Migrazioni, Guterres: il Global Compact per la vita. Nel mondo 1 sfollato ogni 2 secondi a causa della crisi climatica
Carola Rackete: nel 2050 potrebbero esserci un miliardo di sfollati climatici
[18 Dicembre 2019]
Oggi è l’International Migration Day e intervenendo al Global Refugee Forum Che termina oggi a Ginevra. Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha invitato la comunità internazionale ad «Alleviare l’angoscia di coloro che sono stati cacciati dalle loro case da guerre, conflitti o persecuzioni». Guterres ha insistito soprattutto sulla riaffermazione dei diritti umani dei rifugiati. «In un momento in cui il diritto di asilo è sotto attacco, quando così tante porte sono chiuse ai rifugiati e dove così tanti bambini rifugiati sono detenuti e separati della loro famiglia. Eppure, ovunque e in ogni momento, ci sono sempre state persone pronte ad offrire un rifugio al loro vicino, solo per senso del dovere e per umanità. La solidarietà è profondamente radicata nel carattere umano».
Poi il capo dell’Onu ha ricordato qualcosa che non piace per niente ai vari Salvini e Meloni: «E in questo dovere di solidarietà con queste persone vulnerabili, il Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration rappresenta la nostra roadmap», richiamando così tutti a mettere più energia e dinamismo nell’attuazione di questo patto: «E’ giunto il momento dell’’ambizione. Bisogna rinunciare a un modello di sostegno che troppo spesso ha messo per decenni la vita dei rifugiati tra parentesi. Confinati nei campi, vivono giorno per giorno, senza poter prosperare né Poter apportare il loro contributo alla società. Si tratta quindi di mobilitarsi per far realmente progredire l’accesso all’educazione, ai mezzi di sussistenza e all’energia, per rafforzare la resilienza dei rifugiati e delle loro comunità di accoglienza, per preservare lo spazio umanitario e l’accesso di chi è nel bisogno e per rafforzare i servizi, in particolare quelli destinati alle vittime di violenze sessuali o basate sul genere».
Guterres, dopo aver nuovamente richiamato la comunità internazionale e il mondo economico alle sue responsabilità, ha ammesso che «il contesto mondiale può sembrare minaccioso. Dappertutto, la discordia e le rivalità contribuiscono all’imprevedibilità e all’insicurezza. La crisi climatica accentua le fragilità».
E il crescente impatto del dei cambiamenti climatici come causa dell’aumento dei rifugiati viene confermato dal rapporto “Forced from Home” di Oxfam: «Le catastrofi naturali alimentate dall’impatto del cambiamento climatico sono la prima causa al mondo di migrazioni forzate all’interno di Paesi spesso già poverissimi o dilaniati da conflitti. Negli ultimi 10 anni sono aumentate di 5 volte e hanno costretto oltre 20 milioni di persone ogni anno, 1 persona ogni 2 secondi, a lasciare le proprie case per trovare salvezza altrove. È come se una volta all’anno tre quarti della popolazione di Roma fosse costretta a lasciare le proprie case, per trovare scampo da uragani, cicloni, inondazioni o siccità durissime».
Secondo l’ONG, «Cicloni, inondazioni e incendi hanno 7 volte più probabilità di causare migrazioni forzate rispetto a terremoti o eruzioni vulcaniche e 3 volte di più rispetto a guerre e conflitti. Un trend drammatico che paradossalmente colpisce soprattutto i Paesi più poveri, che non hanno praticamente responsabilità sul livello di emissioni globali di CO2 in atmosfera».
Sulla questione profughi – riscaldamento globale interviene anche Carola Rackete, la capitana di Sea-Watch 3 che è diventata l’incubo di Matteo Salvini e che su The New Republic scrive: «In genere, le persone del Sud del mondo dicono che vorrebbero rimanere nelle loro case se potessero. Non vogliono andarsene. Stanno partendo perché sono costrette a farlo. Nelle Isole del Pacifico, Ci sono già intere nazioni, così come intere comunità di isole molto basse sul livello del mare, che si stanno spostando in aree diverse, a volte anche in altri Paesi. (È anche importante notare che in questo momento la maggior parte delle persone è sfollata all’interno dei propri Paesi e non attraversa i confini internazionali). Entro il 2050, potrebbero esserci un miliardo di persone sfollate a causa del disastro climatico. I range di quante persone saranno sfollate entro il 2050 sono piuttosto ampi, tuttavia, è difficile definire la migrazione forzata dal clima: se qualcuno perde il proprio reddito un anno a causa di una siccità, quindi c’è di nuovo una siccità l’anno successivo e il terzo anno decidono di trasferirsi altrove, è davvero difficile dire se si tratti di una ragione economica o di migrazione climatica».
Guterres ha ricordato che «I Paesi in via di sviluppo accolgono ammirevolmente la grande maggioranza dei rifugiati e devono essere maggiormente sostenuti. Più che mai, abbiamo quindi bisogno di cooperazione internazionale e di risposte concrete ed efficaci. Bisogna aiutare meglio coloro che sono stati costretti alla fuga e sostenere meglio le comunità e i Paesi che li accolgono».
Nel 2018 gli sfollati in tutto il mondo hanno raggiunto il record do oltre 70 milioni, 25 milioni dei quali rifugiati e Filippo Grandi, alto commissario Onu per i rifugiati ha detto che «Le prospettive sono desolanti» e per questo ha invitato la comunità internazionale a «Non chiudere gli occhi sulla realtà della crisi dei rifugiati. L’attuale ambiente di protezione è complesso e inquietante. Vediamo rifugiati che sono fuggiti per salvare le loro vite demonizzati e trasformati in A paurose» e ha denunciato «coloro che ne traggono profitto politicamente, alimentando l’ansia dell’opinione pubblica e orientandola verso alcune delle persone più emarginate e vulnerabili del mondo. Non è solo immorale, ma riduce anche lo spazio per soluzioni pratiche».
Tuttavia, secondo il capo dell’ United Nations High Commissioner for Refugees (Unhcr), «Il contrappeso a questo ambiente ostile rimane questo Global Compact basato su principi e valori, un modello di azione internazionale basato non sulla cultura della paura, ma sull’offrire soluzioni basate su principi, ma realizzabili». Grandi ha chiesto alla comunità internazionale e al suo e nostro Paese che quel patto non lo ha vigliaccamente firmato, di «Tacciare un percorso fatto di audacia e pragmatismo, per offrire protezione e dignità a milioni di persone. Perché, nonostante lo straordinario lavoro dell’Unhcr e del personale umanitario, resta ancora molto da fare: i rifugiati restano numerosi, l’odio non si è placato e gli standard e le regole di vecchia data restano minacciati. Il destino del mondo è legato a quello dei rifugiati. Soprattutto quando intere vite possono crollare a causa di conflitti o disastri».
Il direttore esecutivo dell’International organization for migration (Iom) António Vitorino, ha sottolineato che «LE comunità ospitanti in tutto il mondo hanno una lunga tradizione nell’accogliere i migranti. Le comunità che prosperano sono quelle che abbracciano il cambiamento e si adeguano ad esso. I migranti sono un elemento integrale e benvenuto di quel cambiamento. I migranti possono anche diventare “campioni di resilienza”, ad esempio durante i periodi di disastro, cambiamenti ambientali, disoccupazione e turbolenze politiche».
La Rackete scrive ancora su The New Republic: «Non posso prevedere il futuro, ma so che la migrazione aumenterà quando le persone avranno i loro mezzi di sussistenza distrutti, la migrazione aumenterà. Anche un rapporto delle Nazioni Unite dello scorso aprile lo ha chiarito bene: è il rapporto che parla di “apartheid climatica”, un termine usato dal principale autore, Phillip Alston. Descrive come la crisi climatica intensifichi la povertà nel mondo perché, ad esempio, quando le case delle persone vengono distrutte e non hanno un’assicurazione, non hanno le risorse per ricostruire i loro mezzi di sussistenza. Non hanno nessun backup. Da un lato, vivono nei luoghi maggiormente colpiti; dall’altra parte, hanno meno risorse per proteggerli. Quindi quello che descrive è un mondo in cui le nazioni ricche costruiranno un recinto attorno a se stesse, e tutti gli altri saranno lasciati a soffrire. La domanda principale qui è come reagirà il Nord globale. Al momento, possiamo vedere la risposta nell’Ue, possiamo vederla negli Stati Uniti e possiamo anche vederla in Australia con le sue prigioni offshore a Nauru e Manus. In tutti questi Paesi si tratta fondamentalmente dello stesso: escludere le persone e non lasciarle entrare, anche se stanno solo cercando sicurezza. Condivido l’idea di Greta Thunberg che si può avere speranza solo dopo l’azione. Non puoi metterti a sedere nel tuo giardino ad aspettare le mele se non hai piantato un melo. Se hai piantato il tuo melo, allora puoi sperare che il tempo sia abbastanza buono da far crescere davvero delle mele. Ma la speranza è sempre qualcosa che dipende da fattori esterni che non possiamo controllare. La disgregazione climatica non è affatto al di fuori del nostro controllo. È completamente nostra responsabilità come esseri umani, anche se non tutti nella stessa misura. Abbiamo la tecnologia per apportare modifiche. Dobbiamo solo fare qualcosa.
l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, nata in Cile, il cui bisnonno ha lasciato la Francia per il paese sudamericano, è stata due volte presidente dopo essere stata in esilio per sfuggire alla dittatura fascista. Quindi sa bene di cosa parla quando dice che «Ogni persona che migra ha le sue ragioni per abbandonare casa e famiglie e ognuna di queste persone ha proprie esperienze uniche lungo il viaggio: la propria storia personale di esilio e appartenenza. Ho spesso espresso la mia preoccupazione per gli atteggiamenti e i comportamenti che respingono, disumanizzano, escludono e attaccano i migranti. Anche se tali sentimenti raramente rappresentano la visione principale sulla migrazione, alcuni cercano di dividerci gridando più forte. Gli effetti di tali narrative divisive sono di vasta portata all’interno delle nostre società, riducendo la nostra fiducia e i nostri legami con gli altri- In occasione dell’International Migrants Day incoraggio le persone di tutto il mondo a celebrare ciò che ci unisce, perché quando ci uniamo possiamo superare differenze e conflitti. Ed è così che tutti noi scopriamo di appartenerci»