La transizione agroecologica nella strategia di Cospe onlus
I più di 380 milioni di nuclei familiari che gestiscono aziende di piccola scala in Africa, America Latina e Asia non rappresentano “il problema” dell’insicurezza alimentare globale, bensì ne sono la potenziale soluzione
Le aziende agricole a conduzione familiare dell’Africa Sub-sahariana, America Latina e Asia meridionale e orientale garantiscono il 70% delle calorie totali prodotte localmente, che corrisponde al 55% del totale delle calorie prodotte a livello globale, mentre le grandi aziende agricole convenzionali, che occupano il 75% della superficie agricola globale, producono cibo sufficiente per appena il 30% della popolazione mondiale. Non si comprende quindi perché le politiche agricole internazionali e innumerevoli iniziative di sviluppo rurale perseverino nel tentativo di importare il modello agroindustriale nella dimensione dell’agricoltura familiare.
Seguendo il mantra della necessità di sfamare nove miliardi di persone, le piccole aziende agricole sono spinte ad utilizzare sementi ibride e agrochimici anche se gli incrementi di produttività che ne derivano non ripagano del costo degli input. Porre come fine ultimo dell’agricoltura familiare l’aumento di produttività non va necessariamente nell’interesse dei produttori e non prende in considerazione le inefficienze delle filiere agroalimentari che hanno un impatto determinante sulla disponibilità globale di cibo, portando a perdite di prodotti alimentari (includendo anche il sovraconsumo) in post-raccolta stimate intorno al 48% del totale.
Elevati livelli di produttività e grandi volumi di prodotti da commercializzare portano invece indubbi profitti ad altri attori della filiera agroalimentare, come i produttori di agrochimici e gli intermediari. Questa situazione è aggravata dal fatto che l’agroindustria è in grado di esternalizzare praticamente tutti i costi ambientali e sanitari legati a questo modello.
Da queste constatazioni è sorta la necessità di ribaltare un paradigma consolidato: i più di 380 milioni di nuclei familiari che gestiscono aziende di piccola scala in Africa, America Latina e Asia non rappresentano “il problema” dell’insicurezza alimentare globale, bensì ne sono la potenziale soluzione.
La decisione di includere tra gli obiettivi strategici di Cospe onlus quello di favorire la transizione agroecologica non deriva quindi da una presa di posizione ideologica, ma da un’analisi rigorosa delle evidenze scientifiche e dei risultati ottenuti nei 35 anni di esperienza sul campo.
Le pratiche agroecologiche sono spesso concettualmente vicine alle pratiche agricole tradizionali, fondate sulla traditional ecological knowledge e pertanto l’acquisizione delle competenze necessarie ad applicarle correttamente è relativamente rapida. I risultati ottenuti sono inoltre duraturi e l’applicazione delle pratiche è indipendente dalle oscillazioni dei prezzi degli input produttivi. Inoltre, le pratiche agroecologiche rendono gli agroecosistemi più resilienti ai cambiamenti climatici
Aderiamo anche all’idea che l’agroecologia è molto di più di un insieme di pratiche agricole e che è al contempo una disciplina scientifica che studia in maniera olistica di agroecosistemi e un movimento che sta innovando l’agricoltura e il rapporto che essa ha con la società. Alla luce di questa visione abbiamo sviluppato collaborazioni e protocolli d’intesa con i principali atenei italiani che si occupano di agroecologia, siamo parte di Agroecology Europe e collaboriamo con importanti movimenti del mondo contadino come Roppa in Africa Occidentale e Pelum in Eswatini.
Si tratta di una strada tutt’altro che semplice ma che vale la pena percorrere fino in fondo, tenendo in considerazione che le evidenze scientifiche e i risultati dei progetti confermano che è quella più efficace.
di Massimiliano Sanfilippo – responsabile Cospe per cibo e ambiente