Silvestrini: «100 in più rispetto alla precedente valutazione, la metà delle risorse per il Green deal»
Conto salato per il nucleare europeo, la gestione dei rifiuti cresce fino a 566 miliardi di euro
«Ad oggi – osserva la Commissione europea – tutti gli Stati membri hanno notificato i loro programmi nazionali finali, tranne l'Italia»
[21 Gennaio 2020]
L’avventura nucleare europea, che si trova oggi a fare i conti con una gestione dei rifiuti radioattivi complessa quanto lunga – le scorie più pericolose necessitano di essere custodite in sicurezza per migliaia di anni –, si sta rivelando sempre più costosa da gestire. Secondo l’ultimo rapporto prodotto dalla Commissione Ue, si parla di cifre che superano il mezzo bilione: «Solo per gestire i rifiuti nucleari l’Europa dovrà spendere 500 miliardi di euro – sintetizza il direttore scientifico del Kyoto club, Gianni Silvestrini –, 100 in più rispetto alla precedente valutazione Ue. La metà delle risorse per il Green deal», che si propone appunto di mobilitare investimenti pari a 1.000 miliardi di euro per la transizione ecologica del Vecchio continente.
La mole di rifiuti radioattivi che l’Europa è chiamata a gestire è ingente e in continua crescita: tutti gli Stati membri generano questo tipo di rifiuti attraverso molteplici attività, che spaziano dalla produzione di elettricità alla ricerca scientifica, fino alle comuni applicazioni mediche. La presenza delle centrali nucleari, com’è evidente, è però centrale nella produzione di rifiuti radioattivi: ad oggi queste centrali sono operative in 14 Paesi, mentre altri due (ovvero l’Italia e la Lituania) hanno abbandonato i loro programmi nucleari e stanno portando avanti il decommissioning degli impianti presenti sul territorio.
Nel loro complesso, questi 16 Stati rappresentano il 99,7% dei rifiuti radioattivi europei: in totale si tratta di 3.466.000 m3 di scorie da gestire, in aumento del 4,6% negli ultimi tre anni. Un dato che è destinato a crescere ancora molto, contando che al momento della stesura del rapporto sono in funzione 126 reattori nucleari, con una capacità totale pari a 119 GWe. La Commissione Ue prevede infatti che entro il 2030 i rifiuti con livello di radioattività molto basso raddoppieranno, mentre le altri classi cresceranno del 20-50%.
Per gestirli servirà un ammontare di risorse enorme, le cui stime continuano a crescere. Il precedente report individuava la cifra di 400 miliardi di euro, che adesso si immagina potranno salire fino a 566 miliardi di euro. Nonostante i costi monstre la Commissione rileva «progressi significativi» nello sviluppo e nell’adozione dei programmi nazionali per la gestione dei rifiuti, quadro nel quale spicca però il silenzio del nostro Paese. «Ad oggi – osserva la Commissione – tutti gli Stati membri hanno notificato i loro programmi nazionali finali, tranne l’Italia».
Come noto l’attività di gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi in Italia è affidata alla Sogin, con costi individuati in 7,2 miliardi di euro, anche se dal 2001 al 2018 il programma di smantellamento è stato realizzato per circa un terzo delle attività ma è già costato 3,8 miliardi di euro. Attualmente sono oltre 30mila i metri cubi di rifiuti radioattivi sono sparsi in depositi lungo 7 regioni italiane, mentre il 99% del combustibile irraggiato delle quattro centrali nucleari nazionali dismesse non si trova più in Italia: è stato inviato in Francia e in Gran Bretagna per la fase di riprocessamento. Una volta conclusa, i residui faranno ritorno nel nostro Paese come rifiuti radioattivi (per un volume che, in totale, si stima pari a 91,5 metri cubi).
In ogni caso, l’attesa rimane tutta per il deposito unico nazionale, chiamato a ospitare in sicurezza i rifiuti radioattivi italiani: un progetto da 1,5 miliardi di euro, ma nessuno ha ancora idea di dove sarà realizzato. Nella Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) a ospitare il deposito sono stati individuati 100 possibili siti ormai dal gennaio 2015, ma da allora è sempre rimasta chiusa in un cassetto; l’ex sottosegretario al Mise Davide Crippa, audito la scorsa estate nella commissione Ecomafie, ha riferito che si prevede di concludere l’iter necessario alla pubblicazione della Carta entro la fine del 2019 e l’inizio del 2020, ma il termine indicato è nuovamente scaduto e della Carta continua a non esserci traccia.