27 Paesi sull’orlo di crisi alimentari a causa del Covid-19
Fao e Wfp: esposti alla potenziale e peggiore crisi alimentare da decenni
[21 Luglio 2020]
Il nuovo rapporto “FAO-WFP early warning analysis of acute food insecurity hotspots” ha individuato «27 paesi in prima linea per le crisi alimentari che incombono in seguito al Covid-19, in quanto gli effetti della pandemia aggravano i fattori preesistenti della fame».
Fao e World food programme (Wfp) avvertono che «Nessuna regione del mondo ne è immune: Afghanistan e Bangladesh in Asia, Haiti e Venezuela in America centrale, Iraq, Libano, Sudan e Siria in Medio Oriente, Burkina Faso, Camerun, Liberia Mali, Niger, Nigeria, Mozambico, Sierra Leone e Zimbabwe in Africa» e il rapporto evidenzia che «Nei prossimi mesi questi paesi saranno ad alto rischio di un notevole peggioramento della sicurezza alimentare – che in alcuni casi è già in atto -, incluso l’aumento delle persone colpite da fame acuta».
Secondo il rapporto, in Afghanistan i prezzi dei prodotti alimentari sono aumentati fino al 20%, mentre la pandemia ha causato la riduzione dei redditi, perturbato le filiere di approvvigionamento alimentare e ridotto l’accesso agli input agricoli, al carburante e alla manodopera.
In Bangladesh l’impatto della crisi sull’economia è destinato a raddoppiare il tasso di povertà del paese, portandolo a oltre il 40%.
In Etiopia le strategie di mitigazione del COVID-19, che vanno ad aggiungersi alle recenti inondazioni e alle perdite di raccolto causate dalle locuste, porteranno probabilmente a una stagione secondaria “Belg” (giugno-luglio) inferiore alla media.
Ad Haiti le conseguenze del Covid-19 si sommano alle scarse e irregolari precipitazioni durante la stagione delle piogge appena terminata, con probabili cali della produzione agricola e conseguenti perdite di raccolto per il secondo anno consecutivo.
In Sierra Leone i prezzi delle principali derrate alimentari sono già saliti ben oltre la media nel lungo periodo e la potenziale riduzione della produzione agricola nazionale, viste le previsioni di precipitazioni al di sotto della media per la prossima stagione, potrebbe portare a ulteriori aumenti dei prezzi dei prodotti alimentari.
In Somalia le sfide del Covid-19, unite alle recenti inondazioni e invasioni di locuste, dovrebbero ridurre del 20-30% la produzione nella principale stagione di raccolto (“Gu”), prevista a luglio. Le esportazioni di bestiame – che incidono in modo massiccio sull’economia – hanno già subito un calo del 20% e un’ulteriore riduzione del 30-50% è prevista a causa della riduzione della domanda da parte dell’Arabia Saudita, in seguito all’annullamento del pellegrinaggio nel periodo del Ramadan. Rispetto all’anno scorso il numero di persone esposte a fame acuta in Somalia dovrebbe triplicare.
Nello Yemen, che già sta vivendo la più grande crisi alimentare e umanitaria del mondo, in alcune regioni da aprile si è registrato l’incremento del 35% dei prezzi dei prodotti alimentari.
Lo Zimbabwe è già provato da una delle stagioni più aride mai viste, che ha causato notevoli carenze di cereali per il secondo anno consecutivo. L’impatto economico della pandemia vede già un ulteriore deprezzamento della valuta e inflazione (da maggio 2020 l’inflazione alimentare è al 953,5%, in aumento rispetto al 685% registrato a gennaio 2020).
il direttore generale della Fao Qu Dongyu ricorda che «Questi Paesi erano già alle prese con alti livelli di insicurezza alimentare e fame acuta già prima del Covid-19 a causa di crisi preesistenti – recessione economica, instabilità e insicurezza, eventi climatici estremi, parassiti delle piante ed epizoozie. Ora sono in prima linea e sopportano il peso dell’impatto dirompente del COVID-19 sui sistemi alimentari, che sta alimentando la crisi alimentare all’interno della crisi sanitaria. Non dobbiamo considerarlo un rischio che prima o poi si presenterà: è un problema che non possiamo rimandare a domani. E’ necessario fare di più per tutelare i sistemi alimentari e le popolazioni vulnerabili e dobbiamo intervenire subito».
Fao e Wfp hanno individuato quattro modalità principali con cui il Covid-19 sta spingendo le persone verso la fame più profonda: « Perdere il posto di lavoro e il salario significa avere meno soldi da spendere per sfamare le famiglie o, per chi lavora all’estero, da inviare come rimesse ai parenti nei paesi esposti a insicurezza alimentare. Al contempo, i prezzi dei prodotti alimentari sono in rialzo in molti paesi critici, il che ostacola l’accesso al cibo. La serie di interruzioni associate alle necessarie contromisure sanitarie dovute alla pandemia stanno inoltre avendo conseguenze notevoli e crescenti sulle filiere alimentari. Il crollo delle entrate statali significa che le reti di sicurezza essenziali, come i programmi di protezione sociale e alimentazione scolastica, sono sottofinanziate e non sono in grado di rispondere alle esigenze crescenti. La pandemia potrebbe inoltre contribuire all’instabilità politica e inasprire i conflitti tra le comunità per le risorse naturali come l’acqua, i pascoli e le rotte migratorie, il che perturba ulteriormente la produzione agricola e i mercati».
I dati emersi dalle indagini che la Fao sta svolgendo nei Paesi in crisi alimentare confermano l’analisi del rapporto e indicano che «La produzione alimentare si sta rivelando una sfida seria. Gli agricoltori intervistati segnalano numerose difficoltà nell’accesso alle sementi, con conseguenti riduzioni della semina. Ad Haiti il 90% degli intervistati prevede una notevole diminuzione della produzione cerealicola. In Colombia oltre la metà degli allevatori intervistati lamenta difficoltà nell’accesso ai mangimi, mentre nel Sud Sudan due terzi degli intervistati affermano di avere difficoltà ad accedere all’assistenza veterinaria. Questa dinamica porterà probabilmente a un circolo vizioso: calo della produzione, minori opportunità di lavoro in agricoltura e aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, il che comporterà l’adozione di strategie negative per far fronte alla situazione e l’ulteriore deterioramento della sicurezza alimentare e nutrizionale».
Nel tentativo di contrastare questi trend emergenti e una colossale catastrofe , la Fao ha pubblicato l’appello rivisto per 428,5 milioni di dollari nell’ambito del Global Humanitarian Response Plan for COVID-19 del sistema dell’Onu, che affronta le crescenti esigenze del settore agroalimentare, concentrandosi sull’assistenza urgente per la salvaguardia dei mezzi di sussistenza e il mantenimento delle filiere alimentari per far sì che le persone più vulnerabili possano accedere e produrre alimenti essenziali e nutrienti, nonché sulla raccolta e l’analisi dei dati per intervenire in modo mirato.
Secondo la Fao «Rispondere alle sfide richiede interventi urgenti e su larga scala. Le principali stagioni agricole, i movimenti di bestiame per il pascolo e l’acqua, il raccolto, la trasformazione e lo stoccaggio degli alimenti non sono attività che possono essere messe in pausa». Qu Dongyu ha sottolineato che «Se interveniamo subito e su larga scala, possiamo mantenere il maggior numero possibile di persone alla produzione del cibo, tutelando i loro mezzi di sussistenza e riducendo il bisogno di assistenza alimentare umanitaria, al tempo stesso gettando le basi per una ripresa efficace. Non è troppo tardi per scongiurare la peggiore crisi alimentare da decenni».
Sempre in risposta alle crescenti esigenze umanitarie nel settore agroalimentare, la scorsa settimana il Consiglio della Fao ha approvato la proposta del direttore generale di istituire un nuovo Ufficio per la resilienza e le emergenze, che mira a espandere notevolmente le capacità dell’Organizzazione nel rispondere alle crisi umanitarie e tutelare i mezzi di sussistenza per salvare vite.