Dietro i numeri ci sta tutta la differenza tra il dire e il fare

Incentivi all’economia circolare, luci (teoriche) e ombre (concrete) sul risultato finale

Duecentodieci milioni di euro di incentivi per sostener l'economia circolare. Detta così sembra una cifra enorme ma se si divide per 500.000...

[16 Giugno 2020]

Duecentodieci milioni di euro di incentivi per sostener l’economia circolare. Detta così sembra una cifra enorme ma se si divide per 500.000, ovvero il minimo di investimento previsto (il massimo è 2 milioni), si scopre che al massimo possono essere agevolati 420 progetti. Tanti? Pochi? Ognuno può rispondersi da solo, tenendo certamente conto che le imprese manifatturiere (le uniche beneficiarie) in Italia sono poco meno di 390mila (dati Istat 2015), ma che quelle che possono permettersi investimenti di questa portata assai assai meno. Il fatto positivo è che comunque si è fatta una scelta ben precisa e che il decreto attuativo per sostenere l’innovazione nell’ambito dell’economia circolare, attraverso le agevolazioni previste nel decreto Crescita del 2019, è stato firmato dal Ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli.

Con questa misura, spiega il Mise in un comunicato, si sostiene la ricerca, lo sviluppo e la sperimentazione di soluzioni innovative e sostenibili, al fine di promuovere la riconversione delle attività produttive verso un modello di economia circolare in cui il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse abbia una maggiore durata e la produzione di rifiuti sia ridotta al minimo.

Il decreto interviene con 150 milioni di euro per la concessione dei finanziamenti agevolati a valere sulle risorse del fondo FRI e con 60 milioni di euro per la concessione dei contributi alla spesa a valere sul Fondo sviluppo e coesione e sul Fondo per la crescita sostenibile. Sono previste due riserve, ognuna pari a circa la metà degli stanziamenti: una per i progetti delle imprese di piccole e medie dimensioni e delle reti di imprese nell’intero territorio nazionale ed una destinata esclusivamente ai progetti da realizzare nel Mezzogiorno. Ma di che interventi si tratta? Leggendo gli articoli del decreto pubblicato in Gazzetta si scopre che si parla ad esempio di 1) innovazioni di prodotto e di processo in tema di utilizzo efficiente delle risorse e di trattamento e trasformazione dei rifiuti, compreso il riuso dei materiali in un’ottica di economia circolare o a «rifiutozero» e di compatibilità ambientale (innovazioni eco-compatibili); 2) progettazione e sperimentazione prototipale di modelli tecnologici integrati finalizzati al rafforzamento dei percorsi di simbiosi industriale, attraverso, ad esempio, la definizione di un approccio sistemico alla riduzione, riciclo e riuso degli scarti alimentari, allo sviluppo di sistemi di ciclo integrato delle acque e al riciclo delle materie prime; 3) sistemi, strumenti e metodologie per lo sviluppo delle tecnologie per la fornitura, l’uso razionale e la sanificazione dell’acqua; 4) strumenti tecnologici innovativi in grado di aumentare il tempo di vita dei prodotti e di efficientare il ciclo produttivo; 5) sperimentazione di nuovi modelli di packaging intelligente (smart packaging) che prevedano anche l’utilizzo di materiali recuperati; 5 -bis ) sistemi di selezione del materiale multileggero, al fine di aumentare le quote di recupero e di riciclo di materiali piccoli e leggeri.

Che dire, se si pensa che 10 anni fa quando parlavamo di obsolescenza programmata eravamo presi per complottisti, almeno nel linguaggio e nelle idee le cose sono cambiate tantissimo. Disgraziatamente, però, il fattore tempo non è stato molto preso in considerazione e gli incentivi per direzionare il mercato – che anche noi abbiamo per anni reclamato da queste colonne – è assai probabile che non siano abbastanza per uno sviluppo davvero sostenibile.

Oggi ciò che servirebbe, come minimo in affiancamento a questa iniziativa, è ciò che ha proposto l’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi: “Per avere un’economia circolare deve diventare abituale e generalizzato, sempre, in ogni condizione di mercato, il reimpiego, nella fabbricazione dei prodotti, dei materiali che derivano dal riciclo dei rifiuti che questi generano a fine vita. Per arrivare a questo risultato è necessario, o comunque molto utile, introdurre l’obbligo per i produttori di utilizzare almeno una quota di materiali riciclati nella fabbricazione dei loro prodotti. Si dovrebbe partire con quote minime,  differenziate per i vari prodotti, perché all’obbligo corrisponda una sufficiente disponibilità di materiali da riciclo e possibilità tecniche di riutilizzarli, senza costi eccessivi”.

Gli incentivi, insomma, vanno bene, ma oggi servono anche obblighi. Un esempio valga su tutti, la base normativa per il Gpp, ovvero la percentuale di acquisti verdi che le amministrazioni pubblichi dovrebbero fare, ci sarebbe già ma – visto anche che non ci sono sanzioni – viene sostanzialmente disattesa.