reddito il focus dovrebbe essere invece su produzione e agricoltura circolari.
Al contempo, i Paesi ricchi dovrebbero puntare in primis ad adeguare le normative nei settori dell’edilizia e della produzione, ad esempio incentivando la ristrutturazione e il riutilizzo degli edifici (così come il riciclo dei materiali da costruzione, che nel caso italiano sono invece in larghissima parte non reimpiegati), definendo al contempo standard più stringenti sulla durabilità e sul diritto alla riparazione dei prodotti (come sta tentando di fare l’Ue) e introducendo nuove tasse sull’impiego di materiali insostenibili.
In questo contesto, l’Italia se la cava ancora meglio di molti altri Paesi europei, ma reali progressi sull’economia circolare scarseggiano ormai da anni e al contempo il consumo di risorse naturali è tornato a crescere.
Sotto il profilo della produttività, i più aggiornati dati Istat mostrano che il Consumo materiale per unità di Pil è aumentato, in linea con la tendenza degli ultimi anni, passando da 291 a 297 tonnellate per milione di euro.
Anche in termini assoluti la tendenza al ribasso nei consumi di materie prime – registrata a partire dal picco storico raggiunto nel 2006 – si è interrotta, riportandosi ad un livello annuo superiore alle 500 milioni di tonnellate, registrato l’ultima volta nel 2013; dieci anni di progressi cancellati in un colpo.
Guardando invece al tasso di circolarità, l’Italia continua a mostrare una performance migliore rispetto alla media Ue (18,7% vs 11,5%), ma è in calo da due anni di fila ed è tornato a livelli che non si vedevano dal 2016.
Non va meglio, infine, sotto il profilo della disuguaglianza: all’inizio di quest’anno la Banca d’Italia ha inaugurato un nuovo filone statistico, documentando come sia in mano al 5% degli italiani ben il 46% della ricchezza nazionale.