Il “versamento di polveri”e l’articolo 674 codice penale nella giurisprudenza più recente
La diffusione di polveri nell'atmosfera rientra nella nozione di "versamento di cose": cosa comporta questo reato?
L’articolo 674 del codice penale dispone che: “Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a duecentosei euro.”
Gli elementi costitutivi del reato di cui alla prima parte sono:
[1] a) il getto di cose o b) il versamento di cose, [2] atte a: a) offendere persone o b) imbrattare persone o c) molestare persone, [3] in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso.
Sovente tale articolo del codice penale viene utilizzato anche per sanzionare il c.d. “versamento di polveri” in atmosfera, che poi si sono depositate sul terreno circostante (occupando aree più o meno vaste), da parte di impianti o stabilimenti industriali, che può avvenire ad esempio durante le operazioni di stoccaggio di merci pulverulente, e/o per la rottura di un macchinario od a causa di incidenti di altro genere.
Il versamento di polveri e il significato dell’espressione «nei casi non consentiti dalla legge»
La giurisprudenza di legittimità si è più volte occupata di tale specifica casistica, giungendo a chiarire quali sono i presupposti per l’applicazione dell’art.674 in tali specifiche ipotesi.
In particolare la Corte di Cassazione penale, Sez. III, 18/11/2010 (Ud. 21/10/2010), nella Sentenza n. 40849- Rocchiha affermato quanto segue: l’espressione «nei casi non consentiti dalla legge» costituisce una precisa indicazione della necessità, ai fini della configurazione del reato, che, qualora si tratti di attività considerata dal legislatore socialmente utile e che per tale motivo sia prevista e disciplinata, l’emissione avvenga in violazione delle norme o prescrizioni di settore che regolano la specifica attività.
In tali ipotesi, invero, deve ritenersi che la legge contenga una sorta di presunzione di legittimità delle emissioni che non superino la soglia fissata dalle norme speciali in materia.
Quindi, per una affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui all’art. 674 cod. pen., non è sufficiente il rilievo che le emissioni siano astrattamente idonee ad arrecare offesa o molestia, ma è indispensabile anche la puntuale e specifica dimostrazione oggettiva che esse superino i parametri fissati dalle norme speciali.
Qualora invece le emissioni, pur quando abbiano arrecato concretamente offesa o molestia alle persone, siano state tuttavia contenute nei limiti di legge, saranno eventualmente applicabili le sole norme di carattere civilistico contenute nell’art. 844 cod. civ.
In altri termini, all’inciso «nei casi non consentiti dalla legge» deve riconoscersi, contrariamente a quanto ritenuto dal precedente orientamento, un valore rigido e decisivo, tale da costituire una sorta di spartiacque tra il versante dell’illecito penale da un lato e quello dell’illecito civile dall’altro (Vedi in tal senso le sentenze Corte di Cassazione: Sez. III, 10 febbraio 2005, Montinaro, m. 230982; Sez. III, 21 giugno 2006, Bortolato, m. 235056; Sez. III, 26 ottobre 2006, Gigante; Sez. III, 11 maggio 2007, Pierangeli, m. 236682; Sez. III, 9.10.2007, n. 41582, Saetti, m. 238011;).
Il presupposto fondamentale per la concretizzazione del reato
Il principio di diritto seguito ormai dal «diritto vivente» é dunque quello secondo cui il reato di cui all’art. 674 cod. pen. non è configurabile nel caso in cui le emissioni provengano da una attività regolarmente autorizzata o da una attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali e siano contenute nei limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici provvedimenti amministrativi che le riguardano, il cui rispetto implica una presunzione di legittimità del comportamento (cfr., da ultimo, Sez. III, 9.1.2009, n. 15707, Abbaneo, m. 243433; Sez. III, 27.2.2008, n. 15653, Colombo, m. 239864; Sez. III, 13.5.2008, n. 36845, Tucci, m. 240768; Sez. III, 1 febbraio 2006, n. 8299, Tortora, m. 233562).
Questo principio deve essere confermato, non potendosi ritenere sufficienti a superarlo alcune decisioni in senso contrario (cfr. Sez. 1, 27.3.2008, n. 16693, Polizzi, m. 240117; Sez. III, 12.2.2009, n. 15734, Schembri, m. 243387), che si sono limitate a richiamare alcune massime espressione del precedente orientamento, senza apportare particolari argomentazioni avverso l’interpretazione che qui viene ribadita.
Nella specie la sentenza impugnata ha espressamente ritenuto (pag. 4) che la condotta contestata all’imputata – consistente nella omessa adozione di accorgimenti idonei ad evitare il sollevamento di polveri durante le operazioni di stoccaggio dei granaglie – avesse violato la seconda ipotesi, e non già la prima ipotesi, dell’art. 674 cod. pen. Se così fosse non vi sarebbero dubbi sulla applicabilità della espressione «nei casi non consentiti dalla legge» contenuta nell’art. 674 cod. pen., e quindi del principio di diritto dianzi affermato relativamente alle emissioni provenienti da una attività regolarmente autorizzata o prevista da speciali atti normativi.”
La diffusione di polveri nell’atmosfera come “versamento di cose”
Prosegue la Corte, nell’ambito della medesima sentenza che “Deve tuttavia per completezza ricordarsi che, relativamente alle emissioni di polveri, mentre la giurisprudenza più risalente riteneva che «le immissioni nella atmosfera di polveri degli impianti di uno stabilimento industriale in virtù di un processo produttivo non integrano le condotte del “gettare” o “versare” previste dalla prima parte dell’art. 674 cod. pen. che sono riferibili ad una attività primaria e diretta, prevalentemente di natura dolosa» (Sez. 1, 1.6.1987, n. 11844, Barbetti, m. 177099; conf. Sez. VI, 16.5.1985, n. 8449, Spallanzani, m. 170537), la giurisprudenza successiva ha invece prevalentemente ritenuto che «nel concetto di “gettare o versare” di cui all’art. 674 cod. pen., che punisce il getto pericoloso di cose, rientra anche quello di diffondere polveri nell’atmosfera» (Sez. III, 23.10.2002, n. 42924, Lorusso, m. 223033), e che «il concetto di gettare o versare di cui all’art. 674 cod. pen. va inteso estensivamente fino a comprendere la diffusione, comunque, di polveri nelle aree circostanti» (Sez. I, 9.1.1995, n. 3919, Tinerelli, m. 201594; Sez. I, 22.9.1993, n. 447/94, Pasini, m. 195922).
Questo orientamento è stato di recente ribadito, riaffermandosi che «La diffusione di polveri nell’atmosfera rientra nella nozione di “versamento di cose” ai sensi della prima ipotesi dell’art. 674 cod. pen. e non in quella di “emissione di fumo” contemplata dalla seconda ipotesi, in quanto mentre il fumo è sempre prodotto della combustione, la polvere è prodotto di frantumazione e non di combustione» (Sez. III, 18.12.2008, n. 16286, Del Balzo, m. 243454).
Da questa affermazione è stata però poi fatta derivare la conseguenza che alla emissione di polveri nella atmosfera non si potrebbe mai applicare il principio di diritto, che qui è stato confermato, relativo alle emissioni provenienti da una attività regolarmente autorizzata o prevista da speciali atti normativi.
E ciò perché «la clausola “nei casi non consentiti dalla legge”, contemplata nell’art. 674 cod. pen., non è riferibile alla condotta di getto o versamento pericoloso di cose di cui alla prima parte della norma citata, ma esclude il reato solo per le emissioni di gas, vapori o fumo che sono specificamente consentite attraverso limiti tabellari o altre determinate disposizioni amministrative (fattispecie nella quale è stata esclusa l’applicabilità di tale clausola in un caso di diffusione di polveri nell’atmosfera provocate nel corso di un’attività produttiva)» Sez. III, 18.12.2008, n. 16286, Del Balzo, m. 243456).
Questa ultima tesi non può però essere condivisa per le ragioni – valevoli allo stesso modo anche per l’ipotesi di emissione di polveri – già evidenziate da questa Sezione in numerose decisioni relative alle emissioni di onde elettromagnetiche, che sono state parimenti fatte rientrare nella prima ipotesi dell’art. 674 cod. pen. (Sez. III, 13.5.2008, n. 36845, Tucci, m. 240767, secondo cui «In tema di getto pericoloso di cose, il reato previsto dall’art. 674 cod. pen. non prevede due distinte ed autonome ipotesi di reato ma un reato unico, in quanto la condotta consistente nel provocare emissioni di gas, vapori o fumo rappresenta una “species” del più ampio “genus” costituito dal “gettare” o “versare” cose atte ad offendere, imbrattare o molestare persone (in motivazione la Corte, nell’enunciare il predetto principio, ha precisato che la previsione della condotta di “provocare emissioni” ha solo il fine di specificare che, quando si tratta d’attività disciplinata per legge, la rilevanza penale delle emissioni medesime è subordinata al superamento dei limiti e delle prescrizioni di settore; conf. Sez. III, 9.1.2009, n. 15707, Abbaneo; nonché Sez. III, 15708, 15709, 15710, 15711, 15712, 15713, 15714, 15715, 15716 del 2009, non massimate).
Si è quindi ritenuto che possa darsi una interpretazione adeguatrice all’art. 674 cod. pen., nel senso esso non preveda in realtà due distinte e separate ipotesi di reato, ma un solo ed unitario reato nel quale la seconda ipotesi (emissione di gas, vapori o fumo) non è altro che una specificazione della prima ipotesi, caratterizzata non tanto dal fatto del particolare oggetto dell’emissione (gas, vapori, fumo) quanto piuttosto dalla circostanza che è possibile che l’emissione, ossia l’attività pericolosa, in quanto socialmente utile, sia disciplinata dalla legge o da un provvedimento dell’autorità, e che in tal caso il reato è configurabile esclusivamente quando essa non sia consentita, ossia quando siano superati i limiti previsti per la specifica attività, dovendo altrimenti presumersi legittima.
In altre parole, le emissioni di cui alla seconda ipotesi rientrano già nell’ampio significato dell’espressione «gettare cose», di cui in realtà costituiscono una specie, e sono state espressamente previste dalla disposizione solo per specificare che, quando si tratta di attività disciplinata per legge – e per tale motivo ritenuta dal legislatore di un qualche interesse pubblico e generale – la loro rilevanza penale nasce soltanto con il superamento dei limiti e delle prescrizioni di settore.