Assobioplastiche: «Sono prodotti che forniscono soluzioni a specifici problemi, pensati per essere gestiti nel circuito del compostaggio industriale. Non sono la soluzione all’abbandono dei prodotti in mare o in altri ambienti, e nessuno ha mai tentato di accreditarle come tali»
Se disperse anche le buste biodegradabili inquinano: individuati effetti tossici sulle piante
Non basta sostituire la plastica tradizionale con altri prodotti. Lardicci (Università di Pisa): «Importante informare adeguatamente sulla necessità di smaltire correttamente questi materiali»
[23 Maggio 2019]
Per risolvere i danni provocati dall’inquinamento da plastica non basta limitarsi a sostituire le buste tradizionali (come anche altri imballaggi o prodotti monouso) con quelle biodegradabili, perché anche queste ultime provocano danni se disperse nell’ambiente – e non solo a quello marino come ormai ampiamente documentato (si veda ad esempio qui, qui, qui e qui), ma anche a quello terrestre. È la conclusione cui è giunto un team di ricercatori dell’Università di Pisa, che ha pubblicato sulla rivista scientifica “Ecological indicators” uno studio incentrato sulle tradizionali shopper non-biodegradabili realizzate con polietilene ad alta densità (Hdpe) e quelle di nuova generazione, biodegradabili e compostabili, realizzate con una miscela di polimeri a base di amido.
I ricercatori hanno esaminato in particolare gli effetti fitotossici del lisciviato, ossia della soluzione acquosa che si forma in seguito all’esposizione delle buste agli agenti atmosferici e alle precipitazioni; da quanto è emerso, entrambe le tipologie di shopper rilasciano in acqua sostanze chimiche fitotossiche che interferiscono nella germinazione dei semi, con la differenza che i lisciviati da buste non-biodegradabili agiscono prevalentemente sulla parte aerea delle piante mentre quelli delle buste compostabili sulla radice.
«Nella maggior parte degli studi condotti finora sull’impatto della plastica sull’ambiente, gli effetti delle macro-plastiche sulle piante superiori sono stati ignorati – spiega il professore Claudio Lardicci dell’Ateneo pisano, che l’anno scorso aveva condotto uno studio sugli impatti delle buste biodegradabili in ambiente marino – La nostra ricerca ha invece dimostrato che la dispersione delle buste, sia non-biodegradabili che compostabili, nell’ambiente può rappresentare una seria minaccia, dato che anche una semplice pioggia può causare la dispersione di sostanze fitotossiche nel terreno».
Il gruppo Novamont, leader nello sviluppo e nella produzione di bioplastiche, parla però di «dati fuorvianti» in quanto le metodologie adottate dall’Università di Pisa per arrivare a queste conclusioni sarebbero «non validate. Sono esperimenti una tantum – argomentano da Novamont – di cui non è stata determinata la sensibilità, la riproducibilità, l’affidabilità e soprattutto non è dato il quadro di riferimento, necessario per interpretare i risultati». Anche Assobioplastiche parla di «singolare approccio al metodo scientifico», e afferma che sarebbe interessante che il gruppo di ricerca pisano applicasse le stesse metodologie di ricerca adottate per indagare gli effetti causati sull’ambiente da altri «elementi e sostanze naturali (ad es., lignina, cellulosa, scarti organici etc.)».
Sta di fatto che la stessa Novamont sottolinea coma la normalità per la gestione delle buste biodegradabili, una volta diventate rifiuti, consista nell’essere avviate a compostaggio e non certo disperse nell’ambiente. «Le bioplastiche – ribadisce al proposito Marco Versari, presidente di Assobioplastiche – sono prodotti che forniscono soluzioni a specifici problemi, pensati per essere gestiti nel circuito del compostaggio industriale. Non sono la soluzione all’abbandono dei prodotti in mare o in altri ambienti, e nessuno ha mai tentato di accreditarle come tali»
Se irresponsabilmente gettate nell’ambiente, infatti, anche le buste biodegradabili possono continuare a far danni. Da qui «l’importanza di informare adeguatamente sulla necessità di smaltire correttamente questi materiali, considerato anche che la produzione di buste compostabili è destinata a crescere in futuro e di conseguenza anche il rischio abbandonarle nell’ambiente», come sottolinea anche Lardicci. L’unico modo per risolvere alla radice il problema dell’inquinamento da rifiuti, infatti, non è quello di sostituire un materiale con un altro, ma evitare di gettarli in giro: per una loro adeguata gestione è necessaria dunque una robusta campagna di informazione e comunicazione alla cittadinanza, oltre all’implementazione sul territorio di un’adeguata presenza di impianti industriali per la selezione, avvio a recupero e/o smaltimento dei rifiuti raccolti.