Negli ultimi 40 anni la temperatura sulla costa della Toscana è aumentata di quasi 2 gradi

Il dato emerge da uno studio sulla fioritura di 40 diverse varietà di albicocco

[4 Luglio 2019]

Secondo lo studio “Forty-year investigations on apricot blooming: Evidences of climate change effects” pubblicato su Scientia Horticulture dal team del Professor Rolando Guerriero, oggi in pensione, composto da Raffaella Viti, Rossano Massai e Calogero Iacona, del dipartimento di scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali dell’università di Pisa e da Susanna Bartolini dell’Istituto di scienze della vita della Scuola Superiore Sant’Anna, «Negli ultimi 40 anni l’inverno sulla costa toscana è diventato meno freddo: la temperatura media a gennaio e a febbraio è infatti aumentata di quasi 2 gradi, da circa 8° C a 9.9° C, e se si considera tutta la stagione, da novembre a marzo, l’incremento è stato di 1,6 gradi, da 9.9° C a 11.5° C».

La ricerca ha analizzato i dati sulla fioritura di 40 diverse varietà di albicocco coltivate nell’Azienda sperimentale dell’Ateneo pisano a Venturina (Livorno) per oltre 40 anni, dal 1973 al 2016. I ricercatori spiegano che «Il periodo di fioritura degli alberi da frutto è infatti strettamente legato alle temperature dei mesi invernali e proprio per questo è uno degli indicatori più utilizzati per gli studi sui cambiamenti climatici. Da questo punto di vista la ricerca pisana è poi un caso unico: a Venturina si trova una delle più importanti collezioni di germoplasma di albicocco di tutto il bacino del Mediterraneo e così è stato possibile osservare la fioritura di più varietà nelle stesse condizioni sperimentali e per un periodo molto lungo».

I risultati dello studio hanno mostrato «Un aumento significativo delle temperature medie mensili del periodo autunno-invernale con incremento più marcato a partire dagli anni ’90. In particolare, l’escursione termica media giornaliera, cioè la differenza fra la temperatura massima diurna e la minima notturna, è diminuita di quasi 1 grado e mezzo passando da 10.1° C degli anni ’70 – ’80 a 8.8° C del 2013 – 2016. Un calo drammaticamente significativo c’è stato poi anche per le Unità di Freddo, cioè le ore con una temperatura inferiore ai 7° C che servono alle piante per il superamento della dormienza delle gemme a fiore, che sono passate da circa 1.300 negli anni ’70 – ’80 a 800 nel 2012-2016».

Massai evidenzia che «Dal punto di vista delle coltivazioni, si tratta di cambiamenti climatici che incidono negativamente sui principali processi biologici stagionali causando spesso produzioni irregolari e, di conseguenza, significative riduzioni della produttività dei frutteti  La maggior parte delle varietà esaminate, appartenenti sia al germoplasma italiano che straniero, opportunamente raggruppate in funzione della diversa epoca di fioritura, ha mostrato negli anni importanti ritardi nell’epoca di fioritura e rilevanti riduzioni dell’intensità della fioritura».

I ricercatori pisani fanno notare che «Un mancato o insufficiente superamento della dormienza influisce infatti negativamente sulla schiusura delle gemme e, di conseguenza, sull’epoca e sulla abbondanza della fioritura. Come risultato negli ultimi 40 anni, l’abbondanza della fioritura (cioè il numero di fiori per cm di ramo ed espressa con un indice da 1, scarsa, a 5, molto abbondante) si è quasi dimezzata rispetto al passato soprattutto per le varietà a fioritura precoce, passando da un valore medio di 3.7 negli anni ’70 a poco più di 2 nel periodo 2010-16».

La Bartolini aggiunge: «Il quadro complessivo che emerge dalla ricerca lascia ipotizzare un cambiamento di scenario con uno spostamento più a nord della coltura; se in passato nell’area della Maremma Toscana si potevano ottenere produzioni interessanti e economicamente sostenibili anche con varietà a fioritura più tardiva ora appare più opportuno orientarsi verso varietà a basso fabbisogno in freddo e adatte a climi caldi o semiaridi; inoltre il calo complessivo della produttività potrebbe portare ad una forte limitazione all’approvvigionamento locale di frutta e alla necessità di importazione dall’esterno del fabbisogno».

Gli scienziati toscani concludono: «Questa ricerca diviene quindi importante proprio nell’ottica del contenimento delle conseguenze negative dovute all’impatto del cambiamento climatico, garantendo il mantenimento della produttività del frutteto».