Cosa rende efficaci le misure di controllo della fauna selvatica?

Cosa rende efficaci le misure di controllo della fauna selvatica?

[22 Settembre 2020]

Gli impatti degli ungulati selvatici rappresentano un problema significativo ormai in tutto il mondo e il nuovo  studio “The scale-dependent effectiveness of wildlife management: A case study on British deer”, pubblicato sul Journal of Environmental Management, da Niccolò Fattorini e Sandro Lovari dell’università di Siena, Peter Watson (Harper Adams University) e Rory Putman (università di Glasgow), entrambi della British Deer Society, ha sviluppato una metodologia indiretta per verificare l’efficacia della gestione faunistica esplorando la validità dei piani di controllo di quattro specie di cervi a diverse scale spaziali.

Lovari evidenzia che «Lo studio concerne la verifica se il controllo sugli erbivori risulti efficace ed a quali scale spaziali, diverse specie per specie: un tentativo che non ci risulta sia mai stato fatto e che probabilmente ci ha fatto accettare la pubblicazione del lavoro su una rivista dall’Impact Factor così elevato».

I ricercatori spiegano che «La necessità di attuare piani di controllo efficaci per gli ungulati selvatici è essenziale per la coesistenza della fauna con le attività umane. A titolo di esempio, il recente esubero di fauna selvatica durante il lock-down disposto per l’emergenza Covid-19, anche da parte di specie invadenti le aree urbane, evidenzia ulteriormente la necessità di sviluppare adeguate tecniche di controllo faunistico, nonché di verificarne l’efficacia».

Dallo studio emerge che «Per specie di piccola corporatura e relativamente sedentarie (capriolo Capreolus capreolus; Muntjac di  Reeves Muntiacus reevesi), è possibile ottenere riduzioni degli impatti all’interno dei boschi mediante l’abbattimento a livello immediatamente locale, ma con un aumento della scala spaziale di abbattimento fino a un raggio di circa 30-70 km. Per le specie di corporatura più grande con habitat più estesi (daini Dama dama; cervo nobile Cervus elaphus) la gestione per la riduzione degli impatti boschivi è stata realmente efficace solo se coordinata al di sopra della scala unica del bosco, con marcati aumenti mostrati nuovamente fino a una scala di un raggio di 100 km».

Lo studio dimostra «come la gestione di specie a maggiore mobilità risulti efficace solo se coordinata attraverso aree di elevata estensione», evidenziando che «Per ogni particolare specie di ungulato, l’efficacia della gestione dipenda dalla scala spaziale a cui questa viene condotta, che a sua volta dovrebbe dipendere dall’organizzazione sociale di quella specie».

Il team di ricercatori italiani e britannici  sottolinea che «Nella migliore delle ipotesi, la dimensione ottimale dei distretti di caccia viene calibrata sulla base dei movimenti delle popolazioni animali soggette al controllo; più spesso, però, i distretti riflettono semplicemente i confini di aree amministrative, senza alcun significato biologico. Nel nostro studio abbiamo proposto un approccio per verificare a posteriori se la gestione risulti efficace e, in tal caso, quale sia la scala spaziale che permetta di ottenere la massima efficacia. Il nostro approccio può essere utilizzato – a seconda degli obiettivi e dei dati a disposizione – con diverse metriche di impatto o con stime numeriche di popolazioni, al fine di ottimizzare le decisioni gestionali».

Dallo studio emergono anche implicazioni etiche perché, «nei casi in cui la gestione applicata non si dimostri efficace, ci si dovrebbe chiedere se sia corretto (e utile) continuare ad applicare metodi di controllo letali».