L’analisi Confcommercio

Per i giovani italiani la crisi è iniziata ben prima della pandemia

Dal 2000 sono emigrati in 345mila, mentre quelli occupati in Italia sono 2,5 milioni in meno

[4 Agosto 2021]

Tra didattica a distanza, socialità mancata e occasioni lavorative ridotte al lumicino, la pandemia ha colpito ancora una volta in modo marcato i più giovani. Ma, per loro, in Italia la crisi è iniziata ben prima del Covid-19, come testimonia l’analisi prodotta dall’Ufficio studi di Confcommercio Le giovani generazioni in Italia prima della pandemia, che analizza gli anni dal 2000 al 2019.

Questo è stato infatti un periodo di progressiva marginalizzazione per i giovani italiani, sia sotto il profilo demografico – le nascite sono ormai in costante calo – sia soprattutto dal punto di vista della valorizzazione delle risorse disponibili. Sempre più scarse, ma non per questo apprezzate: anzi.

Tra il 2000 e il 2019 i giovani occupati nella fascia d’età 15-34 anni sono diminuiti di 2,5 milioni – mentre in Germania la diminuzione è stata dieci volte inferiore, ferma a -235mila giovani – e nello stesso periodo, è aumentata la quota di giovani che non lavorano e non cercano un’occupazione (dal 40% al 50%); in particolare, tra il 2004 e il 2019 si sono ridotti di oltre un quarto i giovani lavoratori dipendenti (-26,6%) e risultano più che dimezzati gli indipendenti (-51,4%); al contempo sono sparite 156mila imprese giovanili, che ormai pesano meno del 9% sul totale delle imprese italiane.

Non c’è da stupirsi se in questo contesto i Neet italiani (giovani che non studiano, non lavorano e non si formano) hanno fatto segnare un record europeo negativo arrivando, già prima della pandemia, a quota 2 milioni, pari al 22% dell’intera popolazione di quella fascia d’età (in Spagna sono il 15%, in Germania il 7,6%). Nel 2020 questo dato è poi salito ancora, fino a ricomprendere il 29,4% dei 20-34enni italiani, contro una media europea del 17,6%.

Di fronte a queste enormi difficoltà, negli ultimi dieci anni ben 345mila giovani italiani sono espatriati, non per fuggire dalla guerra ma per cercare – legittimamente, e con grandi sforzi – condizioni socioeconomiche migliori: la vera emergenza “migranti” di cui dovremmo occuparci, ma che passa sempre in sordina.

«È evidente che la questione demografica e quella giovanile rischiano di indirizzare il Paese verso un sempre più marcato declino e non è un caso che ogni anno, in Italia, ci sono 245mila ricerche di lavoro insoddisfatte da parte delle imprese», commentano da Confcommercio.

Anche perché – come evidenzia lo stesso studio – le condizioni salariali all’ingresso nel mondo del lavoro sono tutt’altro che invitanti. Mentre il dibattito politico si avvita attorno all’utilità del Reddito di cittadinanza, che eroga appena 581 euro al mese come importo medio per nucleo familiare, altrettanta attenzione non è dedicata all’ammontare degli stipendi di chi lavora.

«Non c’è dubbio, che in termini di retribuzione oraria lorda, esista un gap consistente tra i livelli italiani e quelli dei nostri principali partner dell’Unione – documenta Confcommecio – Dati Eurostat riferiti al 2018, segnalano un livello di retribuzione lorda oraria di 15,6 euro in Italia, rispetto ai 18 della Francia, i 19,7 della Germania, gli oltre 20 di Belgio, Irlanda, Finlandia e Svezia, ma soprattutto i circa 30 della Danimarca. Eventuali differenze nel costo medio della vita tra i diversi Paesi non possono spiegare completamente questi divari».

Per invertire la rotta, Confcommercio punta sulle risorse del Pnrr, affermando che «per rilanciare l’imprenditoria giovanile e, in generale, l’occupazione delle giovani generazioni sicuramente occorrono meno tasse e burocrazia e politiche più orientate a ridurre i gap di contesto: microcriminalità, logistica, formazione del capitale umano». Come aggiunge il presidente Carlo Sangalli, «è fondamentale utilizzare al meglio le risorse del Pnrr destinate ai giovani soprattutto per quanto riguarda formazione, incentivi e semplificazioni burocratiche».

Fondamentale ma certo non sufficiente, dato che questa ricetta ricalca in pieno quelle fallimentari promosse nell’ultime decennio. La redistribuzione di reddito e ricchezza a favore di giovani e categorie svantaggiate non è più rimandabile per perseguire un’uguaglianza sostanziale, assieme a investimenti pubblici mirati che sappiano guidare lo sviluppo economico su quei binari che le imprese private, evidentemente, finora non sono state in grado di valorizzare a livello nazionale: sostenibilità e innovazione.