Madagascar: i pescatori e le ONG contro l’accordo di pesca con la Cina
Un investimento da 2,7 miliardi di dollari che consegnerebbe la pesca malgascia in mani cinesi
[13 Novembre 2018]
In Madagascar il cambiamento sembra lontano: la Commission électorale nationale Indépendante (Céni) procede a rilento nella pubblicazione dei risultati del primo turno delle elezioni presidenziali del 7 novembre e a metà dei seggi scrutinati sono nettamente in testa l’ex presidente della transizione Andry Rajoelina è al 39% e l’ex presidente Marc Ravalomanana al 36%, che si scambiano accuse di brogli. Intanto il Partito del presidente uscente Hery Rajaonarimampianina ha detto che «Lo scrutinio non è conforme alla legge» e che presenterà ricorsi di fronte alle istanze competenti.
Chi andrà al secondo turno si saprà solo il 20 novembre, ma è chiaro che la battaglia e tra i soliti noti. Prima di andarsene, il 6 settembre, Rajaonarimampianina ha fatto in tempo a firmare a Pechino un accordo al 7e forum sur la coopération sino-africaine (focac 2018) che prevede «La creazione di 10.000 posti di lavoro diretti in Madagascar nei prossimi tra anni», Si tratta di un accordo quadro tra l’Agence Malagasy de Développement Economique et de Promotion des Entreprises (Amdp) e il consorzio cinese um Taihe Century Investments Developments che prevede 6 progetti strutturali in Madagascar nei settori della pesca, dell’acquacoltura e della lotta alla pesca illegale, dei cantieri navali, dei centri turistici e un centro di formazione. Il tutto da realizzare entro il 2025 con un investimento da 2,7 miliardi di dollari.
A creare grande preoccupazione in Madagascar è l’annuncio che durante la prima fase triennale verrà realizzata una società di pesca costiera con la costruzione 330 pescherecci che, a breve termine, darà lavoro a 3,600 persone.
Rajaonarimampianina ha firmato l’accordo durante il periodo pre-elettorale di 60 giorni durante il quale il presidente del Madagascar dovrebbe astenersi da sottoscrivere accordi ufficiali con Paesi stranieri.
L’Amdp era praticamente sconosciuta prima dell’accordo ed è stata voluta da Rajaonarimampianina, ma il presidente dell’Amdp, Hugues Ratsiferana, aveva annunciato a Pechino; «E’ tutta un’industria e una filiera che si struttura grazie a quest’accordo. Dalla formazione al lavoro diretto, questa partnership è un’opportunità unica per l’economia malgascia. Àlla fine, i nostri studi dimostrano che un bacino di 300.000 persone beneficeranno di questa nuova dinamica in Madagascar».
Inoltre, l’accordo con i cinesi prevede anche un secondo progetto per la desalinizzazuione dell’acqua di mare sulla costa della regione di Androy che prevede la produzione quotidiana di 10.000 m3 di acqua dolce che verranno stoccati e distribuiti nelle zone produttive dell’Androy e il governo di Antananarivo dice che «Questo permetterà la pinatagione di bambù al fine di rigenerare l’écosistema della regione. Questa produzione verrà fatta con il sostegno dell’INBAR (International Network for Bamboo and Rattan)».
Tutto a posto quindi? No a leggere la petizione online “Madagascar : Faire révoquer l’accord de pêche signé avec la Chine” che si troverà sul tavolo il prossimo presidente del Madagascar e che è promossa anche dalle associazioni dei pescatori.
La petizione ricorda che «Un buon numero di esempi nel nostro pianeta provano che la Cina non rispetta per niente l’ambiente. I cinesi non hanno saputo gestire correttamente le loro risorse naturali, che ora sono sull’orlo dell’esaurimento. Hanno quindi urgente bisogno di cercarle altrove e cercano di attingere alle risorse dei Paesi “fragili”. I loro metodi di pesca sono estremamente invasivi, devastanti e non selettivi. Questa diventerà molto rapidamente una grande catastrofe per il Madagascar e la sua popolazione: Esaurimento delle risorse alieutiche per tutte le specie; Crollo della catena alimentare della fauna e della flora sottomarina; Inquinamento da carbonio, rifiuti di plastica e reti da pesca; Danneggiamento del turismo costiero, perdita dell’ecoturismo e distruzione dell’ambiente; Desertificazione delle zone di pesca costiere sfruttate dai pescatori malgasci; Impoverimento del rifornimento di esce nel mercato malgascio; Importanti esigenze di acqua dolce per la flotta cinese; Scomparsa delle i migrazioni e delle aree di riproduzione, di balene, squali balena, balenottere e altri cetacei. E molto altro…»
All’accordo tra Amdp e cinesi si oppone perfino l’attuale ministro della pesca del Madagascar, Augustin Andriamananoro, che ha detto di averne avuto notizia sui giornali e che il 5 ottobre ha detto a TV Plus Madagascar «Questo potrebbe causare discordia e, se non siamo prudenti, il sovrasfruttamento del nostro oceano. Le risorse naturali del Madagascar sono in pericolo, in particolare i pesci. I pescatori sono stupefatti e atterriti».
E infatti le centinaia di migliaia di pescatori poveri che stanno già sovrasfruttando le risorse marine costiere sono spaventati dall’arrivo delle navi da pesca cinesi sulle quali magari dovranno lavorare con stipendi da fame e stravolgendo il loro stile di vita e di lavoro.
L’Amdp risponde alle critiche dicendo che l’accordo ha l’obiettivo di promuovere la blue economy del Paese. Ma tutto è stato fatto da una piccola associazione senza consultare il ministero della pesca e il Bureau national pour l’environnement e le associazioni della società civile, che quindi reclamano l’annullamento dell’accordo e accusano l’Amdp di non aver avviato nessuna gara di appalto e di non aver realizzato nessuna valutazione ambientale o consultazioni pubbliche. Le ONG sottolineano che «Le informazioni sulle attività di pesca e sulle catture nelle acque malgasce sono limitate, quindi ogni progetto deve essere intrapreso con estrema prudenza».
In un editoriale pubblicato su L’Express de Madagascar, Nanie Ratsifandrihamanana, direttrice del Wwf Madagascar scrive: «Non posso impedirmi di chiedermi: come e in cosa 330 navi nella nostra zona costiera potrebbero contribuire a una blue economy? Percè non è “blu” tutto quel che succede nell’oceano».
L’Amdp risponde che l’accordo Quadro con il consorzio pechinese è un’occasuone per l’economia locale e in una e-mail inviata a Mongbay, Ratsiferana assicura: «Essendo anche noi attori della società civile, abbiamo capito i bisogni dei pescatori tradizionali. La popolazione del Madagascar opererebbe su 300 pescherecci completamente nuovi che misurano 14 metri di lunghezza e contengono dei frigo con una capacità di 1,200 chilogrammi. I nuovi materiali permetterebbero ai pescatori di modernizzare e professionalizzare le loro pratiche di pesca. Le altre 30 navi misureranno 28 metri di lunghezza e serviranno alla sorveglianza e al salvataggio, così come alla raccolta del pescato».
Ma l’accordo sino-malgascio pecca di opacità e Mihari, una rete di associazioni marine malgasce, fa notare che «L’ampiezza di questo investimento è senza precedenti nella storia dell’Isola. E’ fonte di preoccupazione per i membri della nostra rete e per tutto il settore della pesca, soprattutto per il fatto che disponiamo di molto poche informazioni riguardanti il contenuto dell’accordo e su come verrà attuato».
In un recente incontro tra Amdp e Ong malgasce è stato confermato quanto approvato a Pechino ma l’Amdp non è stata in grado di dire dove verranno costruite le strutture previste, quale porto/i ospiterà i pescherecci sino/malgasci e quando prenderanno il via i programmi previsti. L’unica cosa ribadita è che i cinesi sono pronti a investire in tutto 2,7 miliardi di dollari.
Per cercare di smorzare l’opposizione montante, l’Amdp ha dichiarato che gli abitanti saranno i primi ad aver accesso al pescato e che solo il surplus sarà esportato in Cina, ma non si capisce quale sarebbe il guadagno di Taihe nel vendere il pesce in un Paese poverissimo come il Madagascar. L’Amdp ha anche promesso che ogni progetto previsto dall’accordo quadro verrà sottoposto a valutazione ambientale.
Argomentazioni e promesse che non hanno convinto le ONG, Dopo la riunione, Frédéric Lesné di Transparency International – Madagascar Initiative Ha detto a Mongabay che «L’Amdp non ha risposto alle nostre domande più importanti» e Transparency International e altre associazioni hanno confermato la loro opposizione all’accordo, denunciando che «L’Amdp non ha nessuna esperienza nel settore della pesca, rifiuta di comunicare delle informazioni su Taihe e non ha realizzato nessuno studio pubblico sul suo impatto sociale e ambientale».
Ratsiferana ha risposto che Le ONG dimostrano «Una grande ingenuità e l’opposizione a quest’accordo ha delle motivazioni politiche. Nel periodo elettorale in Madagascar, i firmatari [della petizione] e in primo luogo Transparency International, sono stati strumentalizzati da interessi e da giochi pericoli che vanno oltre loro». Le Ong ribattono che il pulpito da cui viene la predica è abbastanza compromesso: l’Amdp è una creatura del governo e mantiene una relazione ambigua con il potere, tanto che numerosi dei suoi membri hanno appoggiato apertamente Rajaonarimampianina in campagna elettorale.