Nei prossimi mesi il mondo del turismo si spaccherà in due: una “fase” da governare
Per i turismi incompatibili con la gestione epidemica ci sarà una decrescita da gestire, mentre altri potranno sbocciare riscoprendo fruizioni del territorio antiche ma profondamente rinnovate dall’utilizzo delle tecnologie
L’industria turistica sta vivendo probabilmente la fase più drammatica della sua storia. La questione della riapertura delle spiagge può ben essere assunta a paradigma non solo della complessità dei problemi, ma anche delle configurazioni del turismo nella “nuova normalità” che ci attende.
Negli ultimi giorni diverse Regioni hanno permesso agli operatori di compiere lavori di manutenzione, ma una grande confusione sembra prevalere sulle modalità con le quali si configurerà la nuova spiaggia. Verosimilmente archivieremo con un sorriso la bizzarra proposta delle cabine di plexiglas, ma restano i problemi veri: ombrelloni diradati, sì, ma quanto? Per quante persone? E cosa succederà nelle spiagge che un tempo si chiamavano “libere”? E come coordinare l’insieme di attività che ruotano attorno alla spiaggia (alberghi, ristoranti, bar, vucumprà)?
Il problema più grave riguarderà quelle aree come la Romagna (ma non solo…) in cui il turismo cosiddetto balneare include come elemento distintivo l’accesso a luoghi ed eventi caratterizzati da importanti assembramenti di persone, come le discoteche. Difficile immaginare modalità di distanziamento in quei contesti. E siamo poi sicuri che la voglia di sballo sarà così forte da far dimenticare le paure della convivenza col virus? Che la domanda ci sarà ancora lì, come prima, magari provvisoriamente drogata da qualche fantasioso bonus fiscale per vacanze patriottiche?
E allora forse potremmo cominciare a dire l’indicibile, ossia che nei prossimi mesi il mondo del turismo si spaccherà in due. E che la politica di questo dovrebbe prendere atto con lucidità e col coraggio di scegliere.
Da un lato avremo una serie di turismi le cui caratteristiche sono incompatibili con la gestione di una epidemia in corso. Sono i turismi balneari d’ammasso ma non solo: si pensi a tutti i casi – urbani ed extraurbani – in cui sino ai ieri parlavamo di un problema di “overtourism” e consideravamo sempre meno sostenibili. Per questi turismi ci sarà una sola parola d’ordine ragionevole: decrescita.
Ciò significa che ci vorranno appunto politiche della decrescita, non di generico sostegno della domanda, le quali accompagnino (come si fa per le industrie in declino strutturale) la riconversione di imprese e risorse umane e riprogettino, pezzo per pezzo, i sistemi turistici territoriali.
Ci sarà però anche un altro turismo, che dovrà emergere da una stagione di rapida e intensissima innovazione di prodotto, riscoprendo fruizioni del territorio magari antiche ma profondamente rinnovate dall’utilizzo delle tecnologie. Sarà un turismo dei contenuti (naturalistici, sportivi, enogastronomici, culturali, del benessere…) che si affiderà a modelli di business compatibili con le esigenze di controllo del contagio (ripensiamo ad esempio all’albergo diffuso) o capaci di adeguarsi con opportuni investimenti. Sarà un turismo che si svincolerà da alcuni dei pilastri della crescita del passato (quali la mobilità esasperata, sollecitata dalle compagnie aeree low cost). Ma sarà soprattutto un turismo capace di reinventare i modelli di consumo. In alcuni casi sarà forse più semplice innovare perché i primi passi erano già stati compiuti (ad esempio, nel regolare l’accesso ai musei). In altri casi ci sarà bisogno di creatività per reinventare, ad esempio, le modalità di fruizione di un’esperienza eno-gastronomica, reingegnerizzando i processi fuori dagli schemi tradizionali della ristorazione (ma anche qui non partiamo da zero).
E sarà questo turismo che varrà la pena di sostenere, incentivando gli investimenti e premiando l’innovazione, perché con i processi in corso decrescano le quantità, ma non il valore economico (e non solo economico) generato per il Paese.