Il Gigantopithecus era un parente scomparso dei moderni orangutan
Un primate gigantesco, alto 3 metri e che poteva arrivare fino a 600 kg peso
[15 Novembre 2019]
Lo studio “Enamel proteome shows that Gigantopithecus was an early diverging pongine, pubblicato su Nature da un team internazionale di ricercatori guidato dal Globe Institute della Københavns Universitet e dall’Institut de Biologia Evolutiva di Barcellona. ricostruisce la relazione evolutiva tra un gigantesco primate gigante – il più grande conosciuto – vissuto 2 milioni di anni fa e gli orangutan viventi.
Gli scienziati danesi ci sono riusciti estraendo per la prima volta materiale genetico da un fossile proveniente da un’area subtropicale e questo ha consentito loro di ricostruire accuratamente i processi evolutivi dei primati, uomo compreso, ben oltre i limiti conosciuti oggi.
All’università di Copenaghen spiegano che «Utilizzando l’antico sequenziamento proteico, i ricercatori hanno recuperato informazioni genetiche da un primato estinto di 1,9 milioni di anni che viveva in un’area subtropicale nella Cina meridionale. Le informazioni genetiche consentono ai ricercatori di scoprire la posizione evolutiva del Gigantopithecus blacki, un primate alto 3 metri e che poteva pesare fino a 600 kg di peso, rivelando l’orangutan è il suo parente vivente più vicino».
Il principale autore dello studio, Frido Welker del Globe Institute, «I risultati sono rivoluzionari nel campo della biologia evolutiva. Parlando di evoluzione, i primati sono relativamente vicini agli esseri umani. Con questo studio, dimostriamo che possiamo utilizzare il sequenziamento proteico per recuperare antiche informazioni genetiche dai primati che vivono in aree subtropicali anche quando il fossile ha due milioni di anni. Fino ad ora, nelle arre calde e umide era stato possibile recuperare informazioni genetiche solo da fossili vecchi di 10.000 anni. Questo è interessante, perché anche antichi resti dei presunti antenati della nostra specie, l’ Homo sapiens, si trovano principalmente nelle aree subtropicali, in particolare per la prima parte dell’evoluzione umana. Ciò significa che possiamo potenzialmente recuperare informazioni simili sulla linea evolutiva che porta agli esseri umani».
Oggi gli scienziati sanno che i lignaggi umani e degli scimpanzé si sono divisi circa 7 o 8 milioni di anni fa. Però, con le metodologie precedenti potevano solo recuperare informazioni genetiche umane non più vecchie di 400.000 anni. I nuovi risultati mostrano la possibilità di estendere la ricostruzione genetica delle relazioni evolutive tra le nostre specie e quelle estinte più lontano nel tempo, almeno fino a 2 milioni di anni, coprendo una porzione molto più grande dell’intera evoluzione umana.
Il recente studio “Early Pleistocene enamel proteome from Dmanisi resolves Stephanorhinus phylogeny”, pubblicato su Nature da un team guidato da Enrico Cappellini, professore associato al Globe Institute e autore senior del nuovo studio, aveva già dimostrato il grosso potenziale del sequenziamento antico-proteico e Cappellini spiega che «Sequenziando le proteine recuperate dallo smalto dentale di circa due milioni di anni, abbiamo dimostrato che è possibile ricostruire con fiducia le relazioni evolutive delle specie animali che si sono estinte troppo lontano nel n tempo perché il loro DNA sopravviva fino ad ora. In questo studio, possiamo anche concludere che i lignaggi dell’orangutan e del Gigantopithecus si sono separati circa 12 milioni di anni fa».
Il sequenziamento di una proteina vecchia di due milioni di anni è stato possibile estendendo fino ai suoi limiti la tecnologia alla base della scoperta proteomica: la spettrometria di massa. Spettrometri di massa all’avanguardia e la eccezionale competenza in paleoproteomica necessaria per ottenere il meglio da una strumentazione così sofisticata sono le risorse chiave che derivano dalla collaborazione strategica decennale con un altro autore dello studio: Jesper Velgaard Olsen, del Novo Nordisk Foundation Center for Protein Research.
I primi resti fossili del Gigantopithecus furono scoperti nella Cina meridionale nel 1935 e attualmente si limitano a poche mascelle inferiori e molti denti, ma per ora non è stato trovato nessun cranio completo e nessun altro osso dal resto dello scheletro della gigantesca scimmia. Quindi le speculazioni sull’aspetto fisico di questo misterioso animale si sprecavano.
Cappellini conclude: «I precedenti tentativi di capire quale potesse essere l’organismo vivente più simile al Gigantopithecus poteva basarsi solo sul confronto della forma dei fossili con il materiale di riferimento scheletrico proveniente da grandi scimmie viventi. L’analisi del DNA antico non era un’opzione, poiché il Gigantopithecus si estinse circa 300.000 anni fa e nell’area geografica che occupava il Gigantopithecus non era finora stato recuperato nessun DNA più vecchio di circa 10.000 anni. Di conseguenza, abbiamo deciso di sequenziare le proteine dello smalto dentale per ricostruire la sua relazione evolutiva con le grandi scimmie viventi e abbiamo scoperto che l’orangutan è il “parente vivente più vicino” del Gigantopithecus»