Le elezioni in Danimarca e la “sinistra anti-immigrati”. Come è andata davvero
I socialdemocratici primi, ma se vogliono governare devono allearsi con verdi e rossoverdi
[11 Giugno 2019]
Ma davvero, come scrivono e dicono da giorni i media italiani, in Danimarca il Socialdemokraterne (SD) ha vinto le elezioni perché i socialdemocratici hanno scelto la linea dura contro l’immigrazione? In realtà le cose stanno diversamente e i veri vincitori delle elezioni sono i partiti a sinistra dell’SD della futura premier Mette Frederiksen, che potrà governare solo se troverà un accordo con loro.
Leggendo davvero i risultati delle recenti elezioni danesi si scopre che il 5 giugno gli elettori hanno punito la destra ultra-liberista e xenofoba de che hanno riconsegnato la maggioranza del Folketing a una maggioranza di centrosinistra ancora tutta da definire ma che è tinta di verde e di rosso. Più che un voto contro i migranti è stato un voto contro l’austerity e la scelta dell’SD di far propria la retorica populista anti-immigrazione non ha pagato più di tanto: sfiorando il 26% i socialdemocratici sono ridiventati di un soffio il primo partito danese solo grazie al calo del partito liberale Venstre (23,4%) del primo ministro uscente, Lars Løkke Rasmussen che era a capo di un governo di minoranza appoggiato dalla destra xenofoba del Dansk Folkeparti (DF) che, dopo aver spostato a destra il dibattito politico danese, è crollato all’8,8%, il 13% in meno.
I socialdemocratici (che hanno fatto meglio delle elezioni europee dove erano arrivati dietro il Venstre) in campagna elettorale si sono impegnati a non rivedere le leggi razziste approvate dalla destra – come quella del sequestro dei beni e del denaro eventualmente in possesso dei migranti per contribuire al loro mantenimento in Danimarca o il divieto di indossare in pubblico il burqa e il velo islamico. E’ questo che ha abbagliato i media italiani ed europei meno avveduti e ha fatto versare fiumi di inchiostro su una avanzata del centrosinistra danese grazie alla linea dura sui migranti. In realtà l’SD ha vinto grazie alla difesa del welfare e, anzi, la retorica anti-immigrazione potrebbe essere costato qualche voto ai socialdemocratici che hanno ottenuto solo un seggio in più rispetto alle elezioni del 2014 che li videro sconfitti dalla destra con il loro peggior risultato di sempre. In crescita invece uno dei possibili alleati centristi dell’SD: la Radikale Venstre, il Partito Social-Liberale europeista, che sale all’8,8% e che si aggiudica, raddoppiandoli, 16 seggi,. Un partito moderato che non ha mai ceduto alla propaganda xenofoba.
L’altro tema vincente, è stato quello della lotta al cambiamento climatico. I sondaggi avevano indicato che era un argomento fra i più sentiti in assoluto dagli elettori, soprattutto quelli più giovani, e i partiti di sinistra e di centro-sinistra che hanno avanzato le proposte più incisive sono stati premiati dai risultati elettorali.
Infatti, il vero vincitore delle elezioni è il Socialistisk Folkeparti (SF), come si chiamano i Verdi danesi, che è schizzato al 13,4%. I Verdi sono favorevoli ad accogliere profughi e migranti e la loro leader, Pia Olsen Dyhr, ha avvertito la premier in pectore Frederiksen che «Il risultato delle elezioni è molto positivo e il raddoppio dei nostri seggi da 7 a 14 dimostra che le persone hanno riposto la loro fiducia in noi e hanno votato per la speranza, il clima e un futuro migliore e più verde per i nostri bambini. Ora il nostro obiettivo sarà ora quello di garantire un’ambiziosa normativa climatica e di continuare il lavoro come principale partito ambientalista della Danimarca. È ora di rimboccarci le maniche e tradurre il risultato in azione concreta e verde».
Quando la Olsen Dyhr si riferisce a un altro partito ambientalista parla dell’Alleanza Rosso-Verde Enhedslisten, la sinistra radicale aderente alla Sinistra europea, che ha ottenuto 13 seggi, con una leggera flessione sulle europee, ma che è diventata il secondo Partito della capitale Copenaghen con oltre il 16% dei voti. Il programma della Enhedslisten è fortemente ambientalista e pacifista e chiede che la Danimarca riassuma un ruolo guida nello sviluppo dell’energia eolica e di altre forme di energia rinnovabile, elimini gradualmente i combustibili fossili entro il 2040 (l’SD dice 2050) e che i costi della transizione energetica li paghi chi inquina, non i cittadini. Inoltre la Enhedslisten dice che la Danimarca «Ha gli spazi, la possibilità e il dovere di «accettare le persone in fuga e per garantire che i cittadini di diverse etnie possano partecipare alla vita sociale su un piede di parità». I rossoverdi sottolineano che «La guerra, l’estrema disuguaglianza globale e le catastrofi ambientali hanno costretto alla fuga milioni di persone, Nessuno di loro fugge per divertimento. Naturalmente, la Danimarca non può accettare tutti, ma in questo momento, i Paesi dell’Europa meridionale stanno assumendosi una parte irragionevolmente grande di questo compito. Pertanto, vogliamo una distribuzione più solidale dei rifugiati. E chiediamo che i rifugiati che vengono qui trovino rispetto e certezza del diritto»,
Commentando i risultati i rossoverdi hanno sottolineato: «E’ stata una buona campagna elettorale perché non è stata lasciata ai Partiti e ai candidati. I genitori hanno sfilato per la strada per chiedere standard minimi. Si è levata un’ondata di manifestazioni anti-razziste contro Stram Kurs e Nye Borgerlige (i due partiti neonazisti, ndr), ma anche contro la politica discriminatoria e disumana su immigrati e rifugiati che ha dominato la politica danese negli ultimi anni. Alla fine, giovani e i meno giovani sono andati alle manifestazioni per il clima e agli scioperi climatici. E’ stata una buona campagna elettorale perché oltre 60 sindacalisti hanno chiesto l’attuazione dell’accordo sul welfare e perché si sono mobilitati contro la legge di bilancio e i tagli economici. Non è stato un risultato soddisfacente, perché la Enhedslisten non ha avuto i progressi che i sondaggi di opinione avevano previsto e perché la Nye Borgerlige (con il 2%, ndr) è entrata in Parlamento».
Ma la Enhedslisten riassume bene anche perché le elezioni hanno dato complessivamente un buon risultato: «Perché Lars Løkke è lontano mille miglia dall’avere il mandato per formare un governo; Perché lo Stram Kurs, non è entrato in Parlamento; Perché il Dansk Folkeparti è stato più che dimezzato; Perché la Liberal Alliance è quasi scomparsa». Infatti il partito alleato di governo dell’ex premier Løkke Rasmussen precipita al 2,2%, entrando a malapena in Parlamento e contribuendo al crollo della coalizione di centro-destra uscente.
La Enhedslisten ammette che i risultati delle elezioni non permetteranno di formare il governo progressista alla sinistra della socialdemocrazia che avrebbe voluto. Per questo i rossoverdi negozieranno con la Frederiksen anche se non si fidano delle promesse elettorali social-democratiche e dubitano che si tradurranno in atti politici con un governo SD: «Pertanto, non abbiamo grandi aspettative per un simile governo. Al contrario, temiamo che la politica del governo che guiderà Mette Frederiksen non si distingua realmente dalla politica del governo guidato da Lars Løkke».
Ma questo non impedisce alla sinistra radicale di partecipare alle trattative per raggiungere un accordo che renda possibile un governo a guida socialdemocratica che sposti a sinistra l’asse politico di governo con scelte positive. Ma la Enhedslisten assicura: «Ci opporremo alla formazione di un governo a guida socialdemocratica se Mette Frederiksen non prenderà impegni concreti sul fatto che il suo governo attuerà una politica chiaramente più solidale, verde e umana rispetto al governo di Løkke, in quattro aree: welfare, riduzione della povertà e maggiore uguaglianza, ambiente e clima, nonché gli stranieri e l’integrazione. Questo accordo con la Enhedslisten permetterà a Mette Frederiksen di formare un governo, ma difficilmente porterà a un governo che la Enhedslisten possa sostenere politicamente. Come sempre, voteremo per il minimo miglioramento e contro il minimo deterioramento. Non prometteremo in anticipo il sostegno a un governo senza nessuna legge di riforma o finanziaria. E valuteremo continuamente se il governo socialdemocratico sarà all’altezza degli accordi che, si spera, saranno raggiunti durante i negoziati. Se il governo non sosterrà gli accordi che avremo stipulato, fallirà con gli elettori e tradirà la propria base e saremo pronti a porre un voto di sfiducia. La lotta per il benessere, contro la povertà e la disuguaglianza, per una politica climatica che possa salvare il pianeta e per una politica di solidarietà e umanità per i rifugiati continua sia dentro che fuori il Folketing. Come prima delle elezioni, la Enhedslisten sarà parte attiva di questa lotta». Forse quel che resta della sinistra italiana potrebbe imparare qualcosa dai rossoverdi danesi.
Depurato dalle interessate interpretazioni “italiane”, il risultato si riassume in un dato: dopo la sbornia neoliberista, la Danimarca diventa il terzo Paese scandinavo a ritornare a sinistra in meno di un anno e, come in Svezia e Finlandia, i socialdemocratici dovranno fare un governo cercando l’appoggio diretto o esterno dei Verdi e della Sinistra radicale rossoverde ed ex comunista. Un governo a guida SD potrebbe essere appoggiato anche dai 4 rappresentanti dei territori autonomi semi-indipendenti della Groenlandia e delle Isole Fær Øer, che hanno due seggi ciascuno in Parlamento.
In campagna elettorale la Frederiksen – che era già stata premier con un governo SD–Sinistra dal 2011 al 2015 – ha promesso di mettere fine all’austerity: «E’ evidente che dobbiamo ricominciare a spendere di più» e ha promesso che affronterà le questioni climatiche e difenderà lo stato sociale eliminando subito i tagli all’istruzione e all’assistenza sanitaria. Ma la leader SD sperava in un risultato migliore per poter fare un governo monocolore socialdemocratico, invece avrà bisogno di fare un’alleanza almeno con i Verdi e dell’appoggio esterno dei rossoverdi. Gli osservatori sono convinti che i socialdemocratici per ottenere l’appoggio di Verdi e sinistra radicale ammorbidiranno le loro posizioni sull’immigrazione e che proporranno una politica climatica molto avanzata, anche perché la stragrande maggioranza dei danesi ormai pensa che la salute del pianeta – e non l’immigrazione – sia uno dei più grandi problemi da affrontare subito.
E per i socialdemocratici sarà anche difficile ignorare il fatto che il loro successo è quello di Verdi e rossoverdi è dovuto anche al voto di molti musulmani, anche dei giovani che normalmente non votavano, impauriti dalle minacce dei Partiti di estrema destra che, come ha detto un pakistano/danese all’AFP, «Hanno effettivamente fatto qualcosa che molti leader musulmani non erano riusciti mai a fare qui in Danimarca: ci hanno uniti».