Siria, cosa c’è dietro il tradimento dei kurdi del Rojava da parte di Donald Trump? (VIDEO)
I kurdi: gli Usa non li abbiamo chiamati noi. Abbiamo sconfitto il Daesh e ci difenderemo da soli dalla prossima invasione turca
[24 Dicembre 2018]
Ieri si è allineato anche il capo di stato maggiore militare israeliano, il generale Gadi Eisenkot, che ha detto che «La decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di ritirare le truppe americane dalla Siria è “significativa”, ma non dovrebbe essere esagerata». Infatti se Israele – in funzione anti-araba e anti-iraniana – ha appoggiato i kurdi non ha mai avuto nessuna simpatia per quelli turchi e siriani, troppo di sinistra e indipendenti e che non hanno mai nascosto la loro amicizia con i partiti progressisti palestinesi.
Ma Israele è solo una pedina del grande gioco mediorientale che Trump ha fatto saltare con uno dei suoi soliti tweet: «Abbiamo sconfitto lo Stato Islamico Siria», annunciando il ritiro delle truppe Usa dalla Siria e scaricando così chi ha davvero sconfitto lo Stato Islamico/Daesh: le milizie kurde del Rojava alleate con le forze progressiste arabe e delle altre minoranze nelle Forze democratiche siriane che hanno cacciato – pagando un pesantissimo tributo di sangue – il Califfato nero dalla sua “capitale” Raqqa.
La decisione di Trump, un vero e proprio tradimento, ha spiazzato il suo stesso staff e gli è costata le dimissioni del segretario alla difesa, James N. Mattis, che, secondo il New York Times avrebbe parlato espressamente di «Un tradimento dei curdi», aggiungendo che «I kurdi potrebbero diventare vittime di un attacco turco» e che «L’influenza della Russia e dell’Iran crescerebbe». Una tesi condivisa dai vertici militari statunitensi che non nascondono la loro preoccupazione per quest’ultima levata d’ingegno di Trump, facendo notare che il tradimento dei kurdi renderebbe più difficile per gli Usa conquistare la fiducia delle forze locali che vogliono la pace e che lottano contro i jihadisti in Afghanistan, Yemen, Iraq e Somalia. Inoltre, sia il segretario di Stato Usa Mike Pompeo, l’incaricato speciale per la coalizione internazionale contro lo Stato Islamico/Daesh, Brett McGurk, e il rappresentante speciale Usa per la Siria, James Jeffrey, hanno detto più volte che il Daesh è ancora presente in alcuni territori in Siria e quindi se i kurdi dovessero fronteggiare un’invasione turca a nord potrebbero riconquistare città e villaggi perduti. Un vuoto che sarebbe sicuramente occupato dall’esercito siriano e dai suoi alleati russi e iraniani.
Ma come si è arrivati al clamoroso autogol di Trump in Siria? Il 21 dicembre il presidente turco Erdogan Recep Tayyip Erdogan ha parlato al telefono con Trump di «Un coordinamento più effettivo in Siria» e poi, in un discorso televisivo ha rivelato senza problemi: «Ho parlato con Trump. I terroristi se ne devono andare dalla parte orientale dell’Eufrate altrimenti li rimuoveremo noi». Ma per farlo Erdogan e il suo governo islamista di destra avevano bisogno del via libera Usa: «Siccome siamo partner strategici con gli Usa, noi dobbiamo fare quello che è necessario – ha detto il sultano di Ankara – Ma loro devono adempiere alle promesse». E Trump ha dichiarato finita la guerra contro il Daesh e abbandonato alla vendetta di Erdogan i kurdi, i loro alleati e il sogno di una federazione democratica del nord della Siria all’interno di uno Stato federale siriano.
Le dichiarazioni di Erdogan, che fanno intravedere un dittatorello anatolico che da ordini alla più grande potenza del mondo, hanno messo in imbarazzo l’amministrazione Trump che si è affrettata a dichiarare che Trump avrebbe preso in piena autonomia la sua decisione e non per le pressioni di Erdogan (che però non si ha il coraggio di smentire).
In realtà quella di Trump di tradire i kurdi è stata una scelta così inaspettata che ha spiazzato non solo la sua Amministrazione e il Partito repubblicano ma anche lo stesso Erdogan che è impreparato a dare il via a una nuova invasione contro milizie che hanno resistito eroicamente al Daesh ai tempi della sua massima potenza.
Di fronte alle proteste del suo Partito e alle dimissioni nel suo staff, Trump continua nel suo atteggiamento arrogante, ma intanto ha rallentato un ritiro che sembrava dovesse essere immediato e in molti si chiedono quale sia – se ci sia – la contropartita chiesta da Trump a Erdogan, suo alleato nella Nato ma anche amicone di Vladimir Putin.
Quello che è certo è che quel che gli statunitensi (e i francesi) avevano promesso ai kurdi del Rojava, in cambio della guerra contro il Daesh che ha prtato i v combattenti delle Fds a conquistare Raqqa e Deir ez-Zor è carta straccia: completa eradicazione dell’ Stato Islamico dall’area dell’Eufrate; protezione da possibili operazioni militari della Turchia e dell’esercito siriano; riconoscimento politico».
Eppure il voltafaccia statunitense non sembra sorprendere troppo i kurdi, che ai voltafaccia della comunità internazionale e dei Paesi occidentali sono più che abituati e che sapevano bene che per la destra misogina e antiambientalista repubblicana essere alleata a forze progressiste, ambientaliste e femministe poteva essere solo una scelta tattica momentanea. Salih Muslim portavoce per gli esteri del Partiya Yekîtiya Demokrat (Pyd, la forza egemone del Rojava), spiega: «Noi non li abbiamo né chiamati né possiamo dire andatevene. In ogni caso non sono venuti per proteggercii», ma aggiunge che «Gli Usa hanno preso la loro decisione sul ritiro prima che siano le condizioni per un ritiro del genere. Il momento della decisione mostrerebbe che il ritiro ha qualcosa a che fare con le minacce e i preparativi di invasione della Siria del nord da parte della Turchia».
In un’intervista all’agenzia kurda Anf, Muslim analizza la decisione sul ritiro degli Usa nel contesto delle minacce della Turchia e ricorda le condizioni poste dagli USA stessi per un ritiro: «Hanno costantemente ripetuto questi punti: l’annientamento dello Stato Islamico, il ritiro dell’Iran dalla Siria e la stabilizzazione della Siria. Per questa ragione consideriamo questa decisione sul ritiro una decisione spontanea prematura» e poi ricorda ai turchi: «Facciamo affidamento sulla nostra forza e sulla nostra autodifesa. Ci troviamo in una condizione di legittima autodifesa e non l’abbiamo mai allentata. Se (gli Usa) restano o se ne vanno riguarda loro. I nostri interessi hanno coinciso e abbiamo agito insieme, ma non ci siamo mai legati a loro».
Muslim mette in evidenza che «Esiste un collegamento tra il momento del ritiro e le minacce dello Stato turco: non è chiaro come si sono messi d’accordo dietro le quinte, a quali condizioni hanno trovato un accordo. Il momento tuttavia suscita l’impressione che le dichiarazioni non siano avvenute in modo indipendente. Per dirlo in modo preciso, significa che le minacce di Erdoğan, “Lo farò comunque” non sono vuote. Questo significa che hanno condiviso questo tema con gli Usa. Noi non abbiamo in mano niente di concreto, ma quello che è successo lo interpretiamo e lo analizziamo di conseguenza».
Muslim è i kurdi sono però consapevoli che la mossa di Trump cambia anche il ruolo che le altre potenze internazionali svolgeranno in Siria: «ra Iran, Russia e Turchia c’erano comunque contraddizioni. In precedenza, avevano messo in secondo piano queste contraddizioni per via della presenza degli Usa. Staremo a vedere quello che succede dopo il ritiro degli Usa. La congiuntura va in direzione del caos. Così come tutti hanno sostenuto e sostengono i propri interessi, anche noi pensiamo agli interessi dei nostri popoli. Possiamo dialogare con tutti e trovare intese». Che tradotto vuol dire che i kurdi sono pronti a trattare con il regime siriano e i russi e gli iraniani, anche perché hanno da sempre un nemico comune: le milizie jihadista anti-Assad alleate della Turchia.
Muslim conclude: «Le minacce di Erdoğan contro la Siria del nord sono da prendere molto sul serio, Erdoğan annuncia continuamente di attaccarci. Erdoğan può attaccare. Non diremo a nessuno “Per piacere non ci attaccare” e non mendicheremo aiuto. Noi siam qui e ci difenderemo da soli. Siamo pronti alla resistenza totale. Confidiamo nel nostro popolo e nel nostro sistema di difesa. Tutti svolgeranno i loro compiti. La politica aggressiva della Turchia è una minaccia non solo per le kurde e i kurdi, ma è una minaccia contro tutti i popoli e anche contro la pace mondiale. Se qualcuno entra nella tua casa e ti attacca, tu cosa fai? Naturalmente ti difendi. Siamo in grado di difenderci e non siamo nella posizione di implorare aiuto».
Intanto la Comune Internazionalista del Rojava ha lanciato un Appello a tutte le forze democratiche: «Difendete la Federazione Democratica Siria del Nordest»! nel quale si legge:
A meno di un anno dall’inizio della criminale guerra di aggressione contro il cantone di Afrin, i popoli del nordest della Siria si trovano di fronte a una nuova aggressione dello Stato turco fascista e dei suoi alleati islamisti. Le minacce del dittatore turco Recep Tayyip Erdogan non sono parole vuote e non sono pure provocazioni. Con gli attacchi al campo profughi di Maxmur e a diversi villaggi nello Shengal il 13.12.2018, lo ha reso chiaro ancora una volta. Sono piuttosto l’ultima espressione delle aspirazioni espansioniste neo-ottomane del regime AKP-MHP e l’annuncio aperto di una guerra di annientamento assassina contro la rivoluzione nel nordest della Siria e in tutto il Medio Oriente.
Dall’inizio della rivoluzione, lo Stato turco il regime siriano, le potenze di intervento imperialiste, prime tra tutte gli Usa e la Russia, hanno fatto tutto ciò che era in loro potere per soffocare sul nascere questa rivoluzione. Ma né le bande di assassini islamiste, che siano sotto la bandiera di Al-Nusra, del cosiddetto ESL o sotto la bandiera nera di Stato Islamico, né embargo né isolamento e chiusura e aperta guerra di aggressione sono stati in grado di spezzare la coraggiosa resistenza della popolazione.
I popoli del nordest della Siria negli ultimi 6 anni di questa lotta con i più grandi sacrifici e sforzi hanno dato prova davanti a tutta l’opinione pubblica mondiale della loro determinazione per una vita nella libertà. La liberazione di Raqqa da parte delle Forze Siriane Democratiche e la distruzione completa del Califfato che con questa si avvicina ogni giorno di più, in Siria e nell’intera regione segna l’inizio di una nuova fase strategica. Con l’abbattimento del regime del terrore di Stato Islamico, anche l’alleanza di scopo tattico-militare tra forze di difesa del nordest della Siria e potenze imperialiste sotto la bandiera della coalizione internazionale via via perde significato.
Per quante possano essere le contraddizioni interne tra le forze egemoniche regionali e internazionali, su un punto concordano tutti: la rivoluzione nel nordest della Siria, la sua struttura amministrativa basata sulla democrazia dei consigli, la costruzione di un’economia collettiva ecologico-comunalista e la forza principale della rivoluzione, la liberazione della donna dalle vecchie catene del millenario sistema di dominio patriarcale, oggi rappresenta il maggiore pericolo per i loro interessi di dominio e deve essere distrutta. La rivoluzione in Rojava e nel nordest della Siria negli scorsi anni è diventata una fonte di speranza incomparabile per tutte e tutti coloro che sono alla ricerca di una vita oltre lo Stato, il capitale e il patriarcato. È una un faro che può mostrare agli oppressi e agli sfruttati di questa terra una via d’uscita dall’oscurità della modernità capitalista e ha provato una volta per tutte che la „fine della storia“ proclamata dai potentati, non è altro che una pura menzogna. È l’esempio vivente che anche oggi nel 21° secolo un altro mondo è possibile.
La guerra di aggressione contro Afrin, il sostegno internazionale ai massacri della popolazione civile, le bombe della NATO piovute sulle nostre amiche e i nostri amici, i carri armati tedeschi Leopard sotto i cui cingoli doveva essere schiacciata la nostra speranza, sono stati la prima espressione chiara del nuovo fronte imperialista contro la rivoluzione in Medio Oriente e segno premonitore di quello che dobbiamo aspettarci. Le persone qui sul posto (come anche noi), hanno imparato da Afrin: non possiamo fare affidamento su altro che sulla nostra forza. Non riconosciamo un briciolo di credibilità alle prese di posizione delle forze internazionali e consapevolmente non ci appelleremo a nessuno. Abbiamo conosciuto bene amici e nemici e sappiamo che i nostri unici alleati in questa lotta possono essere solo le forze internazionali democratiche e rivoluzionarie, tutte e tutti coloro che sognano un mondo diverso e con i e le quali lottiamo insieme per un futuro diverso.
Facciamo appello a tutte le forze democratiche perché si preparino a una nuova fase della resistenza, delle azioni e della lotta comune. Tutte e tutti coloro che nello scorso anno sono stati con noi nelle strade per la difesa di Afrin, che si sono organizzati nei molti comitati di solidarietà, che hanno reso il World-Afrin-Day un’espressione della solidarietà a livello mondiale e che con noi hanno tremato per ogni metro, ogni strada di Kobanê. Tutte e tutti coloro che hanno espresso la loro rabbia e il loro odio contro i nemici dell’umanità , i guerrafondai e sostenitori del fascismo turco in Europa e in tutto il mondo. Il nostro messaggio era ed è univoco: Se la guerra contro la rivoluzione è internazionale, lo è anche la nostra resistenza. Mostriamo insieme che questa rivoluzione è la lotta di tutte e tutti noi, che il Rojava è la nostra speranza e prospettiva e che difenderemo insieme il nostro futuro.
Che gli attacchi avvengano in questa fase non è una coincidenza. Il sistema capitalista internazionale oggi agisce a partire da una posizione di debolezza. Non è più possibile occultare la crisi strutturale della civiltà statalista e giorno per giorno più persone iniziano a svegliarsi e iniziano la lotta contro questo sistema oppressivo. Questo lo vediamo nelle strade della Francia, nella protesta contro il vertice G20 a Buenos Aires in Argentina, nello sciopero delle donne di #NiUnaMenos e nelle proteste nello Hambacher Forst. Le potenze del vecchio ordine cercano di mantenersi in vita con lo stato di emergenza, il terrorismo di Stato e l’aperto fascismo, ma i loro giorni sono contati se ci organizziamo insieme e ci difendiamo dagli attacchi contro la nostra vita. Usiamo la forza che tutte e tutti noi abbiamo tratto da questa rivoluzione e intensifichiamo la nostra lotta. Se riconosciamo la nostra forza, potremo gettare questo sistema una volta per tutte nella discarica della storia. Contro l’offensiva della modernità capitalista è necessario organizzare ovunque resistenza e rivolta della modernità democratica contro la modernità capitalista.
Anche per tutte e tutti noi come Comune Internazionalista in Rojava oggi inizia una nuova fase. Noi ci siamo riuniti in Rojava per sostenere le strutture civili di questa rivoluzione, per imparare e capire e portare avanti la costruzione insieme alla popolazione. Così come alla popolazione del Rojava, anche a noi viene imposta questa guerra. Ma se il nemico non ci lascia altra scelta, anche noi non staremo a guardare inerti, ma parteciperemo con tutte le nostre forze e con tutte le nostre capacità alla preparazione della resistenza e alla difesa di questa società e di questa rivoluzione. Faremo tutto ciò che è necessario per dare il nostro contributo in questa resistenza. Staremo al fianco della popolazione contro questo attacco fascista. Possiamo esserci riuniti qui dalle più diverse parti del mondo e con le idee e i lavori più diversi, ma questa terra negli anni passati è diventata anche la nostra. In questo senso anche noi parteciperemo alla mobilitazione generale della società avviata il 12.12.2018 dall’Amministrazione Autonoma del Nordest della Siria.
State al fianco della rivoluzione, alzate la vostra voce, scendete insieme nelle strade, unitevi nei comitati di solidarietà e gruppi di resistenza esistenti e createne altri. Iniziate azioni di disobbedienza civile per far conoscere la situazione in Rojava e inviare un chiaro segnale di solidarietà.
Fianco a fianco contro il fascismo!
Viva la solidarietà internazionale!
La rivoluzione nel nordest della Siria vincerà, il fascismo verrà abbattuto!
Comune Internazionalista in Rojava
Federazione Democratica del Nordest della Siria