Che fine ha fatto il turismo nel Governo Conte bis?
Il turismo oggi può essere un grande cantiere politico per lo sviluppo sostenibile, e val bene un ministro che se ne occupi a tempo pieno
Ancora una volta le politiche del turismo hanno cambiato “casa”. Nella distribuzione delle competenze del governo “Conte 2” il ministero dei Beni culturali, tornato alla responsabilità di Dario Franceschini, si è riappropriato del “Turismo”. Nella stagione del gialloverde “Conte 1” questa competenza era stata invece accorpata al ministero delle Politiche agricole, guidato dal leghista Gian Marco Centinaio, rompendo una prassi che durava dal 2013.
Eppure c’era una volta un ministero “del Turismo e dello spettacolo”. La sua storia, iniziata nel 1959, si era conclusa dopo 35 anni con il referendum del 1993, che lo aboliva e consegnava le competenze sul turismo alle Regioni. Quasi trent’anni dopo questa scelta non ha più molti sostenitori. Le politiche turistiche delle Regioni hanno mostrato, pur con qualche eccezione, un evidente squilibrio tra mezzi impiegati ed efficacia dei risultati, scarsa massa critica e – al tempo stesso – forme di centralismo regionale che si sono tradotte in incapacità di interpretare la varietà dei territori.
In suo recente e brillante contributo pubblicato su Il fatto quotidiano, Salvatore Settis ha il merito di attirare l’attenzione sul “fantasma” delle competenze turistiche del governo nazionale, condannato ad un continuo peregrinare tra i vari palazzi romani, in posizione quasi sempre ancillare ad altre competenze. Bisogna ammettere che, se la logica è quella dell’accorpamento, la discussione può andare all’infinito. Perché ad esempio non al ministero dello Sviluppo economico? Com’è possibile che il ministero che deve appunto occuparsi di sviluppo possa farlo a prescindere da un settore che vale il 10% del Pil?
Qualche anno fa, in Francia, la competenza sul Turismo finì addirittura al ministero degli Esteri, allora governato dal potente ministro socialista Fabius. E in effetti l’idea, a prima vista un po’ bislacca, funzionò benissimo. Il turismo divenne parte integrante della proiezione internazionale del Paese, le sue politiche assunsero un nuovo profilo e arrivarono nuove risorse.
Il problema è che nella cultura politica (e dei politici) in Italia regna una grande confusione su cosa debba essere oggi una politica del turismo. Per molti si tratta essenzialmente di gestire (e soprattutto finanziare) la promozione turistica, magari in modo più coerente ed efficace di quanto non abbiano sin qui fatto le Regioni (ma le performance degli enti nazionali non sono certo state sempre brillanti).
Per altri, tra cui il professor Settis, bisognerebbe forse parlare di politica di “difesa dal turismo”. Vi domina la preoccupazione che il “peggior turismo” prenda il sopravvento emetta in pericolo la tutela dell’ambiente e dei beni culturali. Il vergognoso scandalo delle navi da crociera a Venezia dimostra comunque che questa tutela non è stata assicurata da nessuno dei vari accorpamenti: può bastare ora la solenne quanto ambigua promessa di risolverlo “entro fine mandato” (?) da parte del neo-ministro di Beni culturali e turismo?
Tutto ciò è necessario, ma insufficiente. Una politica del turismo oggi significa interfacciarsi con sistemi di soggetti pubblici e privati, locali, nazionali e globali, sempre più complessi. Non si può per altro governare le dinamiche attuali senza incrociare le sfide del turismo, a cominciare da quelle della sostenibilità, con problematiche molto più ampie, ma in cui il turismo ha un peso qualitativamente e quantitativamente crescente, spesso determinante.
Governare il turismo significa occuparsi di impatti del cambiamento climatico, di qualità delle infrastrutture, di trasporto aereo, di logistica degli approdi crocieristici, di innovazione tecnologica e di nuova imprenditorialità, di servizi al turista (che spesso si sovrappongono a quelli al cittadino), di smart city e digitalizzazione, di formazione e di ricerca. Significa pure promozione che però, in un’epoca di “overtourism”, ha il compito non di aumentare indiscriminatamente i flussi di visitatori, ma di offrire nuove destinazioni e nuovi prodotti per un turismo più responsabile, più lento e di maggiore qualità.
Il turismo oggi può essere insomma un grande cantiere politico per lo sviluppo sostenibile. E val bene un ministro che se ne occupi a tempo pieno.