Presentato oggi a Pescia il XX rapporto di Assocarta, in collaborazione con Legambiente
L’industria cartaria è tornata a crescere, ma mancano ancora gli impianti per gestire i rifiuti
Assocarta documenta che «il 63% della nostra produzione proviene da fibre riciclate», mentre l’avvio a riciclo degli imballaggi sale a oltre l’85%
[19 Maggio 2022]
È stato presentato oggi al Museo della carta di Pescia il XX rapporto ambientale di Assocarta, il secondo in collaborazione con Legambiente, che testimonia la ripresa del comparto nell’ultimo anno dopo le forti criticità maturate nel 2020 a causa della pandemia.
«Nonostante la pandemia, il caro energia e materie prime, la guerra russo-ucraina” continua Medugno “il settore dimostra di essere essenziale anche nella transizione ecologica e nel raggiungimento degli obiettivi indicati dai tanti dossier europei del Fit for 55. Tutte sfide importanti. Ma sono proprio le sfide la chiave dell’attività imprenditoriale», commenta il dg di Assocarta, Massimo Medugno.
Grandi sfide in una congiuntura europea ancora non facile, ma che vede comunque un’industria cartaria resiliente che a livello nazionale chiude il 2021 con una produzione in aumento del 12,5% (9,6 milioni di tonnellate) e un fatturato che registra un +28,6% rispetto a un 2020 in forte calo (-12,4% sul 2019).
Come aggiunge Tiziano Pieretti, vicepresidente di Assocarta, anche «nei primi due mesi del 2022 la produzione continua ad aumentare (+4,1% sul 2021) soprattutto grazie alle carte per imballaggio».
Peraltro il comparto di settore più avanzato per quanto riguarda il riciclo, dato in Italia oltre l’85% degli imballaggi in carta viene riciclato; allargando il quadro d’osservazione all’intero settore cartario, invece, Assocarta documenta che «il 63% della nostra produzione proviene da fibre riciclate».
Come da ogni altro processo industriale, anche dal riciclo però esitano nuovi rifiuti – per quello cartario si parla soprattutto di scarto di pulper e fanghi di cartiera – che necessitano di essere valorizzati (anche dal punto di vista energetico) o smaltiti.
Più nel dettaglio, secondo i dati Ispra l’intero settore cartario e cartotecnico produce 1,5 mln di ton di rifiuti all’anno (2019), pari a circa 171 kg per tonnellata prodotta; per oltre un terzo si tratta però di rifili, sfridi e scarti di carta che vengono avviati a riciclo. Al netto degli sfridi, il dato scende dunque a 900mila ton annue o 106 kg di rifiuti per tonnellata prodotta: il flusso più critico – e caratteristico proprio della produzione da riciclo, in quanto legato alle impurità presenti nel macero e/o alle componenti plastiche presenti nella carta da riciclare – è costituito dalle oltre 300mila ton di pulper (stima che sale a 400mila ton guardando direttamente ai dati Mud).
«Gli aumenti dei costi energetici dovuti alla speculazione sul costo del gas rendono urgenti segnali concreti su diversi fronti – argomenta nel merito il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani – Semplificazioni degli iter autorizzativi, rafforzamento del mercato dei prodotti riciclati attraverso il green procurement, certezze normative per la costruzione di impianti di digestione anaerobica per produrre biometano, impulso alla filiera produttiva dell’idrogeno verde e della gestione forestale sostenibile. La guerra in Ucraina ha complicato ulteriormente una situazione già precaria sugli approvvigionamenti energetici. È arrivato il momento delle decisioni che il Paese attende da troppi anni».
Su quali siano queste decisioni, però, ambientalisti e industriali non sono sempre d’accordo. Un problema che è meno sentito per la valorizzazione dei fanghi di cartiera – da cui si può ricavare biometano all’interno dei biodigestori anaerobici, impianti che Legambiente sostiene con forza – ma che diventa più scivoloso nel caso dello scarto di pulper.
«Le uniche destinazioni ad oggi disponibili per lo scarto di pulper sono la discarica e il recupero energetico tramite combustione in impianti di termovalorizzazione», spiegava Medugno due anni fa, nel pre-pandemia. Ma questi impianti, nonostante non destino preoccupazioni particolari sotto il profilo sanitario, restano un tabù anche per Legambiente.
Oggi si stanno però affacciando sul mercato soluzioni alternative da poter esplorare, più innovative (e sostenibili dal punto di vista ambientale) della termovalorizzazione: si spazia dal riciclo chimico alla tecnologia I.Blu, entrambe soluzioni che potrebbero svilupparsi anche in Toscana.