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Nuova legge toscana sul territorio, si riaccende il dibattito (1)
[18 Marzo 2014]
Prima l’intervento di Giuseppe De Luca, poi quello di Mazzantini, il dibattito sulla nuova legge toscana sul territorio si rianima. De Luca non contesta la nuova legge, De Luca riconosce che la nuova legge assume prospettive diverse di pianificazione, ridisegna il processo di governance interistituzionale a partire da un ruolo di preminenza ed essenzialmente di controllo della regione, mentre con la legge 1 si era impostata la subordinazione della programmazione economica regionale alla pianificazione statutaria; il procedimento unificato che includeva tutti i livelli istituzionali per semplificare il sistema autorizzativo in modo da controllare, così, le trasformazioni fisiche determinate sul territorio dalle politiche settoriali; ed infine la valutazione integrata, rilevante innovazione, disciplinare e di prassi perché includente nel sistema del governo la valutazione ambientale strategica.
Mazzantini difende invece la proposta di legge di riforma perché propone norme più rigide per il controllo o la limitazione del consumo di suolo e perché snellirebbe le procedure, i tempi di predisposizione degli strumenti di pianificazione.
E’ come se giocando a briscola uno abbia calato picche e l’altro abbia risposto a cuori.
La parabola della legge 1 è stata breve perché presupponeva autorevolezza politica e capacità tecnico operativa dei vari enti. Di più, la legge 1 è naufragata anche per difetti suoi, perché i tempi della pianificazione sono comunque lunghi in assenza di una memoria lunga della storia del territorio che non si è costruita (il fallimento dei SIT, per opposizione comunale a quelli unificati provinciali, è ormai sotto l’occhio di tutti), perché gli strumenti sovraordinati, il PIT ed i PTC si sono rivelati delle narrazioni ma non dei piani urbanistici.
La nuova legge, che vuole ricondurre alla Regione un ruolo forte di impulso e controllo rischia però di fare altrettanto, almeno per due motivi, si innesta, come dice giustamente De Luca su di un PIT pensato per un altro contesto istituzionale e legislativo, che quindi in quanto narrativo potrà anche essere strumentalmente utilizzato; impone delle semplificazioni che, in linea di principio condivisibili, quale appunto quella della limitazione del consumo di suolo, non possono essere ridotte come qualcuno lascia intendere ad un perimetro “stretto” attorno agli insediamenti esistenti, anzi che pure si insinua dentro, perché il rischio concreto è quello, questo si grave, di un totale congelamento della città esistente.
Quindi, se ci può essere un contributo da dare a questa discussione è nell’invito a rinunciare a definizioni senza alternative, tautologiche, almeno per due motivi. Il primo è che le strutture tecniche ed amministrative degli enti, a tutti i livelli, si sono depauperate e sarà difficile trovare risorse umane per fare i piani, dato atto che l’università non sforna più urbanisti da tempo, prescindendo poi dalla reale conoscenza del territorio che non si esaurisce nella teoria ma si concretizza nella esperienza quotidiana di questo. Il secondo motivo è che se obiettivo prioritario è la rigenerazione urbana, la ristrutturazione urbanistica, gli strumenti che si paventano non sembrano in grado di essere utili, perché abbiamo enorme frazionamento della proprietà immobiliare, carenza di risorse pubbliche, incentivi che al momento sono solo un premio volumetrico, che in alcuni casi potrebbe essere peggio di un po’ di edilizia aggiuntiva in periferia. Infine, sembra trasparire un distacco dell’urbanistica dall’economia, si parla di identità e di statuto, di beni comuni, ma poi se qualcuno vuole investire che si fa? Si fanno le corse, e che corse, per far realizzare l’IKEA di turno? Tanto che come dice la proposta di legge i centro commerciali inopinatamente si possono fare anche fuori dell’urbanizzato?
La sensazione è che la nuova legge voglia marcare la distanza politica dalla vecchia (anche se è sempre lo stesso partito che l’approva e qualcosa vorrà pur dire), ma non si faccia carico di pensare come si gestirà tutto questo. Non si ricorda più che quando nacque la Regione insieme alle leggi si costruirono le strutture tecnico amministrative e che le strutture nacquero selezionando il meglio che c’era negli enti locali, cioè tra coloro che tutti i giorni erano in prima fila? Non si ricorda che i piani allora si approvavano tramite la Commissione regionale tecnica amministrativa, la CRTA, ma con tanto di istruttoria al tavolo e in loco da parte di tecnici regionali, di relazione finale di qualche urbanista di calibro dentro la CRTA ? Oppure si pensa che tutto vada a posto perché lo si dice?
Insomma, forse qualche riflessione in più prima dell’approvazione della legge non sarebbe poi fuori luogo.
Mauro Parigi