Fogne, fiumi e suoli: l’anello mancante della resistenza agli antibiotici
Nei Paesi poveri l'80% delle acque reflue viene scaricato non trattato nell'ambiente
[29 Ottobre 2019]
Se pensate che la chiave per sconfiggere la resistenza agli antibiotici sia solo in quello che i medici prescrivono meno o nel fatto che gli scienziati trovino alternative a farmaci diffusissimi, probabilmente vi sbagliate. Le soluzioni potrebbero andare ben oltre la medicina e riguardare la gestione dei fiumi e dei suoli. Secondo Horizon il magazine scientifico dell’Ue «Questa è l’opinione degli scienziati che nell’ultimo decennio hanno scoperto quantità inquietanti di antibiotici e batteri resistenti agli antibiotici nei fiumi e nelle acque reflue. Ora stanno sviluppando tecniche per quantificare i pericoli contenuti in ogni particolare specchio d’acqua – e sperano che questo possa innescare l’azione dei politici».
Willem van Schaik, un microbiologo e infettivologo dell’università di Birmingham, spiega che «Uno dei modi in cui i residui degli antibiotici raggiungono l’ambiente è quando le persone li espellono nelle loro feci e nelle urine. E non si tratta solo dei farmaci: anche i germi che causano la malattia per la quale sono stati presi gli antibiotici ottengono un passaggio, e una parte di questi sarà resistente ai farmaci».
Il fenomeno è probabilmente enorme nei Paesi poveri, dove oltre l’80% delle acque reflue viene scaricato non trattato nell’ambiente. Horizon fa l’esempio della capitale del Camerun, dove Blaise Bougnom, microbiologa ambientale dell’Universitè de Yaoundé, sta analizzando il percorso che fanno le acque reflue: i rifiuti umani finiscono spesso direttamente nei canali delle città, da dove gli agricoltori urbani prendono l’acqua per irrigare le coltivazioni essenziali per rifornire di prodotti vegetali per abitanti delle città.
Se nei Paesi sviluppati l’agricoltura urbana è un modo per rinverdire le città e per consumi biologici a km Zero, nei Paesi più poveri è molto diffusa per necessità: si coltiva cibo ai bordi delle strade, lungo i canali di scolo, nelle rotonde stradali e nei parchi. In alcuni Paesi in via di sviluppo l’agricoltura urbana può fornire il 40% dell’offerta alimentare di una città e fino al 90% della richiesta di verdure.
La Bougnom denuncia che «negli ospedali di Yaoundé esiste un livello “allarmante” di infezioni resistenti agli antibiotici. Ho discusso con alcuni medici. Ho iniziato a pensare che potrebbe esserci una relazione tra ciò che stiamo vedendo in ambito clinico e ciò che sta accadendo nell’ambiente. Quindi ho sviluppato questo progetto esaminando il potenziale delle acque reflue di trasmettere AMR (resistenza antimicrobica)».
La scienziata camerunense ha iniziato la sua ricerca “Antibiotic resistant bacteria and genes, associated with urban agriculture in Low and Middle Income Countries: Ecological and medical perspectives”mentre studiava all’università di Birmingham le acque reflue dei canali utilizzate per l’irrigazione nelle città di Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso, e Yaoundé e Ngaoundere in Camerun. Ha analizzato quali geni erano presenti nell’acqua e ne ha trovato molti correlati a batteri che causano la diarrea nell’uomo. Ha anche scoperto molti geni legati alla resistenza agli antibiotici, compresi più di 80 che sono noti per essere facilmente trasferibili tra i batteri, insieme ad entità, come i plasmidi, che li trasferiscono. Ha quindi confrontato i campi coltivati urbani di queste città, scoprendo che quelli che erano stati irrigati con acque reflue non depurate contenevano più antibiotici e geni della resistenza rispetto a quelli che non lo erano.
La ricercatrice africana commenta. «E’ davvero tragico perché qualcosa che avrebbe dovuto portare molte soluzioni (l’agricoltura urbana), in realtà potrebbe anche portare molti problemi».
Un’altra forte e pericolosa fonte di acque reflue cariche di resistenza agli antibiotici potrebbero essere le acque reflue ospedaliere. E’ probabile che in tutto il mondo l’uso di antibiotici sia maggiore negli ospedali. Van Schaik: dice che «In Europa, un terzo dei pazienti ospedalieri assume quotidianamente antibiotici, mentre negli Usa questa cifra è della metà. Pertanto è probabile che il carico nelle acque reflue – sia di antibiotici che di batteri resistenti – sia elevato. Il sistema fognario di un ospedale lo si può considerare come un tubo in cui sulle pareti sta crescendo un intero ecosistema batterico. Questi ecosistemi saranno ottimizzati per crescere nelle condizioni delle acque reflue che fluiscono attraverso quei sistemi e poiché i livelli di antibiotici saranno molto alti – più alti che quasi ovunque altrove – quei batteri si saranno adattati alla vita in presenza di alti livelli di antibiotici».
Non è noto quanto sia questo carico di resistenza agli antibiotici nelle acque reflue – e quindi le dimensioni di un problema che affrontiamo – ma Lisandra Zepeda Mendoza, esperta di genomica e collega di van Schaik, spera di scoprirlo studiando il materiale genetico dei microbi in quell’ecosistema grazie al progetto “Antibiotic Resistance in Clinical Sewage microbiomes” (ARCS) e per questo ha analizzato il DNA dei batteri e dei virus trovati nelle acque reflue ospedaliere, alla ricerca di elementi come i geni associati al trasferimento di resistenza tra i batteri e i fagi. La Mendoza sottolinea che «Per capire quanto sia rischioso un campione, è importante capire non solo quali geni della resistenza sono presenti ma anche quanto sono trasmissibili, il che dipende da cos’altro è presente. Posso identificare quali batteri ci sono e quali geni hanno e cosa possono fare».
La ricercatrice sta inserendo questi risultati – così come i dati di altre analisi delle acque reflue ospedaliere – in un modello di apprendimento automatico che può dedurre quanto sia potente la minaccia della resistenza in una particolare fonte. Se questo approccio avrà un esito positivo, potrebbe essere utilizzato per confrontare i pericoli riguardanti diverse fonti, ad esempio i fiumi vicini alle fabbriche di medicinali o ad ospedali, i canali cittadini e l’acqua per l’irrigazione.
Van Schaik conclude: «Non esiste davvero un modo per confrontare ambienti diversi in modo standardizzato. Le persone che fano parte del mio campo stanno discutendo a fondo su quali siano gli interventi più efficaci e quali siano le cose più importanti su cui lavorare e la risposta è che non lo sappiamo. Penso che con questo approccio saremo almeno in grado di effettuare una valutazione del rischio dei diversi ambienti, e non solo delle acque reflue, ma dei batteri che colonizzano l’intestino umano o l’intestino animale o il suolo o qualsiasi cosa alla quale si possa pensare. Questo potrebbe risolvere le discussioni sui diversi contributi apportati da una varietà di pratiche alla generazione della resistenza agli antibiotici. Se si va nei paesi a basso e medio reddito, la resistenza agli antibiotici è davvero un grosso problema clinico e anche molto costoso. Se con questo studio potessimo almeno convincere alcune persone che cercare di affrontare la causa sottostante della resistenza agli antibiotici è un buon investimento, piuttosto che cercare solo di migliorare i trattamenti per i pazienti negli ospedali, sarebbe una buon risultato politico».