Testa (Assombiente): «Approccio pregiudiziale, non trova riscontri nelle realtà europee più evolute»

Caos sui rifiuti in Sicilia: per il ministero dell’Ambiente necessari 2 inceneritori, poi rinnega

Il ministro Costa apre un’istruttoria interna sul parere rilasciato dai tecnici: «Violata la mia direttiva politica»

[4 Aprile 2019]

Sotto troppi profili la Sicilia è ancora molto lontana da rappresentare un’eccellenza nella gestione dei propri rifiuti. Per quanto riguarda gli urbani, gli ultimi numeri messi in fila dall’Ispra nel suo rapporto annuale (dati 2017) parlano chiaro: 2,3 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti e raccolta differenziata al 21,7% (arrivata al 35,9% a fine 2018, secondo la Regione), mentre i rifiuti conferiti in discarica arrivano al 72,9%. Una prospettiva che la Sicilia non sembra in grado di superare, come mostra il Piano regionale per la gestione dei rifiuti (Prgr) elaborato e sottoposto a Valutazione ambientale strategica.

«Il sistema di discariche – si legge nel documento – trova il suo esaurimento nel momento in cui le discariche già in essere e quelle in via di realizzazione (capacità massima di riserva in mc) verranno saturate dal rifiuto indifferenziato loro effettivamente avviato. La realizzazione di nuovi spazi in discarica è quindi imprescindibile fino al 2035 (obiettivo massimo del 10% di rifiuti in discarica), possibilmente senza consumare ulteriore suolo e/o senza cagionare ulteriori impatti al territorio».

Come noto la discarica rappresenta un’opzione pienamente contemplata all’interno della gerarchia Ue per la gestione dei rifiuti, ma a livello residuale, ovvero dopo prevenzione, riuso, recupero di materia, recupero di energia. Attualmente questa gerarchia risulta invertita in Sicilia, e non sorprende che secondo il parere fornito dai tecnici del ministero dell’Ambiente il Piano risulti inadeguato. A fare scalpore è piuttosto una delle osservazioni prodotte dal ministero, la 2.2.20, all’interno della quale si «rileva l’assoluta necessità di localizzare sul territorio dell’Isola almeno due o più impianti di incenerimento di capacità pari al relativo fabbisogno». Meglio il recupero di energia (attualmente in Sicilia non esistono impianti di termovalorizzazione) che i conferimenti in discarica, dunque: sembrerebbe buon senso, ma apriti cielo. Il dicastero si è trovato a smentire (due volte) se stesso.

Con una prima nota stampa si precisa infatti che il «citato punto 2.2.20 non esprime alcuna autonoma valutazione circa l’opportunità o la necessità di realizzare impianti di incenerimento di rifiuti con recupero energetico», ma si limita a «richiamare testualmente le previsioni del diritto vigente in materia», ovvero il d.P.C.M. 10 agosto 2016; nessun “suggerimento” impiantistico alla Regione dunque, ma solo indicazioni in punta di diritto? Sembrerebbe, non fosse che poco dopo a intervenire è direttamente il ministro Costa, affermando che sarà aperta un’istruttoria interna: «Ho dato mandato immediato al Capo di Gabinetto e al Segretario generale di aprire un’istruttoria amministrativa interna per conoscere chi abbia violato la mia direttiva politica: mai e poi mai avrei proposto quanto letto nelle deduzioni nell’ambito della Vas del piano regionale rifiuti. Mai e poi mai – ribadisce Costa – da questo ministero ci sarà un via libera a nuovi inceneritori», nonostante sia lo stesso ministero a constatare l’impossibilità, allo stato attuale, da parte della regione Sicilia, di gestire in autosufficienza i rifiuti prodotti.

«La posizione esternata dal ministro dell’Ambiente Sergio Costa, in contrasto con i propri tecnici, non ci sorprende – commenta il presidente di Fise Assoambiente, Chicco Testa – ma ci trova in profondo disaccordo e, dati alla mano, evidenzia un approccio pregiudiziale, che peraltro non trova riscontri nelle realtà europee più evolute che oggi fanno pieno affidamento su questa tecnologia. Il rafforzamento del fragile sistema di gestione dei rifiuti in Sicilia non può che passare dal significativo aumento delle percentuali di riciclo su tutto il territorio e dalla valorizzazione energetica dei quantitativi residuali, limitando il conferimento in discarica che in Regione supera ancora il 70%. Chi pensa di raggiungere questi obiettivi, in linea con le direttive europee sull’economia circolare, senza la creazione di almeno due termovalorizzatori nella Regione non riconosce la realtà dei fatti e accetta che prosegua il “turismo dei rifiuti” verso altre destinazioni fuori Regione, con negative ricadute ambientali ed economiche per i cittadini. È fondamentale tornare a prevedere e poi realizzare concretamente tutti gli impianti necessari per chiudere il ciclo di gestione dei rifiuti».

Il problema di fondo è che sarebbero necessarie una politica e una dotazione impiantistica coerenti con gli obiettivi stabiliti dall’Ue all’interno dell’ultimo pacchetto normativo approvato in materia di economia circolare: al 2035 dovrà essere raggiunto un minimo di riciclo del 65% e un massimo di ricorso alla discarica del 10%, con dunque un rimanente 25% di recupero energetico. A che punto siamo per traguardare quest’ultimo target, e attraverso quali impianti?

Si tratta di una domanda complessa quanto importante, che non può essere affrontata con posizioni ideologiche: al proposito uno spunto d’interesse potrà arrivare dal “Rapporto sul recupero energetico da rifiuti in Italia” che l’Ispra presenterà a Roma il 10 aprile; come spiega l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale si tratta di uno «studio mirato ad acquisire e analizzare i dati degli impianti di digestione anaerobica e di incenerimento con recupero di energia dei rifiuti in Italia. Tali impianti fanno parte del sistema di gestione integrata dei rifiuti così come delineato anche dalle direttive europee per l’attuazione di un modello di economia circolare e, con particolare riferimento a quelli di trattamento termico, fondamentali per il recupero delle frazioni non riciclabili e finalizzati alla minimizzazione del ricorso allo smaltimento in discarica».

L. A.