Cave di Carrara, da Legambiente un esposto sulla “fabbrica delle alluvioni”
«Non solo le cave di marmo accrescono il rischio alluvionale, ma lo stesso Comune gestisce il bacino montano come se lo ignorasse»
[11 Dicembre 2023]
Mentre Legambiente nazionale ha avviato una vertenza nazionale contro l’apertura di nuove cave sulle Alpi Apuane, il circolo di Carrara torna ad accendere un faro sul rischio alluvioni, attraverso un nuovo esposto alla Procura della Repubblica.
«A vent’anni dall’alluvione di Carrara del 23 settembre 2003 – e nonostante altre tre alluvioni di “richiamo” (due nel novembre 2012 e l’ultima il 5 novembre 2014) – sembra proprio che le cave e la politica locale non abbiano ancora capito la lezione e che si stiano attivamente adoperando per preparare le condizioni per la prossima alluvione (agendo cioè come una vera e propria “fabbrica delle alluvioni”)», sottolinea il Cigno verde locale.
La richiesta alla magistratura è dunque quella di valutare se ravvisi profili d’illiceità penale e, nel caso, di individuare i soggetti responsabili e procedere nei loro confronti.
In particolare, nell’esposto viene richiamata l’attenzione sulla perizia dei consulenti della Procura in merito alle cause antropiche dell’alluvione del 2003, che aveva individuato il ruolo determinante svolto dalla cattiva gestione dei detriti delle cave, in particolare perché l’elevato contenuto in terre dei ravaneti ne induceva la franosità, con conseguente esondazione per l’intasamento con detriti degli alvei sottostanti.
«Ciononostante – evidenziano da Legambiente – da allora i ravaneti sono ancor più “ricchi” di terre: dunque la situazione è ulteriormente peggiorata».
Anche il successivo studio idraulico dell’Università di Genova (relazione Seminara, 2016), nel confermare il rischio alluvionale indotto dai ravaneti, ha altamente raccomandato la rimozione delle terre dagli stessi, avvertendo che la sua mancata attuazione avrebbe compromesso la stessa efficacia degli interventi idraulici in corso di realizzazione per la messa in sicurezza del Carrione. Ma «anche questa raccomandazione è stata completamente ignorata», denunciano gli ambientalsti.
«In sintesi: non solo le cave di marmo accrescono il rischio alluvionale, ma lo stesso Comune, con le sue azioni e omissioni nel disciplinare le attività estrattive, si comporta come una “fabbrica di alluvioni” – chiosano da Legambiente – Gestisce cioè il bacino montano come se ignorasse che in tal modo si accresce il rischio alluvionale o ritenesse che, comunque, ciò non sia materia di sua competenza.
Né i Pabe (Piani Attuativi di bacino estrattivo) né il regolamento agri marmiferi hanno disciplinato le attività estrattive introducendo accorgimenti finalizzati a ridurre il rischio di alluvioni: non si prevedono né la conversione degli attuali ravaneti in ravaneti spugna, né lo svuotamento delle cave a fossa dismesse e la loro conversione in bacini di laminazione delle piene.
Al contrario, procedendo nella sdemanializzazione dei fossi sepolti dai detriti di cava, si rinuncia non solo al demanio idrico ma, soprattutto, alla sua funzione di “prevenire e mitigare i fenomeni alluvionali”: in poche parole, si mira a risolvere i problemi per le cave senza curarsi se in tal modo il rischio idraulico viene scaricato sulla città».