Un’inattesa vittima del cambiamento climatico: il nostro antico passato

Molti siti preistorici potrebbero essere cancellati dal riscaldamento globale

[6 Agosto 2020]

La palude di Ageröd a Skåne, in Svezia, per 9000 anni, ha conservato un insediamento dell’età della pietra, ma ora lo studio “Human encroachment, climate change and the loss of our archaeological organic cultural heritage: Accelerated bone deterioration at Ageröd, a revisited Scandinavian Mesolithic key-site in despair”, pubblicato su PLOS ONE dimostra che è quel sito presistorico è stato quasi spazzato via per una causa inattesa.

Gli autori dello studio, Adam Boethius della Lunds universitet, Mathilda Kjällquist e Ola Magnell di Arkeologerna, Statens historiska museer e Jan Apel della Stockholms universitet, dicono che «Il problema è allarmante e si estende ben oltre l’Ageröd di Skåne: tra 20 anni, gran parte della nostra storia culturale più antica scomparirà a causa dei cambiamenti climatici e di altri impatti umani».

I primi scavi archeologici ad Ageröd furono fatti negli anni ’40 e allora gli archeologi di Lund scoprirono un grande insediamento dell’età della pietra, risalente a circa 8700 – 8200 anni fa. Nella torbiera, grazie all’assenza di ossigeno, vennero trovati molti materiali organici ben conservati come ossa, corna e strumenti di legno. Reperti che si sono rivelati importanti per studiare l’età della pietra nella Scandinavia meridionale.

Quasi 9.000 anni fa, nel mesolitico, nell’insediamento lungo le rive di un lago poco profondo vicino all’estremità meridionale della Svezia vivevano esseri umani che nel corso dei successivi 500 anni hanno lasciato dietro di sé decine di manufatti in osso, corna, legno e pietra focaia, oltre a resina e gusci, semi e nocciole. Molti di questi oggetti sono rimasti intrappolati nella torbiera che ha gradualmente sostituito l’antico il lago.

Quando negli anni ’70 vennero fatti nuovi scavi, si notò che lo spessore dello strato della torbiera era diminuito. Dopo che i lavori furono completati, il sito fu nuovamente ricoperto, in conformità con la legislazione e le pratiche sia svedesi che europee, che si basano sul fatto che i monumenti antichi possono essere conservati nel loro ambiente originale, cioè sottoterra.

Ma ora i ricercatori svedesi hanno dimostrato che non è più così: nel 2019 hanno fatto un nuovo scavo ad Ageröd per vedere come l’acidificazione, gli scavi e il cambiamento climatico abbiano influenzato i reperti organici antichi. Alla Lunds universitet spiegano che, per determinare il grado di resilienza e la velocità di degrado dei reperti, ad Ageröd nel 2019 sono stati fatti 5 piccoli pozzi che hanno consentito di recuperare 61 frammenti di ossa che sono stati identificati a livello di famiglia o specie e poi confrontati 3.716 pezzi di osso trovati negli scavi precedenti  e  Boethius dice che «E’ stato spaventoso vedere che questi resti, che sono stati al sicuro e protetti per 9000 anni, in pochi decenni sono passati dall’essere ben conservati alle condizioni in cui si trovano oggi, cioè, completamente o ben avviati all’estinzione».

E su PLOS ONE  i ricercatori scrivono che «La finestra di opportunità per ottenere informazioni dai resti organici archeologici di Ageröd si sta rapidamente chiudendo».  Lo scavo del 2019 ha rivelato la presenza di poche ossa di piccoli mammiferi e nessuna di uccelli, sebbene entrambi i gruppi siano rappresentati tra i reperti più vecchi: i frammenti più piccoli del passato scompaiono per primi. Molte ossa di animali più grandi, soprattutto ungulati o altri quadrupedi, sono state trovate in tutte le stratificazioni della torbiera, ma erano in condizioni peggiori di quelle recuperate in precedenza. I ricercatori hanno identificato gli agenti atmosferici  che hanno portato al deterioramento delle ossa nei diversi scavi e, dato che il disfacimento delle ossa nello scavo del  2019 era così esteso, per descriverlo hanno dovuto creare un sistema di classificazione aggiuntivo. «Le ossa peggio conservate degli anni ’40 sono paragonabili approssimativamente alle ossa meglio conservate degli anni ’70 e le ossa peggiori degli anni ’70 sono paragonabili alle ossa meglio conservate del 2019. Il decadimento accelerato è evidente anche solo da una rapida occhiata alle ossa» dicono gli scienziati svedesi.

Ageröd è un sito piuttosto isolato e i ricercatori ritengono che l’impatto sull’uomo sia stato inferiore a quello di molti altri siti, che quindi potrebbero essere in condizioni ancora peggiori. Su Anthropocene, Sarah DeWeerdt spiega che le fosse scavate nella seconda metà del 900 dagli agricoltori per drenare la palude hanno contribuito in qualche modo ad prosciugarne gli strati superiori e ad avviare il processo di decomposizione, ma oltre questi lavori di scarso impatto l’area ha visto pochi altri interventi antropici e. come scrivono i ricercatori, «Negli ultimi 75 anni non è successo nulla di speciale al sito di Ageröd perché il  deterioramento mettesse radici e accelerasse».

Quello che hanno scoperto implica che al lavoro ci siano forze più grandi e la principale è probabilmente il cambiamento climatico, che si traduce in estati più calde, siccità, fluttuazioni più grandi del normale nelle acque sotterranee e essiccazione del suolo. Anche le piogge acide possono aver contribuito al deterioramento dei reperti trovati nella palude. «La probabilità che, con i cambiamenti climatici, la siccità diventi più frequente e grave solleva seri interrogativi sulle condizioni di conservazione di zone umide simili nel Nord Europa – si legge su PLOS ONE – Quel che sta accadendo ad Ageröd sta probabilmente accadendo anche altrove».

Boethius ricorda che «Questi luoghi non sono importanti solo perché raccontano qualcosa della nostra storia culturale. I resti organici costituiscono anche un prezioso archivio climatico e ambientale nel quale è possibile leggere e apportare cambiamenti nel tempo in relazione ai diversi tipi di impatto umano, e sulla base di questo fare previsioni per il futuro».

Secondo i ricercatori svedesi, molti degli antichi reperti di Ageröd saranno completamente scomparsi entro 10 – 20 anni: «Se vogliamo salvarli in tempo – sottolinea Boethius – è estremamente urgente fare qualcosa. Una volta sparito, quel che andrà perso lo sarà per sempre. Questo sta accadendo mentre con nuovi metodi scientifici archeologici, come il DNA antico e le analisi degli isotopi, oggi abbiamo nuove opportunità per estrarre molte più conoscenze dai resti archeologici, come quelle sulla migrazione, parentele, dieta e altro ancora».

La scomparsa di questi antichi reperti preistorici appresenterebbe la perdita di qualcosa di più di una semplice curiosità storica: «Il dato che viene distrutto è anche un database prospettico a lungo termine che, se usato correttamente, può aiutarci a creare modelli di scenari ambientali futuri» evidenziano i ricercatori.

Il Mesolitico, che iniziò alla fine dell’ultima era glaciale, fu un periodo di rapido riscaldamento climatico e quando gli esseri umani cominciarono a esercitare un’influenza sempre maggiore sul loro ambiente, «Sapere come le culture del passato hanno reagito a tali cambiamenti potrebbe essere una parte chiave del nostro futuro», sostengono gli scienziati.

I ricercatori svedesi non pensano che tutto sia perduto e concludono: «Un primo passo da fare è che ci deve essere la consapevolezza che i resti antichi stanno per scomparire. Quindi la società deve prendere una posizione sulle leggi e sulla protezione dei nostri monumenti antichi e su quali saranno le conseguenze se si consentirà che questa parte del nostro patrimonio scompaia senza che vengano fatti sforzi per salvarla».