Roventini: «Servono politiche industriali e uno Stato innovatore»
L’Italia è il quinto Paese europeo per competitività delle tecnologie verdi
Barca: «La trasformazione verde è già un processo in atto, in Italia e in Europa, e non è in conflitto con lo sviluppo. Giustizia sociale e ambientale possono marciare insieme»
[27 Gennaio 2023]
La transizione ecologica, per concretizzarsi senza minare i livelli di benessere della popolazione – l’obiettivo su questo fronte è anzi quello di un miglioramento – avrà bisogno di un possente balzo tecnologico in avanti verso la green economy: energie rinnovabili anziché fossili, motori elettrici anziché a combustione interna, riciclo chimico anziché termovalorizzazione, e così via. L’Italia è pronta a questo salto?
In realtà siamo già a mezz’aria, come mostra una ricerca del Centro ricerche Enrico Fermi (Cref), presentata al Cnel dai ricercatori Angelica Sbardella e Aurelio Patelli, nell’ambito di un evento organizzato insieme all’Istituto di economia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e al Forum disuguaglianze e diversità.
La ricerca del Cref si concentra geograficamente sull’Europa 28+ e sul periodo 2000-2016, dato che prima di quest’intervallo temporale l’attività brevettuale nel settore delle innovazioni tecnologiche verdi era «quasi inesistente nella maggior parte dei Paesi» e dopo i dati «non sono di qualità sufficiente per essere utilizzati».
Dal punto di vista della quantità dei brevetti green presentati, l’Italia nel 2016 è quarta a pari merito con la Spagna con il 4% (nel 2000 era al 3%). Guida la classifica la Germania con il 46% (scesa dal 56%), al secondo posto la Francia con il 17% (che raddoppia dall’8% del 2000) e al terzo posto il Regno Unito con il 9% (dall’8% del 2000).
Per quanto riguarda invece la Green technological fitness – ovvero una misura della competitività verde –, nel 2016 si osserva una graduale crescita di competitività dei paesi dell’Europa del Sud e dell’est, con l’Italia quinta dopo Germania, Inghilterra, Francia e Austria.
In particolare, la capacità tecnologica verde italiana, nel 2016, si è concentrata su invenzioni relative alle tecnologie in quattro macrosettori chiave: riduzione dei gas serra nel comparto energetico (31%), mitigazione del cambiamento climatico nei trasporti (19%), nell’edilizia (15%) e nella produzione di beni (15%), ma anche in altri comparti come la gestione dei rifiuti (7%).
Tra le regioni, al primo posto per numero di brevetti green c’è la Lombardia (che era prima anche nel 2000), seguita dal Piemonte (stessa posizione che nel 2000), Emilia-Romagna e Veneto, e in quinta posizione la Toscana. Scende il Lazio da quinto a settimo. La prima regione del Sud è la Campania, seguita dalla Puglia. Peggiora la Sicilia (era la nona regione nel 2000, adesso è al 14° posto) e chiude la classifica il Molise.
Per quanto riguarda la competitività tecnologica verde, dal 2000 al 2016 in Italia si registra un significativo progresso. Le regioni nel primo quartile passano da 4 nel 2000 a 7 nel 2016 (Lombardia, Emilia-Romagna, Liguria, Valle D’Aosta, Toscana, Lazio e SüdTirol). Lombardia e Lazio sono trainanti e rappresentano le uniche due regioni a posizionarsi in entrambi gli anni nel miglior quarto tra le regioni europee in termini di Green technological fitness, ma anche Emilia-Romagna, Toscana e Liguria si posizionano tra le regioni europee con maggiori capacità tecnologiche verdi. Vi sono anche regioni che perdono in competitività verde, in particolare Piemonte e Marche, che scendono in una posizione intermedia insieme a Umbria, Friuli-Venezia Giulia e Campania
Che fare per continuare a progredire? Per le regioni ancora indietro nella transizione ecologica, la ricerca mostra che potrebbero puntare a sviluppare combinazioni di know-how che hanno maggiori probabilità di favorire lo sviluppo in ambito verde, come nell’archiviazione digitale, nell’ingegneria meccanica, in particolare legata agli impianti di illuminazione, e nella chimica, in particolare nei cementi e nelle ceramiche e nel trattamento delle acque reflue.
Più in generale, le politiche d’innovazione e industriali verdi, secondo l’economista Andrea Roventini della Sant’Anna, devono essere coadiuvate da regolamentazioni che impediscano, ad esempio, la vendita di auto con motore endotermico dal 2035 e di caldaie a gas dal 2025 o che impongano standard energetici stringenti agli edifici: «Servono politiche industriali e di innovazione verdi, e uno Stato innovatore che sostenga la cooperazione tra imprese pubbliche e private, e sfrutti al meglio le grandi potenzialità delle imprese pubbliche italiane, le cui competenze tecnologiche e industriali sono essenziali per decarbonizzare l’economia. Uno stato attivo nel sostegno dei lavoratori e nella gestione delle crisi aziendali della transizione, che possono essere un’occasione per riposizionare le imprese coinvolte nelle produzioni verdi».
Come del resto osservano congiuntamente Roventini, Sbardella e Patelli, ad oggi «purtroppo, in Italia, il dibattito pubblico tende a ignorare o banalizzare il riscaldamento globale, oppure a offrire risposte anacronistiche come i cannoni da neve di ultima generazione. Si insiste inoltre su una falsa dicotomia tra lotta alla crisi climatica e sviluppo economico. Niente di più falso: per l’Italia, in stagnazione economica pluridecennale, l’emergenza climatica è forse l’ultima opportunità per rilanciare la crescita sostenibile, creando nuove opportunità per le imprese e posti di lavoro».
Crescita sostenibile significa anche riduzione delle disuguaglianze, arrivate ormai a livelli preoccupantemente alti – lo 0,134% degli italiani più ricchi ha in tasca tanta ricchezza quanto il 60% più povero del Paese –, mentre la stessa transizione ecologica per fiorire esige un riequilibrio.
Dalla ricerca Cref emerge infatti che la relazione tra disuguaglianze di reddito e la Green technological fitness dei Paesi è negativa e significativa, perché l’alta disuguaglianza è associata a costi più alti e all’incertezza nello sviluppo di nuove tecnologie verdi, come del resto già argomentato su queste pagine.
«La ricerca del Cref mostra che la trasformazione verde è già un processo in atto, in Italia e in Europa, e non è in conflitto con lo sviluppo: giustizia sociale e ambientale possono marciare insieme – conclude Fabrizio Barca del Forum disuguaglianze e diversità – La ricerca ci conferma che nelle società con minori disuguaglianze economiche la fitness tecnologica verde è maggiore, e che la trasformazione ambientale può produrre buoni lavori e sviluppo. Ma sappiamo che nulla è scritto. La fitness non è una profezia, è una potenzialità che va realizzata. È qui che giocano un ruolo fondamentale le politiche».