Una Tav low-cost per evitare la crisi di governo?
[16 Gennaio 2019]
Sulla Tav Torino-Lione sembra di assistere allo stesso copione del Terzo valico. Pur se tenuta segreta, l’analisi costi benefici redatta dalla commissione guidata dal prof. Marco Ponti, secondo le indiscrezioni emerse dà un parere negativo, e il ministro per le Infrastrutture Danilo Toninelli attende adesso l’analisi giuridica – la quale dovrebbe valutare il costo della rinuncia a proseguire l’opera. Comparando questo costo con i vantaggi o svantaggi della continuazione, il ministro dovrebbe giungere a una conclusione come nel caso del Terzo valico. Ma tra le due vicende c’è una differenza notevole, non tanto per la dimensione dell’investimento che è simile, quanto per quel che riguarda il coinvolgimento politico dei 5 Stelle.
È difatti 6,1 miliardi di euro la spesa totale per il Terzo valico, mentre sarebbe – questa la stima ad oggi maggiormente accettata, nonostante la discordanza tra le fonti – di circa 4,7 miliardi di euro (3 per la quota parte del tunnel di base e 1,7 per la tratta italiana) la spesa totale italiana riguardante la Tav; ma soprattutto è il coinvolgimento politico dei 5 Stelle sulla Tav che è ben diverso. Come ha detto Roberto Fico, presidente della Camera: «Il M5S è costituzionalmente contrario a quest’opera».
Quindi per i 5 Stelle il no è fuori discussione, ma il socio di maggioranza, la Lega di Salvini, deve difendere gli interessi del Nord che vede nella Tav un modo di mantenere e incrementare i collegamenti col resto dell’Europa (qui l’analisi Agi delle motivazioni pro e contro, da cui è tratta anche l’immagine a lato, ndr), oltre al fatto che una ingente quantità di denaro verrebbe investita sul territorio. Inoltre questa posizione è condivisa dall’opposizione sia di sinistra, come il Pd, che di destra.
Questo schieramento politico rischia di mettere i 5 Stelle nell’angolo, come è già successo per Tap e Terzo valico. Ancor più perché in questo caso viene proposto il referendum sulla continuazione dell’opera. La proposta viene avanzata dal presidente del Piemonte, Sergio Chiamparino (Pd), per la sua Regione, alla quale «se lo riterranno potranno unirsi i colleghi del Veneto, Lombardia, Valle d’Aosta e Liguria», e poi fatta propria da Salvini. Il referendum avrebbe valore solo consultivo dato che la Tav è stata approvata con un trattato internazionale con la Francia, e quindi non è sottoponibile a referendum abrogativo.
Il referendum è anche un modo per mettere alle corde i 5 Stelle da sempre fautori della democrazia diretta, per cui “se il popolo lo vuole, così si fa”. Da qui i tentativi dei 5stelle di deviare il colpo di una possibile vittoria del sì e prendere ancora tempo, sostenendo che prima occorre avere l’analisi costi benefici e quella giuridica, in modo che i cittadini possano dare un giudizio informato.
Il dibattito si fa serrato in vista delle elezioni europee del 26 maggio dove i 5 Stelle potrebbero pagare lo scotto dei vari “tradimenti” alle promesse fatte in campagna elettorale. Per questo le posizioni sul referendum sono strumentali, anche perché la probabilità che ci si arrivi è minima. Comunque alla fine, a decidere per il no dovrebbe essere il Parlamento e anche la sola bocciatura del tratto tra Italia e Francia potrebbe essere problematica, dopo che l’espulsione dei senatori 5 Stelle Gregorio De Falco e Saverio De Bonis ha fatto scendere la maggioranza al Senato a 165 a fronte di un quorum di 161. Basterebbe quindi il voto contrario dei 5 senatori piemontesi della Lega per mandare sotto il Governo.
Ed ecco perché Pd, FI, e FdI presentano al Senato mozioni che impegnano il Governo a procedere con i lavori della Tav, cercando di mettere la Lega di fronte alla decisione congruente con la sua posizione politica e spaccare la maggioranza. Ma se da una parte Salvini potrebbe essere interessato a una diminuzione del potere dei 5 Stelle e dunque al loro logoramento, specie in vista delle elezioni europee, sa che senza i 5 Stelle non avrebbe lo spazio politico che ora possiede, e questo propende a mantenere in vita il socio di governo.
Da qui la proposta leghista di mediazione che ridurrebbe la Tav al solo tunnel di base, azzerando le opere sul versante italiano. Questo farebbe risparmiare 1,7 miliardi di euro che potrebbero essere così investiti: 500 milioni per la seconda linea metropolitana di Torino, 500 milioni per opere di compensazione in Val di Susa e i restanti 700 per il trasporto pubblico nel resto dell’Italia, per dare seguito all’idea che i soldi della Tav si possono spendere altrimenti. Secondo le indiscrezioni il costo dello stop all’opera potrebbe essere di 3,4 miliardi, includendo il ripristino delle gallerie, il risarcimento a Francia e Unione europea, la rescissione dei contatti in corso con le ditte appaltanti, e l’ammodernamento dell’attuale galleria del Frejus. Quindi riducendo a 3 miliardi la spesa per l’opera, sarebbe economicamente vantaggioso realizzarla.
Potrebbe essere questo un accordo digeribile dai 5 Stelle? È tutto da vedersi dato che la contrarietà dei No-Tav è soprattutto al tunnel attraverso la Val di Susa. Ma Di Maio ha poche alternative, e accettare il compromesso al ribasso potrebbe ridurre il danno politico ai “soli” voti della Val di Susa. Così Salvini potrebbe disinnescare la trappola delle opposizioni e ridimensionare ancora di più i soci di governo. Il rischio politico è che l’ala movimentista dei 5 Stelle non ci stia e che i grillini si spacchino. Questo lo si vedrà solo dopo le elezioni europee, che probabilmente segneranno uno spartiacque nell’azione del governo e una discontinuità a partire dalla quale molte evoluzioni sono possibili.