Altro che Silicon valley, arriva da Galileo la lezione sull’innovazione che serve all’Italia di oggi
Galileo reloaded, dell’economista Luciano Canova, dà nuova luce all’eredità del celebre scienziato pisano
La storia di Galileo è potente «perché ci parla attraverso i secoli, per i paradossi che porta con sé e le pieghe del tutto umane che si nascondono dietro un nome destinato per lo più a impolverare i cartelli di piazze e vie d’Italia». Il panno con cui dargli una bella ripulita e mettere in prospettiva la storia di un uomo straordinario, responsabile di aver dato il la nientepopodimeno che al metodo scientifico sperimentale, arriva con la pubblicazione di Galileo reloaded (Egea, 2018), dato alle stampe con la firma dell’eclettico economista Luciano Canova, ormai da anni membro del think tank di greenreport.
Nelle sue pagine, Canova ci restituisce il lato umano e quello profetico dello scienziato toscano, nato a Pisa nel 1564 e da lì assurto a gloria eterna con un percorso a tappe che ricorda da vicino – con le dovute proporzioni – gli eroi da garage della Silicon valley in stile Steve Jobs. Galileo era un genio precoce, che a 17 anni riuscì a iscriversi all’Università di Pisa, dove nel 1584 gli venne assegnata la cattedra di Matematica prima di passare a insegnare in uno degli Atenei più all’avanguardia dell’epoca, quello di Padova. Ma non si laureò mai. Per dedicarsi alla matematica, che nel ‘500 non era diciamo tra le materie più in voga, piantò gli studi formali intrapresi in Medicina – un po’ come, qualche secolo dopo, fece un certo Charles Darwin – e unì alla scienza una buona dose di self-marketing e intuizioni commerciali. I soldi, ricorda infatti il Canova, erano «una necessità per la famiglia Galilei, e lo furono nel corso di tutta la carriera dello scienziato». E il successo economico arrivò: da professore giovane e squattrinato, a Padova Galileo divenne una sorta di rock star – mentre «un po’ stronzo» lo era sempre stato – tra gli accademici, con lezioni seguitissime alternate a festini e bagordi, finanziandosi non solo con lo stipendio garantitogli dall’Università ma anche grazie a invenzioni remunerative quali il compasso geometrico militare e – soprattutto – il cannocchiale. Uno strumento che già circolava, ma che Galileo seppe migliorare e commercializzare.
Ma non è stato per il marketing che Galileo viene oggi ricordato come il padre della scienza: già a Pisa, l’ambito in cui Galileo fece già la differenza, fu nel metodo di insegnamento e nell’approccio: se «si parlava di caduta dei gravi e Aristotele ipotizzava una velocità di caduta proporzionale al peso dei corpi, non c’era niente di meglio che uscire dall’aula e testarlo direttamente. Magari facendo cadere dei sassi di grandezza diversa dalla cima della torre pendente. Era un sampietrino bello e buono lanciato al cuore ella scuola aristotelica, un atto di vandalismo intellettuale – spiega Canova – che portava già in sé il germe del cambiamento e del metodo sperimentale».
Poi, certo, ci fu la questionciucola del Dialogo sopra i due massimi sistemi. Puntare per la prima volta il cannocchiale verso il firmamento alimentò la curiosità vorace dello scienziato, che diede alle stampe il Dialogo nel 1632: un’opera capace – nonostante la successiva costrizione all’abiura arrivata da parte della Chiesa guidata da Urbano VIII – di dare lo slancio definitivo al modello eliocentrico, minando alla base la secolare teoria che voleva la Terra (e l’uomo) centro immobile dell’Universo. E questo nonostante Galileo volesse difendere la teoria copernicana utilizzando, tra l’altro, «l’argomento delle maree, secondo lui spiegabili proprio in virtù del movimento terrestre che, come un secchio fatto girare su sé stesso, produce sistematicamente il debordare e il rientrare della superficie d’acqua». Un argomento che oggi sappiamo essere sbagliato (le maree dipendono dall’attrazione della Luna), ma che proprio per questo restituisce umanità a una visione di portata rivoluzionaria.
Ma oggi, nel 2018, cos’altro potrebbe insegnare all’Italia una figura come quella del Galilei? Canova risponde a questa domanda centrale proprio attraverso alcuni punti che sono fondamentali anche nella vita dello scienziato. È la vita stessa di Galileo, infatti, a riassumere metaforicamente alcune delle principali sfide – e il modo di superarle – che attendono oggi il Paese. Galileo è stato infatti un cervello in fuga poi ritornato a casa (andata e ritorno dal Granducato della Toscana), uno start-upper in cerca di finanziamenti (che Venezia seppe dargli), un settantenne che – dopo l’umiliazione dell’abiura – seppe trovare l’intelligenza e la fibra morale per pubblicare un trattato di Mecanica che costituì la base «su cui Newton avrebbe costruito poi la legge di gravitazione universale». Un esempio di tenacia, oltre che di scienza, cui non sarebbe male tornare a guardare anche per delineare politiche pubbliche capaci di ridare spazio a vigore all’italico genio.