L’aumento dei livelli di CO2 e il cambiamento climatico ridurranno la disponibilità di nutrienti in tutto il mondo

Proteine -19,5%, ferro -14,4%, zinco -14,6%. Le aree più a rischio: ex Unione Sovietica, Medio Oriente, Nord Africa ed Europa orientale

[19 Luglio 2019]

Secondo l’International Food Policy Research Institute (Ifpri), lo studio “Combining the effects of increased atmospheric carbon dioxide on protein, iron, and zinc availability and projected climate change on global diets: a modelling study”, pubblicato su The Lancet Planetary Health da un team di ricercatori statunitensi e australiani, è «Fino a oggi, la sintesi più completa degli impatti dei cambiamenti climatici sulla disponibilità globale di sostanze nutritive» e rileva che, «Nei prossimi 30 anni, i cambiamenti climatici e l’aumento di CO2 potrebbero ridurre significativamente la disponibilità di nutrienti essenziali, rappresentando un’altra sfida per lo sviluppo globale e per la lotta per la fine della denutrizione».

Infatti, come ha sottolineato anche il recente rapporto di 5 Agenzie Onu, una delle maggiori sfide per ridurre la fame e la denutrizione in tutto il mondo è produrre alimenti che forniscano non solo un numero sufficiente di calorie, ma che rendano anche disponibili abbastanza nutrienti necessari.

Il nuovo studio lancia un forte allarme: nei prossimi 30 anni, cambiamento climatico e più alti livelli di CO2 potrebbero ridurre significativamente la disponibilità di e proteine, ferro e zinco, con tanti saluti a chi, come Vladimir Putin e non solo, è convinto che il global warming favorirà l’agricoltura nell’Artico.

Lo studio stima che «Gli impatti totali degli shock dei cambiamenti climatici e degli livelli elevati di CO2 nell’atmosfera ridurranno la crescita della disponibilità globale pro capite di proteine, ferro e zinco rispettivamente del 19,5%, 14,4% e 14,6%,.

Uno degli autori dello studio, Timothy Sulser, senior scientist dell’Ipfri, spiega: «Recentemente, abbiamo fatto molti progressi nella riduzione della denutrizione nel mondo, ma la crescita della popolazione globale nei prossimi 30 anni richiederà un aumento della produzione di alimenti che forniscano nutrienti sufficienti. Questi risultati suggeriscono che i cambiamenti climatici potrebbero rallentare i progressi nel miglioramento della nutrizione globale, rendendo semplicemente meno disponibili i nutrienti chiave di quel che sarebbe senza cambiamenti climatici».

Utilizzando il modello del settore agricolo globale Impact insieme ai dati del modello Global Expanded Nutrient Supply (Genus) e due dataset  sugli effetti della CO2 sul contenuto di nutrienti nelle coltivazioni, i ricercatori hanno previsto la disponibilità pro capite di proteine, ferro e zinco al 2050 e dicono: «Si prevede che entro il 2050 i miglioramenti della tecnologia e gli effetti sui mercati aumenteranno la disponibilità di nutrienti rispetto ai livelli attuali, ma questi progressi verranno sostanzialmente diminuiti dagli impatti negativi delle concentrazioni crescenti di anidride carbonica. Mentre livelli più elevati di CO2 possono far aumentare la fotosintesi e la crescita in alcune piante, la ricerca precedente ha anche scoperto che riducono la concentrazione di micronutrienti chiave nelle colture». Il nuovo studio rileva che «A causa dell’elevata concentrazione di CO2, grano, riso, mais, orzo, patate, semi di soia e verdure sono tutti avviati a subire perdite di nutrienti di circa il 3% in media entro il 2050».

I ricercatori sottolineano che «Tuttavia, è improbabile che gli effetti siano percepiti in modo uniforme in tutto il mondo, e molti Paesi che attualmente stanno vivendo alti livelli di carenza di nutrienti potrebbero anche risentire di una minore disponibilità di nutrienti in futuro. Si prevede che le riduzioni di nutrienti saranno particolarmente gravi in ​​Asia meridionale, Medio Oriente, Africa a sud del Sahara, Nord Africa e ex Unione Sovietica, regioni composte in gran parte da Paesi a reddito medio-basso dove i livelli di sotto-nutrizione sono generalmente più alti e le diete sono più vulnerabili agli impatti diretti dei cambiamenti di temperatura e delle precipitazioni innescate dai cambiamenti climatici».

Il principale autore dello studio, Robert Beach, senior economist and fellow di RTI International., fa notare che «In generale, le persone nei Paesi a basso e medio reddito ricevono una porzione maggiore dei loro nutrienti da fonti vegetali, che tendono ad avere una biodisponibilità inferiore rispetto alle fonti animali. Ciò significa che molte persone con un apporto di nutrienti già relativamente basso diventeranno probabilmente più vulnerabili alle carenze di ferro, zinco e proteine ​​man mano che le colture perderanno i loro nutrienti. Molte di queste regioni sono anche quelle che dovrebbero alimentare la maggiore crescita della popolazione e quindi richiedono la maggiore crescita della disponibilità di nutrienti. Anche l’impatto sulle singole colture può avere effetti sproporzionati sulle diete e sulla salute. Perdite significative di nutrienti nel grano hanno implicazioni particolarmente diffuse. Il grano rappresenta una grande percentuale nelle diete in molte parti del mondo, quindi qualsiasi cambiamento nelle sue concentrazioni di nutrienti può avere un impatto sostanziale sui micronutrienti che molte persone ricevono».

LO studio prevede che entro il 2050 la disponibilità di proteine, ferro e zinco nel grano si ridurrà fino al 12% e che le popolazioni che saranno più colpite dalle diminuzioni della disponibilità di proteine ​​del grano saranno quelle che vivono in Paesi dove il consumo di grano è particolarmente elevato, come l’ex Unione Sovietica, il Medio Oriente, il Nord Africa ed Europa orientale.

Nell’Asia meridionale, dove il ferro assunto dalla popolazione è già al di sotto del livello raccomandato, con l’India che ha la più alta prevalenza di anemia nel mondo, la disponibilità di ferro è destinata a restare inadeguata. «Inoltre – aggiungono i ricercatori – livelli elevati di carbonio spingono la disponibilità media di zinco nella regione al di sotto della soglia di assunzione di nutrienti raccomandata».

Le previsioni e i modelli dello studio si spingono fini al 2050, ma Sulser è convinto che «Estendere l’analisi fino alla seconda metà di questo secolo, quando si prevede che i cambiamenti climatici avranno impatti ancora più forti, comporterebbe una riduzione ancora maggiore della disponibilità di nutrienti».

I ricercatori statunitesi e australiani hanno sottolineato la necessità di lavorare ancora per sviluppare le loro scoperte, compreso uno studio sugli impatti climatici sulle fonti animali, come pollame, bestiame e pesci, la composizione nutrizionale delle colture, le carenze nutrizionali derivanti dagli shock climatici a breve termine e le tecnologie che potrebbero attenuare le riduzioni della disponibilità di nutrienti.

Sulser conclude: «La quantificazione dei potenziali impatti sulla salute degli individui richiede anche di prendere in considerazione i molti fattori che vanno oltre il consumo di cibo – compreso l’accesso all’acqua pulita, alle strutture igienico-sanitarie e all’istruzione – che influenzano i risultati nutrizionali e sulla salute. Le diete e la salute umana sono incredibilmente complesse e difficili da prevedere, e riducendo la disponibilità di nutrienti essenziali, i cambiamenti climatici complicheranno ulteriormente gli sforzi per eliminare la sotto-nutrizione in tutto il mondo».