Eppure l’Italia li sostiene con 17,7 miliardi di euro all’anno, alimentando la crisi climatica
Tagliare i sussidi ai combustibili fossili fa crescere Pil e lavoro: lo dice il Governo
Da dove iniziare per una riforma fiscale verde in grado di rilanciare il Paese nella crisi post-Covid? Basterebbe seguire le stime fornite dal ministero dell’Ambiente nel suo ultimo Catalogo
Il ministero dell’Ambiente ha pubblicato – in ritardo, secondo l’art. 68, L. n. 221/2015 avrebbe dovuto arrivare entro il 30 giugno 2019 – il terzo Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e dei sussidi ambientalmente favorevoli, con dati 2018. Al suo interno non ci sono buone notizie: i sussidi dannosi (Sad) vengono stimati in 19,7 miliardi di euro, e fra questi i sussidi alle fonti fossili pesano 17,7 miliardi di euro. Al computo si aggiungono i sussidi di incerta classificazione (8,6 miliardi di euro) e quelli ambientalmente favorevoli (Saf), pari a 15,3 miliardi di euro.
Questo significa che, paradossalmente, lo Stato impiega più risorse in attività che reputa dannose per l’ambiente rispetto a quelle ritenute sostenibili. E questo accade ogni anno. Sebbene i dati contenuti nelle tre edizioni dei cataloghi non siano direttamente comparabili, a causa delle stime man mano più precise condotte dal ministero dell’Ambiente, è un fatto che i vari report riportino dati in peggioramento: nell’arco del triennio analizzato i sussidi ambientalmente dannosi appaiono cresciuti di oltre 1 miliardo di euro. In particolare per quelli indirizzati a sostenere le fonti fossili le stime si sono gonfiate di oltre di 1,6 miliardi di euro, il doppio rispetto al cambiamento registrato per i sussidi ambientalmente favorevoli.
Eppure la graduale eliminazione dei sussidi dannosi all’ambiente permetterebbe da un lato di dare un più corretto segnale di prezzo, evitando sia lo spreco delle limitate risorse pubbliche sia danni all’ambiente e alla salute umana; dall’altro permetterebbe al Paese di avere maggiori risorse da destinare alle politiche di inclusione sociale, di sostegno all’occupazione e ai redditi.
«La trasformazione in misure politiche e legislative è complessa – riassume il ministro dell’Ambiente Sergio Costa – gli interessi ambientali devono essere contemperati con gli interessi sociali ed economici. Pur tuttavia, le ragioni dell’ambiente non possono essere trascurate. Il Catalogo come sempre ha fini conoscitivi: ai politici la responsabilità di trarne le conclusioni e agire». Finora però non è stato fatto granché.
Dopo il suo insediamento a febbraio, agli inizi di maggio è tornata a riunirsi la Commissione interministeriale per la riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi in una riunione presieduta dallo stesso Costa, per il quale l’intervento sui Sad «dovrà essere graduale e progressivo, con l’obiettivo di guidare a partire da quest’anno la transizione ecologica dei settori interessati, agendo a saldo zero. I sussidi dannosi per l’ambiente dovranno essere sostituiti da misure economiche di supporto verdi, di pari entità, che andranno a compensare i precedenti aiuti riconosciuti sia alle imprese sia alle famiglie, già provate dall’emergenza Covid-19».
Può funzionare? Nei fatti larga parte dei sussidi ambientalmente negativi è costituita da sconti fiscali: il più oneroso (circa 5 miliardi di euro) è il differenziale di accisa fra benzina e gasolio, cui seguono le esenzioni di accisa per i carburanti impiegati nel trasporto aereo e in quello marittimo, il rimborso dell’accisa sul gasolio a favore dell’autotrasporto merci e passeggeri, le agevolazioni per i carburanti impiegati in agricoltura, i permessi ETS assegnati gratuitamente, l’esenzione dell’accisa sull’energia elettrica per le piccole utenze domestiche.
Dunque un taglio dei Sad andrebbe a colpire le categorie che beneficiano di questi sussidi: occorre trovare un modo per coniugare i benefici ambientali con quelli sociali ed economici, altrimenti il rischio è quello di scatenare reazioni simili a quelle che in Francia hanno acceso la miccia alla rivolta dei Gilet gialli.
A ricomporre il quadro della situazione è lo stesso ministero dell’Ambiente, che in coda al Catalogo propone una valutazione macroeconomica dell’eliminazione dei sussidi per i combustibili fossili, prendendone in considerazione una fetta rilevante: circa 12 miliardi di euro, che ogni anno di fatto foraggiano la crisi climatica con fondi pubblici. Cosa accadrebbe all’economia italiana se decidessimo di cancellarli?
Per dare una risposta puntuale il ministero dell’Ambiente ha impiegato il modello d’analisi Ermes, sviluppato in collaborazione col dicastero dell’Economia. Sono tre gli scenari simulati: lo scenario A, in cui la rimozione dei sussidi alle fonti fossili comporta solo una riduzione della spesa pubblica; lo scenario B, in cui le entrate derivanti dalla rimozione sono utilizzate in misura uguale per finanziare per aumentare gli attuali risparmi di bilancio, per sovvenzionare le fonti rinnovabili e per migliorare l’efficienza energetica del settore industriale; lo scenario C, in cui i risparmi del governo vengono riciclati in un’unica soluzione per ridurre il cosiddetto cuneo fiscale del lavoro “qualificato”.
I risultati della simulazione sono incoraggianti: in tutti gli scenari, le emissioni di gas serra nazionali si riducono in modo significativo a causa della riduzione o ristrutturazione della spesa pubblica a sostegno delle fonti fossili. E se lo scenario A porta a una riduzione del Pil bassa ma significativa (-0,58%), nel B e nel C dove i risparmi di bilancio vengono usati per favorire i risultati dell’attività economica si registra un aumento del Pil dello 0,82% e 1,60% rispettivamente.
Risultati stellari visto lo stato dell’arte, con il Pil nazionale che è cresciuto dello 0,3% appena nel 2019: tagliando i sussidi ai combustibili fossili potrebbe aumentare oltre il quintuplo. E i risultati sul mondo del lavoro sarebbero ancora più positivi: anche in questo caso lo scenario A prevede un piccolo calo, mentre nel B e nel C i risultati mostrano che l’occupazione aumenterebbe del 2,3% e del 4,2%. Una manna, vista la crisi da Covid-19 che rimane ancora tutta da affrontare; in queste settimane in cui sta tornando nel vivo l’ipotesi di una riforma fiscale, converrebbe pensare di iniziare da qui.
Il testo di quest’articolo è stato redatto per “il manifesto”, con cui greenreport ha attiva una collaborazione editoriale