Il seguente testo è stato redatto per "il manifesto", con cui greenreport ha attiva una collaborazione editoriale
Lo sciopero dei giovani coglie l’Italia impreparata: il Piano nazionale energia e clima non è abbastanza
Sappiamo di non essere in traiettoria con l’obiettivo di contenimento dell’innalzamento della temperatura globale al di sotto dei 2°C, stabilito dall’Accordo di Parigi
Dopo un lungo lavoro preparatorio è stata presentata in Commissione europea la proposta italiana di Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), frutto degli sforzi congiunti del ministero dell’Ambiente, di quello dei Trasporti e dello Sviluppo economico. Il testo definitivo dovrà essere pronto entro la fine dell’anno, con lo scopo di guidare fino al 2030 l’Italia lungo la transizione ecologica in cinque ambiti fondamentali: decarbonizzazione, efficienza energetica, sicurezza energetica, mercato interno dell’energia, ricerca innovazione e competitività. Si tratta dunque di «uno strumento fondamentale per la politica energetica e ambientale del nostro Paese e dell’Ue per i prossimi 10 anni», come ha dichiarato il sottosegretario a Cinque stelle del Mise, Davide Crippa; proprio per questo è particolarmente preoccupante che non sia in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima, che l’Italia si è invece impegnata a onorare.
Per quanto riguarda infatti la riduzione delle emissioni nazionali di gas serra, queste vengono previste in declino dalle 433 Mt CO2eq del 2015 alle 328 del 2030, con un calo complessivo (nel periodo 2005-2030) del 65% raggiunto dalle industrie energetiche, del 36% per i trasporti, del 39% per il settore residenziale e del 41% per l’industria. Dati che secondo Edo Ronchi – presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile e già ministro dell’Ambiente – non sono ancora sufficienti: «Nel complesso, rispetto al 1990, con i due scenari stimati dal Governo si arriverebbe a una riduzione complessiva delle emissioni nazionali di gas serra del 37%. Si tratta di un valore inferiore di quello medio fissato a livello europeo al 40%, che sappiamo non essere in traiettoria con l’obiettivo di contenimento dell’innalzamento della temperatura globale al di sotto dei 2°C, stabilito dall’Accordo di Parigi».
E se va meglio sul fronte dell’efficienza energetica, con «una riduzione – riassume Crippa – dei consumi di energia primaria rispetto allo scenario Primes 2007 del 43% a fronte di un obiettivo Ue del 32,5%», per quanto riguarda le energie rinnovabili il Piano tradisce le promesse politiche accumulatesi negli scorsi mesi fissando un target più basso di quello comunitario stabilito dalla direttiva Red II, ovvero il 32%. A luglio 2018 il vicepremier Luigi Di Maio dichiarava che «raggiungere il 32% da fonti rinnovabili nei consumi finali significa che dobbiamo raddoppiare, in soli 10 anni, la produzione da rinnovabili. Passando dagli attuali 130 TWh a più di 200. Questi obiettivi, insieme al programma di decarbonizzazione, guideranno la stesura del Piano energia e clima». Purtroppo non è stato così: «L’Italia – si legge oggi in quel Piano – intende perseguire un obiettivo di copertura, nel 2030, del 30% del consumo finale lordo di energia da fonti rinnovabili», obiettivo declinato in un 21,6% di rinnovabili nel settore dei trasporti, 33% in quello termico e 55,4% nell’elettrico. Quest’ultimo è un dato che «sostanzialmente conferma quello della Sen» approvata due anni fa dal Governo Gentiloni, come notano dalla principale associazione delle imprese elettriche italiane, Elettricità futura, sottolineando la mancanza di ambizione particolarmente marcata in ambiti determinanti: «Andrebbe rafforzato il ruolo di fonti quali l’idroelettrico, in particolare di piccola taglia, le bioenergie o la geotermia, nell’ottica di garantire la disponibilità di un mix energetico inclusivo ed equilibrato».
Invece a leggere il documento governativo sembra quasi che lo sviluppo delle fonti pulite italiane venga approcciato più come un aggravio per le finanze pubbliche che un vantaggio (anche competitivo) per il Paese. Già nella prima pagina il Piano si preoccupa infatti di sottolineare come sia cresciuta «la sensibilità affinché la sostenibilità, anche ambientale, del sistema energetico, sia perseguita con oculatezza e attenzione agli impatti economici sui consumatori». Impatti che, ricordiamo, il Gse ha conteggiato in appena un 5% (dati 2016) della bolletta energetica annua totale: è questo tutto il peso, peraltro già in declino, degli incentivi stanziati sia per le rinnovabili sia per l’efficienza energetica. Un “peso” che ha portato (solo per il 2016) a 39mila posti di lavoro e a tagliare tanta CO2 quanta ne avrebbero assorbita 2,2 miliardi di alberi.
Mentre dunque ancora oggi di fatto non esiste alcun provvedimento di blocco dell’estrazione di idrocarburi gassosi o liquidi in Italia – come sottolineano Greenpeace, Legambiente e Wwf in merito alla battaglia innescata sul tema delle trivelle – ma solo la sospensione per 18 mesi di poche decine di permessi di prospezione e ricerca in vista della definizione di un Piano delle aree, sulle energie rinnovabili il Governo parte col freno a mano tirato.
Non a caso da Legambiente spiegano che si tratta di un Piano nazionale che «non salva il clima», mentre Greenpeace parla di un documento «deludente: una versione peggiorata della strategia energetica del precedente Governo», ovvero quella delineata all’interno della Sen approvata nell’autunno 2017. Per questo l’associazione ambientalista chiede che «si apra un confronto sulle prospettive energetiche del Paese», partendo da un punto fermo: «Se l’Italia vuole davvero rispettare l’Accordo di Parigi sul clima non deve certo puntare sulle scarse riserve di idrocarburi ma su efficienza e fonti rinnovabili».
«Sarebbe stato preferibile procedere ad una consultazione preventiva con gli stakeholder prima di inviare la proposta», confermano dal Coordinamento Free – ovvero la più grande associazione italiana nel campo delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica –, che ora ritiene sia «indispensabile» una consultazione pubblica «approfondita e tempestiva» per migliorare il testo.
Un impegno cui i ministeri competenti non sembrano volersi sottrarre. Nel corso di quest’anno prevedono l’organizzazione di un’ampia consultazione pubblica che comprenda anche le autorità locali, audizioni in Parlamento e incontri tematici con le parti interessate sui temi dell’energia e del clima. Ma il tempo stringe, e la recessione economica che è tornata ad avvitarsi sul nostro Paese suggerisce l’importanza di accelerare. Pur a fronte di obiettivi timidi, le stime elaborate dal Governo indicano che il Piano energia e clima stimolerà 7,2 miliardi di euro annui in più (nel periodo 2017-2030) di valore aggiunto rispetto alle politiche correnti, 115 mila occupati temporanei medi annui (Ula dirette e indirette) aggiuntivi e 13,2 miliardi di euro in più all’anno di investimenti. Investire nella transizione ecologica conviene, a tutto il Paese.