Fra le prime cause i cercatori d’oro e le attività di disboscamento
Covid-19, tra gli indigeni dell’Amazzonia brasiliana la mortalità è più alta del 150%
I decessi sono aumentati di 9 volte fra il 1° maggio e il 15 giugno, indicando un trend in forte progressione
Brasile: i tassi di mortalità da Covid-19 fra i popoli indigeni più alti del 150% rispetto al resto della popolazione. Questo dato, insieme ad altre informazioni molto allarmanti, sono contenute in uno studio realizzato dal Coordinamento delle organizzazioni indigene dell’Amazzonia brasiliana (Coiab) e dall’Istituto di ricerca ambientale dell’Amazzonia (Ipam).
Lo studio, afferma la Coiab, è stata prodotto per orientare le politiche pubbliche in materia di diritto alla salute e di risposta all’emergenza Covid-19 perché rispondano agli effettivi bisogni delle popolazioni indigene. E per chiedere con forza che questa risposta – finora assente o insufficiente – sia urgente ed efficace, di fronte a numeri che dimostrano che il rischio di etnocidio più volte denunciato è davvero in atto.
In base ad una proiezione sui dati dell’ultimo censimento del 2012, lo studio calcola in 483.000 il numero totale delle persone appartenenti ai 180 popoli indigeni dell’Amazzonia brasiliana. Sono 3662 quelle che hanno contratto il virus, con un tasso di contagio quasi doppio rispetto al resto della popolazione (+85%). Il numero dei decessi confermati è di 249, con un tasso di mortalità superiore del 150% della media nazionale. A destare allarme e preoccupazione è che i decessi sono aumentati di 9 volte fra il 1° maggio e il 15 giugno, indicando un trend in forte progressione.
Fra le prime cause di questo costante aggravamento della pandemia fra le popolazioni indigene, lo studio pone l’indice in primo luogo sull’aumento dei “vettori di contaminazione esterna”, i cercatori d’oro, le attività di disboscamento che non sono mai cessate ma al contrario stanno aumentando, gli stessi agenti sanitari che si avvicinano alle persone senza essere stati dotati dei necessari dispositivi di protezione. In secondo luogo, il cattivo stato del sistema di assistenza sanitaria primaria nei territori indigeni, che dovrebbe fornire una capacità di prevenzione e di cura capillare, adeguata al contesto, ma che di fatto non sta funzionando.
Lo studio analizza in profondità questi problemi, insieme alla minaccia forse più grave che incombe sui diritti delle comunità indigene ai tempi del Covid-19: la volontà del governo Bolsonaro di rivedere tutto il processo di demarcazione delle loro terre per favorire l’ingresso dell’agrobusiness, delle attività minerarie, dei grandi speculatori e accaparratori.
Di fronte a tutto questo, a conclusione del seminario di presentazione dello studio, i popoli indigeni hanno lanciano questo messaggio a tutti noi, per bocca dei loro rappresentanti:
“Noi indigeni vogliamo vivere. Ci definiscono minoranza ma noi non ci siamo mai sentiti minoranza. Abbiamo cultura, vite.. Ogni morto è togliere un pezzo di conoscenza dal territorio. Proteggere il territorio, la foresta e l´acqua. Conoscere la realtà indigena. A volto sentiamo parlare di noi in modo colorato, folclorico. Vogliamo dignità. Il Covid-19 porta alla luce molte violenza che già soffrivamo. Esclusioni alle quali stiamo resistendo da molto tempo. Esistiamo e vogliamo essere riconosciuti”.