L’analisi dell’Istituto regionale programmazione economica della Toscana (Irpet)

Lo smart working in Toscana potrebbe ridurre le emissioni di CO2 di 192.500 tonnellate l’anno

Il gruppo delle professioni potenzialmente eseguibili da remoto comprende ben 481.622 occupati. Guardando ai pendolari si risparmierebbero 300.000 veicoli sulle strade regionali

[17 Luglio 2020]

Chi può resti a casa. È forse una delle frasi più ricorrenti nelle raccomandazioni dei politici e degli esperti alla sicurezza e che rimarrà, probabilmente, nella nostra memoria quando rievocheremo in futuro i tempi, poco gloriosi, del Coronavirus. Chi può resti a casa, quindi. Con ciò intendendo la possibilità di svolgere un lavoro da remoto. Dicasi altrimenti lavoro agile o smart working, nella sua originaria definizione.

In un recente lavoro IRPET ha quantificato, mediante una complessa procedura di analisi, la potenziale dimensione e le implicazioni distributive del lavoro agile. Le professioni individuate come potenzialmente eseguibili in modalità lavoro agile sono di tipo cognitivo (89,4% del totale), basate sul lavoro d’ufficio, sull’uso del PC, della posta elettronica e del telefono; si tratta di professioni caratterizzate da frequenti interazioni con colleghi e superiori, in cui le relazioni umane sono importanti, ma in parte mediabili con le tecnologie.

Le professioni tipiche del gruppo sono quelle impiegatizie, quelle impegnate negli sportelli bancari e assicurativi e gli insegnanti, i ricercatori e i professori universitari; nel 38% dei casi gli occupati in professioni svolgibili da remoto hanno una laurea e le loro retribuzioni orarie sono del 30% superiori alla media toscana.

Il gruppo delle professioni potenzialmente eseguibili da remoto comprende in Toscana 481.622 occupati, pari al 32,6% del totale1, una percentuale nettamente superiore a quella che, secondo l’Indagine Istat sulle Forze Lavoro, lavorava abitualmente o saltuariamente da casa prima dell’emergenza sanitaria (5,4% nel 2017).

Il 44,5% degli occupati lavora invece in professioni non telelavorabili, che richiedono di recarsi sul luogo di lavoro per svolgere le proprie mansioni. Restano fuori dalle definizioni di telelavorabilità o non telelavorabilità (e quindi dalla nostra analisi) il 22,9% degli occupati toscani, che appartengono a un gruppo di professioni perlopiù legate al mondo del lavoro autonomo e dei professionisti, a cui l’istituto dello smart working non è giuridicamente applicabile.

La possibilità di lavorare da casa, considerata non solo in questa fase emergenziale un privilegio, non è tuttavia uniformemente ripartita tra i lavoratori. Il grafico 5.A mostra, ad esempio, che il 35% degli over55 è impiegato in professioni telelavorabili, potendo così evitare i rischi di contagio legati all’emergenza sanitaria, notoriamente più impattante sulla popolazione matura.

I lavoratori sotto i 35 anni sono invece concentrati nelle professioni non telelavorabili, che assorbono il 55% degli occupati più giovani. Gli stranieri sono concentrati nelle professioni non telelavorabili (71% del totale degli stranieri), che assorbono anche la maggior parte degli occupati di genere maschile (52%); le donne, notoriamente sovrarappresentate nelle professioni impiegatizie oltre che nell’insegnamento, si concentrano per il 37% in professioni che possono essere svolte anche in modalità di lavoro agile.

Tali differenze riflettono il peso dei gruppi demografici nei settori economici, che come evidenzia la tabella 5.B presentano una diversa esposizione al lavoro agile. In alcuni settori dei servizi (Servizi di informazione e comunicazione, Attività finanziarie e assicurative, Amministrazione pubblica e difesa assicurazione sociale obbligatoria, Istruzione, sanità e altri servizi sociali) la telelavorabilità riguarda ben oltre la metà degli occupati, mentre in altri, come l’agricoltura, le costruzioni e il comparto alberghiero-ristorativo, prevalgono nettamente le professioni non telelavorabili.

Le differenze settoriali nella possibilità di ricorso al lavoro da remoto hanno riflessi diretti sulla distribuzione territoriale dell’incidenza di posizioni telelavorabili. Per consentire una maggiore disaggregazione territoriale dell’analisi sono stati utilizzati congiuntamente i dati dell’ultimo censimento della popolazione (per la matrice di spostamenti pendolari per motivi di lavoro) e i dati della banca dati Archimede di ISTAT (per l’aggiornamento dei livelli di pendolarismo per comune); a questi è stata aggiunta l’informazione relativa alla telelavorabilità attraverso una imputazione probabilistica basata su alcune caratteristiche individuali2.

Le aree urbane corrispondenti in larga parte ai SLL incentrati sui comuni capoluogo di provincia sono quelle che mostrano una maggiore potenzialità di ricorso al lavoro agile, per la presenza di attività dei servizi avanzati e della pubblica amministrazione locale e centrale (Firenze, Pisa, Siena). Su livelli inferiori si attestano invece le realtà urbane con una forte presenza di aree distrettuali (Arezzo, Lucca, e ancor più Prato e Pontedera), mentre in coda all’ordinamento troviamo i SLL della Toscana del sud a prevalenza agricola e turistica.

L’utilizzo dell’informazione legata agli spostamenti pendolari consente qualche considerazione sull’impatto che il ricorso al lavoro agile può avere sul sistema della mobilità regionale. Limitando l’analisi ai flussi interni al territorio regionale (che trovano quindi sia origine che destinazione nei comuni toscani), si potrebbe ridurre di circa 400.000 unità il numero di pendolari che insistono quotidianamente sul sistema di trasporto toscano.

Di questi, circa il 76% utilizza abitualmente il mezzo proprio per lo spostamento (una propensione leggermente inferiore alla media complessiva), traducibile, in circa 300.000 veicoli (270.000 auto e 30.000 moto) in meno sulle strade regionali e, ipotizzando uno smart working basato su metà settimana sul luogo di lavoro e metà a casa, ad una riduzione delle emissioni di CO2 di 192.500 tonnellate su base annua (circa il 3% delle emissioni di CO2 da trasporto della Toscana).

Un ulteriore effetto rilevante del lavoro da remoto è il risparmio del tempo impiegato quotidianamente per lo spostamento casa/lavoro (Tab. 5.D). La distribuzione dei bacini di pendolarismo rende tale misura leggermente superiore alla media per le professioni potenzialmente telelavorabili (42 minuti al giorno contro i 38 delle professioni non telelavorabili).

1 Dal totale sono esclusi gli occupati in professioni sanitarie, non considerati nell’analisi

2 In particolare, l’imputazione si basa su una regressione logistica svolta sui dati delle Forze di Lavoro Istat, cui l’appartenenza al gruppo telelavorabile/non telelavorabile è spiegata dal genere, il titolo di studio, la cittadinanza, il settore di attività economica e il gruppo professionale

di Istituto regionale programmazione economica della Toscana – Irpet