Cemento: il grande inquinatore invisibile
Per raggiungere gli obiettivi climatici dell’Accordo di Parigi, l’industria del cemento deve più che raddoppiare gli sforzi
[10 Aprile 2018]
Il cemento è ovunque: nelle nostre case, nelle nostre scuole, nelle nostre strade, nei nostri ponti, persino nella cupola del Pantheon di Roma. E’ stato un elemento costitutivo della civiltà per oltre 2000 anni ed è uno dei materiali più usati sulla Terra. Ma questo è un problema. L’industria del cemento rappresenta il 6% delle emissioni globali di CO2 ed è il secondo settore industriale più inquinante e viene utilizzato nel calcestruzzo, che dopo l’acqua, è il prodotto più consumato al mondo. L’ambiente costruito, che comprende uffici e edifici residenziali, utilizza ampiamente il calcestruzzo e rappresenta oltre un terzo delle emissioni globali. E il Carbon Disclosure Project (CDP) sottolinea che «La regolamentazione del settore finora è stata scarsa, ma le crescenti iniziative per città low carbon e l’inasprimento dei regolamenti edilizi potrebbero portare a un cambiamento catena».
Il nuovo rapporto “Building pressure – Which cement companies will be left behind in the low-carbon transition?” del CDP, prende in esame 13 delle più grandi compagnie del cemento quotate del mondo e rivela che, se vogliono contribuire a imitare il riscaldamento globale a meno di 2 gradi centigradi, come concordato nell’Accordo di Parigi sul clima, devono di raddoppiare le loro riduzioni delle emissioni. Le compagnie analizzate nel rapporto CDP hanno in totale una capitalizzazione di mercato 150 miliardi di dollari e rappresentano il 16% della produzione globale di cemento. Anhui Conch, Siam Cement, Dangote Cement e China National Building Materials non hanno risposto al questionario sul cambiamento climatico 2017 di CDP e quindi non sono incluse nel rapporto e CDP incoraggia gli investitori «a sollevare questa mancanza di trasparenza nelle discussioni con la direzione dell’azienda».
Grazie alla riduzione dell’impronta di carbonio durante il processo di produzione del cemento, in testa alla classifica CDP ci sono le compagnie dell’India, in parte anche grazie a un migliore accesso a materiali alternativi provenienti da altri settori ad alta intensità di carbonio. Inoltre, grazie all’elevata crescita del mercato nella regione, l’India beneficia di cementifici più nuovi e più efficienti rispetto a quelli europei che sono più vecchi.
Presentando il rapporto l’amministratore delegato di CDP, Paul Simpson, ha ricordato che «Il cemento è un inquinatore forte e in gran parte invisibile, ma è dato per scontato come un elemento di base fondamentale della civiltà. Con la pressione potenziale proveniente da più fonti, tra cui la catena di valore sotto forma di regolamentazione degli edifici e delle città, per evitare rischi imminenti per le loro attività e il resto del mondo, le compagnie del cemento devono investire e innovare. All’inizio questo può sembrare difficile ma, per ogni anno di ritardo, il costo diventa maggiore, quindi i management team, i regolatori e gli investitori devono pensare a lungo termine. La soluzione c’è: per trovarla le compagnie del cemento devono solo investire correttamente».
Inoltre, per le imprese che agiscono in anticipo sul rischio climatico ci sono delle opportunità: «Le aziende – dice il rapporto – possono ridurre i costi rendendo i loro cementifici più efficienti dal punto di vista energetico e assicurando la loro posizione nei futuri mercati del cemento sostenibile investendo in prodotti low carbon. I governi possono facilitare lo sviluppo di questi mercati attraverso la regolamentazione e gli incentivi».
Il rapporto evidenzia anche altri potenziali rischi e opportunità per il settore e la principale non sarà gradita a diverse associazioni ambientaliste: «Il Carbon Capture and Storage (Ccs) è un’importante tecnologia per la creazione di cemento low carbon», anche se è lo stesso CDP ad ammettere: «Ma i progetti Ccs nel settore sono ancora in gran parte nella fase pilota. Heidelberg mostra alcuni investimenti in Ccs attraverso varie tecnologie ma, in caso contrario, i progressi sono limitati».
Il calcare – un ingrediente chiave nel cemento – emette carbonio durante il processo di produzione. Per ridurre le emissioni, le compagnie dovrebbero cercare di aumentare l’uso di materiali alternativi naturali (come le pozzolane e le argille calcinate), ma che tendono ad essere più difficili da reperire perché spesso si trovano in siti molto specifici e limitati, «ma esplorare le opzioni per tali alternative potrebbe fornire una soluzione vitale alle emissioni associate al processo di cemento», dicono al CDP-.
Nel frattempo, molte aziende si affidano anche a materiali alternativi che sono a loro volta associati a settori ad alto potenziale, come le ceneri della produzione di carbone e le scorie di carbone, ma anche qui il CDP avverte: «Sebbene sia utile per l’impronta di carbonio delle compagnie del cemento, fare affidamento su altri processi ad alto potenziale energetico non è una soluzione a lungo termine. In Europa, ad esempio, le aziende stanno già affrontando una fornitura limitata di questi materiali e stanno cercando altrove. Con il tempo, altri mercati dovranno seguire l’esempio«. Inoltre, le compagnie del cemento europee beneficiano di «carburanti alternativi provenienti dalla raccolta di rifiuti organizzata, che diventa la fonte di carburante per la produzione di cemento. Su questo, a causa di infrastrutture limitate, i produttori dei mercati emergenti sono indietro».
Il CDP è convinto che «Esiste una soluzione per il settore, ma richiederà un pensiero a lungo termine, un’azione rapida e investimenti adeguati da parte delle aziende, e questo deve essere facilitato all’esterno. Qui, i governi e i regolatori possono essere il motore chiave del cambiamento e, cosa interessante, la pressione potrebbe non venire solo da specifici regolatori del settore, ma dalla catena del valore. Man mano che le città aumentano le loro ambizioni di diventare low carbon gli enti regolamentatori potrebbero allargare la loro attenzione, le compagnie del cemento potrebbero subire crescenti pressioni per adeguare le loro pratiche e allinearsi alla necessità globale di affrontare i cambiamenti climatici».
Ma la situazione è ancora lontana dall’essere quella descritta dal CDP: cinque grandi compagnie globali del cemento non utilizzano un internal carbon price, «Il che rappresenta un rischio significativo in un settore in cui la legislazione sui prezzi del carbonio potrebbe avere un impatto rilevante».
Il rapporto evidenzia anche che «La regolamentazione del carbonio, come l’Emissions Trading Scheme dell’Ue, è il meccanismo chiave per regolare le emissioni del settore in Europa. Tuttavia, le questioni strutturali e la lobbying dei responsabili politici hanno indebolito il potenziale di cambiamento per il settore» Come se non bastasse, ad esclusione di Cementos Argos, le compagnie del cemento non stanno incentivando la gestione del rischio climatico a lungo termine.
Il rapporto CDP valuta le imprese in quattro aree chiave previste dalle raccomandazioni della Task Force on climate-related financial disclosures (Tcfd) task force di Mark Carney. Dato che le raccomandazioni della Tcfd sono sempre più note e applicate, gli investitori si aspettano sempre di più che le compagnie del cemento rivelino come stanno adeguando i loro modelli di business per gestire i rischi della transizione energetica e climatica, sfruttando al contempo l’opportunità di produrre entrate con la transizione globale verso un’economia low carbon.
Marco Kisic, senior analyst di CDP, conclude: «Le compagnie del cemento hanno fatto dei progressi verso la riduzione delle loro emissioni, ma devono fare molto di più. È chiaramente una storia complicata a causa della nostra dipendenza globale dal cemento e delle emissioni intrinseche del settore, ma ci sono cose che possono essere fatte. Le compagnie del cemento dovrebbero guardare ai modi per utilizzare ulteriormente materiali e carburanti alternativi, migliorare l’efficienza energetica dei loro impianti e accelerare gli investimenti in tecnologie low carbon come la carbon capture and storage, che è cruciale per la loro redditività a lungo termine. Qui, la regolamentazione può essere il motore chiave del cambiamento e, cosa interessante, potrebbe provenire dal downstream, in quanto i regolatori ed i proprietari di immobili stanno spostando la loro attenzione dalle emissioni operative a quelle associate alla creazione degli edifici stessi».