Il Brasile dopo le elezioni, spiegato da chi ci vive lottando per ambiente e diritti
Brasile, 28/10/2018, ore 19.00, escono i risultati del 2° turno delle elezioni presidenziali: Jair Bolsonaro del Partido Social Liberal – PSL, ex militare,è eletto presidente del Brasile, con il 55,13% dei voti validi contro il 44,87% del suo avversario Fernando Haddad, del Partito dos Trabalhadores – PT, il partito di Lula, che per 14 anni è stato al potere.
Il telegiornale trasmette immagini del popolo brasiliano in festa, con la maglietta giallo-verde, quasi rivendicando le celebrazioni mancate degli ultimi due mondiali di calcio. A Salvador, invece, città del Nord-est e la più afro-discendente del Brasile, qualche macchina suonano il clacson e dalle finestre si sentono solamente poche urla di felicità. Nello stato di Bahia Haddad riceve il 70% dei voti, registrando uno dei suoi migliori risultati, purtroppo insufficiente dentro lo scenario nazionale. Un dato importante di queste elezioni è la percentuale del numero di astenuti, la più alta dal 1998: 31.370.371 (DatiTVBRASIL), corrispondente al 21,3% dell’elettorato che sommato al 2,14% di voti in bianco e 7,43% di voti nulli, arriva a un 30,87%, che forse avrebbe potuto cambiare l’esito del voto.
Difficile comprendere e commentare un risultato del genere, viste le contraddizioni che hanno caratterizzato la campagna politica del nuovo presidente che – anche se non apparso in dibattiti tanto quanto gli altri candidati – è sempre stato presente nelle reti social, rilasciando forti dichiarazioni, il più delle volte criticate dall’opposizione e, in alcuni casi, ritrattate da lui stesso.
Un’elezione caratterizzata più dall’odio nei confronti dell’avversario che da un’attenta analisi delle proposte del proprio candidato. Il rancore contro il PT e i suoi scandali legati alla corruzione ha avuto la meglio rispetto alla paura di avere come presidente una persona che troppe volte si è lasciata andare in dichiarazioni razziste, misogine, omofobiche e a favore della tortura.
È difficile poter prevedere quale sarà il nuovo scenario politico nazionale e internazionale. Il piano di governo del nuovo presidente eletto, registrato ufficialmente nel Supremo Tribunale Elettorale,critica il PT, dice quello che si dovrebbe risolvere ma non descrive come. Alcune questioni, come quella ambientale, sono poco dettagliate, mentre altre non vengono nemmeno citate.
Se Haddad, nel suo piano, parla di adozione di tecnologie verdi e energie pulite, di riforma fiscale verde per aumentare i costi dell’inquinamento e premiare investimenti e innovazioni a basso tenore di carbonio, sembrerebbe che la questione ambientale non sia prioritaria nel programma di Bolsonaro.
Sulla scia della sburocratizzazione e riduzione del numero dei ministeri, nel suo piano propone la creazione di un nuovo organo federale agropastorale, che riunisce al suo interno competenze che prima erano separate, come: politica e economia agricola, risorse naturali e ambiente naturale; difesa agropastorale e sicurezza alimentare, pesca e piscicoltura, sviluppo rurale sostenibile; innovazione e tecnologie.
Seguendo le orme del suo predecessore Michel Temer che, subito dopo aver preso il posto dell’allora presidentessa Dilma Rousseff, che ha subito un impeachment per “pedalata fiscale”, chiuse il ministero dello Sviluppo agrario (MDA – Ministero do Desenvolvimento Agrario), Bolsonaro ha preannunciato che il ministero dell’Ambiente sarà unificato con quello dell’Agricoltura, provocando critiche da parte degli ambientalisti e favorendo, invece, la lobby dell’agroindustria, che ha piùvolte appoggiato la sua candidatura durante la campagna elettorale.
Nel documento non compaiono riferimenti a questioni cruciali come la preservazione dei biomi brasiliani, deforestazione, riscaldamento globale, riduzione e compensazione dell’emissioni del carbonio. A livello internazionale, dopo aver sempre sostenuto che una volta eletto sarebbe uscito dall’Accordo di Parigi, considerandolo un attentato contro la sovranità nazionale del Paese, a pochi giorni dalle elezioni ritorna indietro sui suoi passi, dichiarando che non uscirà dall’Accordo ma che il Brasile dovrà mantenere la propria autonomia nella gestione delle questioni interne, tra queste la questione dell’Amazzonia. La stessa parola Amazzonia non appare nel suo programma mentre, sempre dalle sue dichiarazioni, risulta chiara la volontà di sfruttarne le risorse naturali, come il niobio e il grafene, e di avanzare nel processo di deforestazione per ottenere più terra per l’allevamento bovino e la produzione della soia, a scapito delle aree di protezione ambientale e riserve indigene.
Tra le tante dichiarazioni lasciate, Bolsonaro aveva promesso che, se eletto, l’avrebbe fatta finita con le terre indigene e quilombolas, che taglierà i finanziamenti alle Ong e che non ci sarebbe più stato un centimetro di terra demarcato per indigeni e quilombolas. Tra giugno e settembre del 2018, l’Istituto nazionale di ricerche spaziali del Brasile (Instituto de PesquisasEspaciais – Inpe) ha registrato un aumento dell’36% di deforestazione in più rispetto al 2017, ovvero già in campagna elettorale si è assistito ad une forte depredazione ambientale.
Chiaro è invece il messaggio del piano di governo sulle licenze ambientali che, per non avere dubbi, cita come esempio le idroelettriche, criticando la rigida legislazione brasiliana, che necessita anche di dieci anni per il rilascio delle concessioni. Nonostante la recente tragedia di Mariana nello stato di Minas Gerais, nel 2015, il più grande disastro ambientale nella storia del Brasile, dovuto al cedimento di un bacino di decantazione di una miniera di ferro, dove più controlli invece sarebbero stati necessari per prevenire il disastro, Bolsonaro suggerisce di diminuire a 3 mesi il periodo per il rilascio delle licenze, passati i quali sono rilasciate automaticamente. Come più volte ha sostenuto, le multe e fiscalizzazioni degli organi ambientali federali soffocano l’espansione dell’agroindustria e alimentano il business delle multe, riferendosi apertamente all’Istituto brasiliano dell’ambiente e delle risorse naturali rinnovabili (Ibama) e Istituto Chico Mendes per la conservazione della biodiversitá, organi federali di preservazione e fiscalizzazione ambientale. Insomma, più produzione, meno ambiente.
Durante il suo secondo discorso ufficiale come presidente rivolto all’intera popolazione (mentre il primo è stato via internet e rivolto ai suoi militanti) Bolsonaro torna a parlare di proprietà privata, come aveva fatto il giorno prima delle elezioni su twitter. In un’intervista Bolsonaro ha dichiarato: “Il tuo cellulare, la tua terra sono frutti del tuo lavoro e delle tue scelte! Sono sacri e non possono essere rubati, invasi o espropriati”. Qualsiasi invasione di proprietà privata, indipendentemente dal fatto di essere improduttiva o di non compiere la sua funzione sociale, sarà considerata quindi come crimine di terrorismo, citando come esempio il Movimento dei Lavoratori senza Tetto (MTST, Movimento dos Trabalhadores Sem Teto. Propone di facilitare l’acquisto delle armi da fuoco, affinché ogni cittadino possa difendere la sua proprietà privata da invasori e occupazioni, che potremmo anche leggere come una minaccia non solo ai processi di occupazione, ma anche ai processi di demarcazione di terre indigene e titolazione di terre quilombolas.
I quilombolas, che quotidianamente affrontano forti tensioni e conflitti locali, dovuti principalmente all’installazione di grandi imprese nelle comunità circostanti ed al confronto con gli ex proprietari dei terreni, rappresentano una delle minoranze frequentemente attaccate dal nuovo presidente. Ad ottobre del 2017 Bolsonaro era già stato condannato dalla Giustizia Federale di Rio De Janeiro a pagare una multa di 50.000 reais come indennizzo per danni morali collettivi alle comunità quilombolas e alla popolazione afro discendente in generale, per dichiarazioni razziste rilasciate durante un evento pubblico. Ciò complica una situazione abbastanza delicata, visto che nonostante i progressi nella legislazione e nei programmi di sviluppo socioeconomico delle comunità quilombolas, appoggiati dal partito sconfitto, paradossalmente, non sono state sconfitte le dinamiche di potere locali che mettono in discussione la realizzazione dei diritti dei quilombolas
Dopo poche ore dalla nomina del nuovo presidente del Brasile, frasi di conforto e protezione si moltiplicano nelle reti social, tra chi ha lottato tanto contro un ritorno della dittatura e ondata di violenza nel paese: “Ninguem solta a mão de ninguem”,“Protejaseusamigos”. I quilombolas sono coscienti del fatto che i loro diritti difficilmente saranno garantiti e che molte delle conquiste ottenute rischiano di retrocedere. Secondo i dati della Commissione Pastorale della Terra, nel 2017, 71 persone sono state uccise per conflitti legati alla terra. Nella maggior parte dei casi i colpevoli non sono stati identificati. L’indice di violenza sarà purtroppo destinato a crescere, come già sta succedendo a poche ore dal post elezione. In un momento dove le comunità si trovano sprotette, l’unica arma possibile per difendersi è la coesione e partecipazione a reti nazionali e internazionale di difesa.
Oggi mi sono svegliato ricevendo un messaggio de Ananias Viana, attivista quilombola, che ha inviato ai rappresentanti delle comunità quilombolas, partner e amici: “Stimati compagni e compagne, abbiamo perso le elezioni ma non abbiamo perso la forza per continuare a lottare per un Brasile che sia uguale per tutti. Continueremo le nostre lotte, organizzandoci collettivamente. La collettività è la forma migliore per mantenerci fermi e conquistare diritti e uguaglianza. Non dobbiamo disanimarci. La nostra vita non è mai stata facile, fin dall’epoca della schiavitù, ma abbiamo superato molte difficoltà e sfide. Manteniamo la fede in Dio, negli Orixas e lottiamo insieme. Abbiamo perso ma non siamo caduti. Siamo ancora in piedi per continuare a lottare con forza, seguendo il cammino per una vita degna e egualitaria per tutti”.
di Leonardo di Blanda, responsabile progetto Cospe in Brasile