Legge urbanistica: rigenerare o densificare?

[25 Febbraio 2014]

Rigenerazione: un termine quasi magico che ha permesso al mitico Doctor Who di sopravvivere trasformandosi ben dodici volte. La medicina rigenerativa promette di ricostruire gli organi vitali. La rigenerazione urbana più modestamente vuole riportare vitalità in aree urbane prima degradate.

La Regione Toscana nel 2011 ha approvato una legge apposita, la n. 40, le cui norme sono state integrate nella proposta di legge urbanistica regionale. Gli interventi di rigenerazione urbana vengono incentivati col 35% massimo di incremento della superficie utile, ma devono riservare per edilizia sociale il 20% minimo delle superfici realizzate, rispettando ovviamente lo standard urbanistico, i 18 mq per abitante da destinare a servizi, verde, parcheggi etc.

Aspetti che hanno attirato le critiche di Anci ed Uncem. Troppo rigido il 20%, e per lo standard dei 18 mq si chiede la deroga, ora che il “Decreto del fare” permetterebbe ‒ le interpretazioni sono ancora dubbie ‒ alle regioni di farlo.

In sostanza se si vuol recuperare occorre predisporre le condizioni economiche che permettano alle imprese di intervenire, a meno di avere fondi pubblici. Ponsacco, uno dei primi comuni a sperimentare le procedure della legge regionale 40/2011, ha stabilito un bando di gara, dichiarato 4 vincitori, ma gli interventi non sono ancora partiti.

Tutti sono d’accordo sulla rigenerazione e il recupero urbano. La ricerca del Cresme per conto dell’Associazione dei costruttori edili e dell’Ordine degli architetti stima la riqualificazione edilizia come un mercato da 133 miliardi. La Fillea, sindacato degli edili, è per azzerare l’ulteriore consumo di suolo.

Rigenerazione è un termine evocativo. Dato che la proposta di legge regionale vieta le espansioni residenziali, in presenza di una popolazione crescente, si dovrà aumentare la densità dell’insediamento esistente: in termini di abitanti ed eventualmente di metri cubi residenziali per ettaro.

Secondo le previsioni del Servizio statistica del Comune di Firenze (nel Bollettino del settembre 2013), da ora al 2025 la popolazione dell’area fiorentina (Firenze più i dieci comuni circostanti) aumenterà di poco meno di 56mila abitanti. Come dire una seconda Scandicci. Ciò è dovuto principalmente ai flussi migratori e al tasso di natalità delle nuove popolazioni. Cosa estremamente positiva per diminuire l’indice di vecchiaia e portare popolazione giovane che è essenziale anche per lo sviluppo economico. Ma tutta questa popolazione chiede nuovo spazio. Solo considerando lo standard per servizi occorrerebbero 100 ettari. Per gli alloggi, con un indice di fabbricabilità pari a 3 mc/mq, ce ne vorrebbero altri 150.

Sarà possibile trovare posto all’interno del perimetro delle aree urbanizzate? E’ vero che il cosiddetto piano a volumi zero di Firenze non è a volumi zero, ma l’edilizia nuova che lì è prevista non è quella adatta a questa nuova popolazione che chiederà soprattutto abitazioni sociali. Di aree da recuperare a Firenze ne esistono. Secondo una stima le superfici utili degli edifici dismessi ammonterebbero a circa 46 ettari. La maggioranza non sono aree industriali. Spesso si tratta di immobili di pregio, nel centro storico che difficilmente possono essere utilizzati per la residenza.

Rimane ovviamente la possibilità che l’aumento di popolazione porti semplicemente ad un maggior affollamento senza incrementi edilizi, ma in questo caso ci si dovrà attendere un aumento delle tensioni sociali.

Logico quindi pensare di edificare in altezza, per recuperare lo spazio che serve per verde e servizi ed occupare il più possibile gli interstizi ancora liberi nella città edificata. La città compatta è stata indicata come la migliore per la sostenibilità: trasporti pubblici efficienti e ridotto consumo energetico, ma molti hanno preferito insediamenti meno densi, tant’è vero che la maggioranza della popolazione vive in comuni di piccole e medie dimensioni.

In Svizzera, dove si sta affrontando un problema analogo, con lo scopo di preservare il paesaggio e i terreni agricoli, il Consiglio per l’assetto del territorio in un documento del 2012, dichiara che “La densificazione edilizia degli insediamenti è un principio fondamentale dello sviluppo del territorio”, e prescrive che nei nuovi insediamenti gli edifici dovranno essere di almeno tre piani.

Secondo le statistiche sull’uso residenziale di suolo in Toscana, il maggior consumo è da imputare al tessuto discontinuo e rado, e alle case sparse. Come misura parzialmente alternativa allo stop all’espansione residenziale, poteva essere inserito un limite minimo (e non massimo come si è sempre fatto) all’indice di fabbricabilità, con un rapporto medio di copertura accettabile. Questo avrebbe significato incidere su una delle cause della dispersione e del consumo di suolo, invece di bloccarne semplicemente l’effetto.

La cosiddetta rigenerazione diverrà quindi densificazione, che nel caso fiorentino era uno degli obiettivi dell’ancora vigente piano Vittorini del 98, la cui attuazione tante proteste ha sollevato. Quindi va bene limitare il consumo di suolo, ma occorre essere preparati a governare i suoi effetti nell’ambito urbano che non può essere considerato come qualcosa di residuale, a paragone della bellezza dei paesaggi rurali. Anche perché è nei paesi e nelle città che vive la maggior parte della popolazione con le cui esigenze si devono confrontare gli amministratori locali.

Ferdinando Semboloni, Ricercatore Dipartimento di Architettura Università di Firenze sito web: http://fs.urba.arch.unifi.it