Ma ci sono tre aspetti su cui poter progredire ancora
Geotermia, cosa sappiamo sugli impatti ambientali in Toscana dopo oltre vent’anni di studi
A valle dell’indagine InVetta, l’Arpat conferma un progressivo miglioramento del quadro emissivo e l’assenza di criticità sanitarie
[11 Agosto 2022]
La coltivazione della geotermia in Toscana produce una quantità di energia elettrica rinnovabile in grado di coprire, ad oggi, il 35% del fabbisogno regionale; ma «come ogni altra attività antropica, anche la geotermia presenta possibili impatti sull’ambiente», dalle emissioni in atmosfera di inquinanti ai disturbi olfattivi legati alla naturale presenza nei fluidi di idrogeno solforato (H2S).
Per questo la Regione Toscana, grazie ad istituti scientifici interamente pubblici come l’Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpat) e l’Agenzia regionale di sanità (Ars), indaga costantemente l’evolversi degli impatti ambientali legati alla geotermia: ormai da 22 anni Arpat ha attrezzato il primo laboratorio mobile per la misurazione in continuo dell’acido solfidrico (Geo1) e da circa 15 anni l’Ars ha il compito di portare avanti un programma di sorveglianza epidemiologica della salute delle popolazioni residenti nelle aree geotermiche.
L’enorme mole di dati raccolti e le conseguenti analisi sono confluiti nell’indagine InVetta, i cui risultati sono stati resi pubblicamente disponibili nel corso di quest’anno. Un corpus scientifico su cui l’Arpat è tornata adesso a intervenire per fare il punto della situazione, oltre a indicare possibili interventi per ridurre ulteriormente gli impatti ambientali della coltivazione geotermica.
Ad oggi, spiega l’Arpat, il controllo della qualità dell’aria nelle aree geotermiche «si sviluppa attraverso una postazione di qualità dell’aria fissa che si trova a Montecerboli e che controlla “in continuo” non solo l’idrogeno solforato, ma anche il Pm10, l’ozono e gli ossidi di azoto. L’Agenzia dispone di due auto-laboratori Geo1 e Geo2 che controllano sia l’H2S che il mercurio. Vi sono inoltre 18 stazioni di controllo Enel, di cui 6 sono in grado di effettuare controlli/rilevazioni di radon, all’occorrenza accessibili dalla nostra Agenzia tramite Vpn. I laboratori Geo1 e Geo2, sono utilizzati dall’Agenzia in primo luogo per verificare i dati che vengono forniti dai controlli svolti da Enel e che hanno una diffusione più capillare sul territorio toscano. I dati dei due laboratori vengono utilizzati talvolta per monitorare aree che altrimenti non verrebbero controllate da postazioni fisse. Inoltre l’Agenzia li utilizza per il controllo del mercurio in modalità continua a frequenza oraria».
Il monitoraggio continua senza sosta, ma le indicazioni raccolte negli anni sono piuttosto chiare: «Dal 2016 tali dati sono confluiti in un bollettino della qualità dell’aria, esteso all’intera area dell’Amiata, mettendo a confronto i dati rilevati dal nostro mezzo con quelli rilevati da Enel nelle postazioni ubicate a Arcidosso, Santafiora, Bagnore, Merigar e le due presenti a Piancastagnaio. Tale bollettino è stato pubblicato sul sito dell’Agenzia e della Regione Toscana inizialmente con frequenza mensile, poi successivamente a frequenza quadrimestrale, fino a quando è stato evidente che non si presentavano situazioni particolarmente critiche dal punto di vista sanitario».
Alcune problematiche sono invece emerse nella zona di Abbadia San Salvatore – dove non sono ad oggi presenti centrali geotermoelettriche, né postazioni fisse di rilevamento –, che è stata interessata da due campagne di monitoraggio col mezzo Geo1, la prima tra il 2018/19 e la seconda tra il 2019/20.
«In questo caso – aggiunge l’Arpat – i dati rilevati disponibili confermano che non vi sono criticità per la concentrazione di idrogeno solforato. Per il mercurio, nonostante non siano state raggiunte concentrazioni considerate pericolose per la salute, tuttavia si rilevano concentrazioni più elevate del solito, che divengono significative durante la stagione estiva, in concomitanza dell’innalzamento della temperatura dell’aria, incremento di temperatura che permette di liberare in atmosfera frazioni di mercurio, altrimenti riscontrabili nel suolo».
In conclusione, anche alla luce degli altri monitoraggi svolti, si può comunque affermare che l’andamento dei valori di idrogeno solforato rilevati da Arpat ed Enel – particolarmente importanti in quanto l’H2S è il principale tracciante dell’esposizione alle emissioni delle centrali geotermiche – mostrano «un progressivo miglioramento nel corso degli anni, sia in termini di concentrazioni assolute, sia in termini di percentuale di ore con concentrazioni superiori a 7 µg/m³, ad indicare una progressiva riduzione anche del disturbo olfattivo».
Dal punto di vista della salute umana, l’assessore regionale all’Ambiente come anche il coordinatore Ars dello studio InVetta, al termine dell’indagine epidemiologica hanno concluso che «non vi sono impatti significativi sulla salute derivanti dall’attività geotermoelettrica», ma ciò non significa che gli impatti ambientali non possano essere ulteriormente ridotti. Con quali priorità? L’Arpat ne indica tre.
Il primo sta nella riduzione dei periodi di blocco e fermo dei filtri Amis, in modo da «raggiungere un’ulteriore riduzione del disturbo olfattivo causato dall’idrogeno solforato». Il secondo – strettamente collegato al primo – è replicare quanto già fatto sull’Amiata con le centrali Bagnore 3 e 4: interconnettere le due centrali e i relativi filtri Amis ha infatti permesso ridurre le emissioni anche in caso di blocchi o manutenzioni delle varie componenti impiantistiche presenti. Il terzo riguarda infine «l’opportunità di ridurre, tramite i nuovi separatori di gocce (demister), il “drift” (gocce di condensazione del vapore) emesso in atmosfera dalle torri di raffreddamento, con ricadute nelle immediate vicinanze degli impianti di produzione».