L'illuminazione pubblica nel suo ultimo studio, prima della chiamata di Mattarella
Carlo Cottarelli contro l’inquinamento luminoso, una parabola italiana
Ogni italiano spende il quintuplo di un tedesco per tenere accesi i lampioni, uno spreco che si tenta di tagliare (almeno) dal 2012. Incontrando sempre l’ostilità di Governo e Parlamento
[29 Maggio 2018]
Il nuovo premier in pectore Carlo Cottarelli sta lavorando alacremente alla lista dei ministri che comporranno il prossimo governo italiano, compito affidatogli dal presidente Mattarella pur nella consapevolezza che con tutta probabilità si tratterà di un esecutivo a breve scadenza: con un Parlamento ostile, l’orizzonte più probabile rimane quello di un ritorno a elezioni subito dopo l’estate. Non per questo i prossimi mesi saranno meno decisivi – anzi – per il futuro del Paese. Decifrarli in anticipo è ad oggi impossibile, viste l’incertezza e la liquidità che caratterizzano l’attuale quadro politico (ed economico, con il maligno spread che sta tornando ai fasti del 2011), ma per provare a fare luce sul paradosso che stiamo vivendo può essere utile concentrarsi su un dettaglio apparentemente insignificante: la lotta contro l’inquinamento luminoso e gli sprechi collegati.
Appena una settimana fa l’Osservatorio dei conti pubblici italiani diretto proprio da Cottarelli pubblicava – grazie anche all’aiuto di uno studioso noto da tempo ai lettori di greenreport, il ricercatore dell’Istil Fabio Falchi – un’analisi dell’illuminazione pubblica nazionale dal titolo molto chiaro: «Spendiamo troppo».
L’Osservatorio nota infatti che l’Italia nel 2017 ha speso 1,7 miliardi di euro per l’illuminazione pubblica, consumando 6.000 GWh, gli stessi di dieci anni fa: si tratta di 100 kWh a testa, il doppio dei 51 kWh della media europea. Questo significa anche che la spesa pro capite in Italia è stata di 28,7 euro, molto più alta della media dei principali paesi europei (16,8 euro), di Francia (20,3 euro), Regno Unito (14,2 euro) e Germania (5,8 euro): in altre parole spendiamo il quintuplo della Germania per tenere i lampioni accesi. Tra l’altro con pessimi risultati sociali e ambientali, oltre che economici.
Se anche non fosse vero che «non esiste – come spiegano dall’Osservatorio citando gli studi più recenti in merito – alcuna correlazione statistica né tra maggiore illuminazione e sicurezza stradale, né tra presenza dell’illuminazione pubblica e eventi criminosi», è la stessa percezione degli italiani registrata dal Censis a mostrare come l’attuale inquinamento luminoso – più che semplice “illuminazione pubblica” – cui siamo esposti non riesca a portare sensazioni di sicurezza, e venga considerato al contempo inefficiente soprattutto tra i giovani (70,6%) e laureati (64,5%).
E questo, si badi bene, nonostante l’Italia sia uno dei paesi più luminosi d’Europa. Le immagini sull’ultimo studio in fatto di inquinamento luminoso pubblicato da Falchi su Science advances – The new world atlas of artificial night sky brightness – mostrano che la nostra casa nell’universo, la Via lattea, è ormai invisibile a un terzo dell’umanità e in particolare al 60% degli europei a causa dell’inquinamento luminoso. E l’Italia in questo contesto risulta particolarmente malmessa. Anche in termini di flussi luminosi pro capite, ad esempio, la distanza tra Italia e Germania è notevole: la media di flusso luminoso pro capite nel nostro Paese è quasi il triplo di quella teutonica. Come rimediare dunque?
In molti c’hanno provato in questi anni, Cottarelli compreso. Nel 2012 il governo Monti provò a lanciare insieme alla legge di Stabilità l’operazione “cieli bui” contro sprechi e inquinamento luminoso, subito bocciata dal Parlamento. L’idea venne poi rilanciata e migliorata nel 2014 da Cottarelli – allora incaricato dal governo Letta commissario straordinario per la Revisione della spesa pubblica – nelle sue Proposte per una revisione della spesa pubblica, che stimavano risparmi per «circa 300 milioni nel giro di tre anni» combinando una riduzione dell’illuminazione pubblica che non riguarderebbe «aree urbane in cui circolano le persone» e investimenti in efficienza energetica (come il passaggio a illuminazione a Led), magari attraverso apposite linee di credito concesse dalla Cassa depositi e prestiti ai Comuni. Peccato che «attualmente nessuna di queste misure è stata adottata». Bocciate insieme al lavoro di Cottarelli come commissario dal governo Renzi. Tutto perduto allora?
Ma no, consola l’Osservatorio sui conti pubblici, nel 2018 la svolta: il ministero dell’Ambiente ha reso noti i “Criteri ambientali minimi per l’affidamento del servizio di illuminazione pubblica”, cioè i criteri che devono essere rispettati nelle gare d’appalto per l’illuminazione pubblica; peccato solo che presentino «diversi limiti», oltre ad essere «non del tutto stringenti». Ad esempio «i comuni potrebbero anche decidere di ammodernare impianti che non sono utili rispetto ai bisogni effettivi di illuminazione pubblica», e al contempo «i nuovi criteri favoriscono l’impiego di Led efficienti ma eccessivamente inquinanti rispetto alle tecnologie disponibili sul mercato».
Poteva forse allora andare meglio con la legge di Bilancio 2018, che «ha definito ambiziosi obiettivi di risparmio da perseguire mediante riduzione dei consumi» destinati all’illuminazione pubblica, e dunque alla contestuale riduzione dell’inquinamento luminoso? Forse, ma non lo sappiamo. Perché «né in legge di Bilancio, né in successivi interventi normativi, sono definite le modalità di attuazione». Dunque, carta straccia. Ed è un vero peccato non solo per l’ambiente, ma anche per noi che ci viviamo e per le nostre tasche.
Attuando gli interventi che torna adesso a riassumere l’Osservatorio diretto da Cottarelli i consumi pro capite italiani potrebbero infatti «essere ridotti nel medio-lungo periodo del 50% (arrivando, cioè, alla media europea di 51 kWh), generando risparmi notevoli». Del resto già la Germania tra il 2007 e il 2016 ha ridotto la sua spesa pro capite per l’illuminazione pubblica del 53%. E alcuni singoli Comuni italiani (come Cittadella, Carugate, Pessano con Bornago, Rapallo, Bollate e Rottofreno) hanno fatto anche di meglio, tagliando i consumi tra il 60 e l’80%. Migliorando probabilmente anche in salute, in quanto i danni causati dall’inquinamento luminoso non riguardano “solo” la perdita di biodiversità: «Un numero crescente di ricerche scientifiche – ricorda infatti l’Osservatorio – associa alcune conseguenze dell’eccessiva esposizione alla luce artificiale notturna (come la riduzione di melatonina nel sangue) ad alcuni tipi di cancro». Qui forse “l”emergenza sicurezza” non vale?
Sta di fatto che «al momento non esistono – concludono Cottarelli e gli altri autori – norme che possono limitare efficacemente l’elevato consumo di energia elettrica per illuminazione pubblica». Dal 2012 a oggi dunque niente è stato concretamente fatto contro l’inquinamento luminoso e gli sprechi pubblici (ovvero nostri).
La speranza però è l’ultima a morire, e forse l’Italia tornerà prima o poi – letteralmente – a riveder le stelle. Intanto ripartirà presto la giostra con un nuovo governo. Auguri. E l’ultimo spenga la luce.