Il ministro Costa ha annunciato che il recepimento sarà cosa fatta entro l’estate
Economia circolare, con le direttive Ue l’Italia dovrà dotarsi di un “Programma nazionale rifiuti”
Dopo (massimo) 18 mesi dovrà esserci il Piano nazionale per individuare gli impianti necessari a chiudere il cerchio
[29 Giugno 2020]
“Entro luglio approveremo il decreto legislativo sul pacchetto economia circolare che diventerà norma dello Stato”: lo ha annunciato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa durante la maratona (7 ore) “Green Deal per l’Italia”, organizzata dalla organizzata dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile in streaming su Raiplay. Il ministro ha aggiunto che nel fondo di coesione sono stati stanziati 4 miliardi di euro per il dissesto idrogeologico e ha sottolineato che “il taglio al 40% entro il 2030 del ‘cosiddetto’ fossile non è più in linea con l’ accordo di Parigi” e “ragionevolmente” si potrà arrivare ad un taglio del 55%”, riferendosi agli obiettivi climatici per la riduzione delle emissioni di gas serra al 2030 rispetto al 1990 (l’obiettivo attualmente inserito dal Governo nel Pniec si ferma attorno al 37%).
Il governo italiano quindi conferma di voler andare avanti con celerità sul recepimento pacchetto di direttive Ue in merito all’economia circolare, ed è una buona notizia. Tra i principali obiettivi previsti dalle direttive Ue approvate nel 2018 rientra l’obiettivo di portare il riciclo dei rifiuti urbani ad almeno il 55% entro il 2025, al 60% entro il 2030 e al 65% entro il 2035. In parallelo, è prevista la diminuzione dell’uso delle discariche, che entro il 2035 dovrà essere inferiore al 10%. Il rimanente 25%, dunque, dovrà essere coperto tramite recupero energetico degli scarti.
Per poter davvero centrare questi obiettivi, ci aiuta comprendere la portata della cosa – ovvero il recepimento delle direttive Ue da parte dell’Italia – il laboratorio Ref Ricerche che ha pubblicato in un’analisi di cui abbiamo già dato alcuni cenni.
Come ricorda il Ref – e come chiedono da anni le imprese di settore riunite in Utilitalia e Assoambiente – in molti in Italia auspicano una regia nazionale per il ciclo dei rifiuti, in grado cioè di delineare una strategia, codificata in obiettivi intermedi e di lungo termine, declinata per livello di governo e in piani di azione. Come avviene ad esempio per la Strategia energetica nazionale (Sen). I recenti avvenimenti, legati alla diffusione dell’epidemia di Covid-19, hanno mostrato come la gestione dei rifiuti è un ambito strategico, ove non è più possibile fare affidamento sulle esportazioni, un servizio essenziale la cui continuità non può essere messa a repentaglio.
Ma qui arrivano subito le prime (e note) importanti criticità: le carenze impiantistiche che rendono il settore esposto al ripetersi di episodi emergenziali – spiega il Ref – il desiderio di traguardare gli obiettivi sfidanti di riciclaggio e riduzione dello smaltimento in discarica nei prossimi anni, l’esigenza di governare la transizione ecologica, sono tutti elementi che rafforzano la necessità di un indirizzo e di un sostegno centrale, oltre che di un rinforzo alla “cinghia di trasmissione” che dal centro arriva nei territori e che passa anche per il completamento della governance e la piena operatività degli Enti di governo degli Ambiti.
Ed è per questo che attraverso il recepimento delle direttive Ue sull’economia circolare viene ribadita l’essenzialità di una strategia nazionale che costituisca “la cornice di riferimento entro cui collocare le azioni e gli interventi necessari ad assicurare lo sviluppo industriale, coerentemente con il raggiungimento degli obiettivi ambientali”. Ovvero, un “Programma nazionale rifiuti”. Il provvedimento indica che “il ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare (Mattm), con il supporto dell’Ispra, è tenuto a predisporre un Programma nazionale per la gestione dei rifiuti entro 18 mesi dall’entrata in vigore della norma”. Quindi se la norma entrerà in vigore dopo l’estate, entro il 2022 dovrà essere predisposto.
Nel dettaglio, tale Programma deve contenere: a. I dati sulla produzione dei rifiuti. b. La ricognizione impiantistica nazionale, per tipologia di impianti e regione. c. I criteri per la redazione di piani finalizzati alla riduzione, il riciclaggio, il recupero e l’ottimizzazione di alcuni flussi di rifiuto. d. I criteri per l’individuazione di distretti interregionali, che consentano la razionalizzazione degli impianti sulla base del principio di prossimità. e. Il grado di soddisfacimento degli obiettivi UE sulla gestione dei rifiuti, le politiche e gli obiettivi intermedi. f. L’individuazione dei flussi di rifiuto con difficoltà di smaltimento o possibilità di recupero, i relativi fabbisogni impiantistici da soddisfare. g. Un Piano nazionale di comunicazione e conoscenza ambientale. h. Un piano di gestione delle macerie e dei materiali derivanti dal crollo e demolizioni in caso di evento sismico.
Va poi segnalato che nel recepimento c’è un’altra importante modifica, che riguarda i rifiuti speciali. Al comma 3, lettera g) dell’Art.184, ove si elencano sommariamente i rifiuti speciali, “non si fa più menzione dei ‘rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti’, ovvero dei rifiuti di origine urbana che perdono la loro qualifica di urbani a seguito di operazioni di trattamento intermedio, per essere avviati a recupero energetico o a smaltimento”.
Tale disposizione – spiega il Ref – se da un lato accresce il grado di trasparenza e “responsabilizzazione” dei territori sulla necessità di assicurare l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi, dall’altro espone al rischio di emergenze rifiuti i territori mancanti degli impianti e che sino ad oggi hanno fatto affidamento sul mercato e sulle esportazioni verso altre regioni. Restringere la circolazione dei rifiuti derivanti da trattamento intermedio al solo territorio regionale, anche nei casi in cui l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi non è assicurata, da un lato appare coerente con il desiderio di responsabilizzare i territori, dall’altro rischia di condurre ad un “blocco” delle raccolte, per l’impossibilità di offrire ai rifiuti una destinazione finale.
Nelle regioni sprovviste di impianti di incenerimento – conclude il Ref – tale disposizione appare idonea a favorire un maggiore ricorso alla discarica, opzione certamente meno preferibile rispetto al recupero energetico dal punto di vista della gerarchia dei rifiuti.