Quante materie prime serviranno per la transizione ecologica? L’Ue ha un piano
Šefčovič: «Investiremo nelle materie prime che possiamo estrarre qui in Europa per dimostrare che si può fare in modo sostenibile e con il sostegno della comunità»
[2 Settembre 2020]
La lotta alla crisi climatica in corso comporta una transizione ecologica che non ha a che fare solo con l’energia, ma anche con le materie prime: un concetto all’apparenza ovvio, ma che troppo spesso sfugge e che è stato riassunto nella massima matter matters too – anche la materia conta – già dal fondatore della bioeconomia e precursore dell’economia ecologica, il celebre economista Nicholas Georgescu-Roegen. Un problema particolarmente importante per l’Europa, un continente che conserva una vocazione manifatturiera ma che non ha molte materie prime a disposizione per soddisfarla (come mostra in primis il caso italiano), soprattutto quando si parla di nuove tecnologie. Occorre dunque attrezzarsi.
Come anticipa Euractiv, l’Ue sta preparando – l’annuncio ufficiale è atteso per domani – una nuova alleanza europea sulle materie prime, specularmente a quanto già fatto con l’alleanza europea sulla batterie (Eba) lanciata nel 2017, un’iniziativa che ha trovato nuova linfa negli scorsi mesi mettendo nel mirino l’autosufficienza continentale per quanto riguarda l’approvvigionamento di litio.
Come dichiarato da un funzionario Ue a Euractiv, la nuova alleanza industriale per le materie prime sarà però a più ampio spettro: si concentrerà sui metalli e le terre rare che vengono utilizzati per costruire magneti per batterie e tutti i tipi di dispositivi elettrici ed elettronici. Per non parlare delle energie rinnovabili. «Imiteremo un po’ l’Eba – spiega il vicepresidente della Commissione Ue Maroš Šefčovič – Vogliamo creare la stessa piattaforma cooperativa per le materie prime basata sull’industria. Non è solo per le batterie che abbiamo bisogno di queste rare materie prime, ma anche per quella che definirei l’economia del futuro: stiamo parlando di pale eoliche, pannelli fotovoltaici, elettronica e robotica».
Šefčovič ha dichiarato che sta preparando un «piano d’azione per le materie prime critiche» in collaborazione col commissario Thierry Breton, che includerà un elenco aggiornato dell’Ue di materie prime essenziali con orizzonte 2030 e 2050. L’ultimo elenco, aggiornato al 2017, ne riporta 27: dall’antimonio al vanadio, dal cobalto al gallio al carbone necessario per l’industria metallurgica (di certo non un esempio di sostenibilità). Adesso quest’elenco è pronto per essere rivisto, e pi in generale il piano Ue influenzerà le strategie di approvvigionamento interno come quelle da fornitori internazionali.
La seconda parte in teoria è quella più semplice, perché mantiene impatti ambientali e sociali legati all’estrazione di materie prime fuori dai confini europei e al riparo dagli effetti Nimby (e Nimto) locali.
«Stiamo lavorando a stretto contatto con i Paesi e le aziende che estraggono le materie prime. Se vogliono fornire queste materie prime all’Europa, devono farlo in modo sostenibile e responsabile», argomenta Šefčovič. Ma come mostrano le dinamiche attuali, affidarsi solo all’import non è sostenibile.
L’Ue sembra averne preso coscienza: «Investiremo nelle materie prime che possiamo estrarre qui in Europa per dimostrare che si può fare in modo sostenibile e con il sostegno della comunità», aggiunge Šefčovič. Anche se le prime avvisaglie non sono rassicuranti. Ad esempio il Portogallo è attualmente il principale produttore europeo di litio – centrale per le batterie e la mobilità elettrica –, ma la prospettiva di aprire nuove miniere sta inanellando forti proteste a livello locale.
Occorre prendere coscienza che anche la transizione ecologica non è, non sarà e neanche può essere a impatto zero, come del resto ogni altro processo industriale. Pasti gratis in quest’ambito non ce n’è.
Ridurre le emissioni climalteranti per frenare il riscaldamento globale è un imperativo, ma che presenta altri costi (anche ambientali) da sopportare. Ad oggi l’Onu stima che l’estrazione e la lavorazione delle materie prime comporta il 23% delle emissioni globali di gas serra. Si può e si deve migliorare.
Ma un’economia basata sulle fonti rinnovabili presenta come contraltare un elevato consumo di materie prime: la Banca mondiale documenta che – se vogliamo mantenere il riscaldamento globale entro il +2°C rispetto all’era pre-industriale – saranno necessari oltre 3 miliardi di tonnellate di minerali e metalli, con la sola produzione di litio che dovrà crescere di quasi il 500% molto prima del 2050.
Per rendere più sostenibile questo percorso sono tre essenzialmente le carte che possiamo giocare: una maggiore efficienza nei processi produttivi e una riduzione dei consumi non necessari; il sempre più ampio ricorso a materie prime seconde provenienti da riciclo, rifuggendo però anche in questo caso la chimera dell’impatto zero; superare le resistenze locali all’apertura di nuove miniere per l’estrazione di materie prime critiche in modo sostenibile e attraverso un’equa ripartizione dei benefici conseguenti. Per poter raggiungere l’ambita transizione ecologica, andranno giocate tutte insieme.