Requisiti acustici passivi degli edifici: norma interpretativa incostituzionale
[5 Giugno 2013]
La norma di interpretazione dei requisiti acustici passivi degli edifici è incostituzionale. Perché produce disparità di trattamento tra gli acquirenti di immobili. Lo afferma la Corte Costituzionale – con sentenza 29 maggio 2013, n. 103 – in riferimento alla questione sollevata dal Tribunale di Busto Arsizio. Una questione riguardante la domanda risarcitoria proposta dall’acquirente di un immobile nei confronti del venditore-costruttore e dell’appaltatore, per il mancato rispetto dei requisiti acustici passivi degli edifici fissati (quelli fissati dal Dpcm 5 dicembre 1997). Una domanda fondata non genericamente sulla violazione delle regole dell’arte nella costruzione degli edifici da parte del venditore-costruttore e dell’appaltatore, ma specificamente, sulla violazione dei requisiti acustici passivi previsti dalla normativa acustica.
Il Dpcm del 1997 – emanato in conformità a quanto previsto dalla legge quadro sull’inquinamento acustico (la numero 447 del 1995) – determina i requisiti acustici passivi e quelli delle sorgenti sonore interne agli edifici, al fine di ridurre l’esposizione umana al rumore, e prescrive i limiti espressi in decibel che gli edifici costruiti dopo la sua entrata in vigore devono rispettare.
Nella materia in questione è intervenuta, dapprima, la direttiva 2002/49/CE, relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale – recepita con il Dlgs 194/2005 – e, dopo la legge comunitaria 2008 che ha previsto una nuova delega al Governo, per integrare nell’ordinamento la direttiva del 2002 e per assicurare l’omogeneità delle normative di settore mediante l’emanazione di uno o più decreti legislativi.
In seguito e in riferimento ai requisiti acustici passivi degli edifici previsti dal Dpcm del 1997, la legge recante la delega al Governo per il riordino e la disciplina in materia di inquinamento acustico (la numero 88 del 2009) ha previsto che “in attesa del riordino della materia, la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti di cui all’articolo 3, comma 1, lettera e), della legge 26 ottobre 1995, n. 447, non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi sorti successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge”.
Successivamente, è intervenuta un ulteriore norma ossia quella del 2010 la numero 96 che ha introdotto una nuova interpretazione: “In attesa dell’emanazione dei decreti legislativi di cui al comma 1, l’articolo 3, comma 1, lettera e), della legge 26 ottobre 1995, n. 447, si interpreta nel senso che la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditorie acquirenti di alloggi, fermi restando gli effetti derivanti da pronunce giudiziali passate in giudicato e la corretta esecuzione dei lavori a regola d’arte asseverata da un tecnico abilitato”.
Secondo la Corte tale disposizione non interviene ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in questa contenuto, “riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario”, al fine di chiarire “situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo” in ragione di “un dibattito giurisprudenziale irrisolto” o di “ristabilire un’interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore” a tutela della certezza del diritto e degli altri principi costituzionali richiamati.
La norma disciplina la modalità di esercizio della competenza statale nella individuazione dei requisiti acustici degli edifici, regolando il procedimento per l’adozione del relativo Dpcm, ma non considera in alcun modo i riflessi di tali disposizioni nei rapporti tra privati.
Dunque la retroattività (termine che indica quella situazione in cui gli effetti di un atto giuridico si producono in un momento anteriore rispetto a quello in cui l’atto stesso è stato formato) della disposizione non trova giustificazione nella tutela di “principi, diritti e beni di rilievo costituzionale”, che costituiscono altrettanti “motivi imperativi di interesse generale, ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu)”. Al contrario, la norma, oltre a ledere il legittimo affidamento sorto in coloro che hanno acquistato beni immobili nel periodo nel quale vigeva ancora la norma “sostituita”del 2009, contrasta con il principio di ragionevolezza, in quanto produce disparità di trattamento tra gli acquirenti di immobili in assenza di alcuna giustificazione, e favorisce una parte a scapito dell’altra, incidendo retroattivamente sull’obbligo dei privati, in particolare dei costruttori-venditori, di rispettare i requisiti acustici.