Vertice sulla biodiversità Onu: nessuno Paese ha rispettato gli obiettivi di Aichi. Una roadmap per preservare la natura
Boris Johnson: entro il 2030 aree protette sul 30% del territorio del Regno Unito
[28 Settembre 2020]
La Agenzie Onu impegnate nella salvaguardia della natura chiedono di «Agire ora», in previsione del vertice sulla biodiversità che si terrà questa settimana, dove i leader mondiali riaffermeranno il loro impegno.
Elizabeth Mrema, segretaria esecutiva della Convention on biological diversity (CBD) ha detto che «Non abbiamo tempo da perdere. La perdita di biodiversità, la perdita della natura, è a un livello senza precedenti nella storia dell’umanità. Siamo la specie più pericolosa nella storia globale».
Nell’ambito della Cbd, nel 2010 i Paesi di tutto il mondo avevano accettato gli Aichi Biodiversity Targets, 20 obiettivi per preservare la biodiversità che vanno dalla conservazione delle specie alla riduzione della deforestazione entro il 2020. Gli obiettivi di Aichi sono per la biodiversità quel che l’Accordo di Parigi è per il riscaldamento globale. I paesi avevano tempo fino a quest’anno per raggiungere quegli obiettivi, per poi passare alla creazione di un quadro globale per la biodiversità post-2020. Ma all’Onu evidenziano che «nonostante alcuni progressi, gli obiettivi – che vanno dall’arresto dell’estinzione delle specie al taglio dell’inquinamento e alla conservazione delle foreste – non sono stati raggiunti».
La Mrema ha fatto notare che «Se si guardano alle schede di valutazione, come a una pagella scolastica, la più alta è inferiore al 30% dei progressi. Nessun obiettivo di Aichi sarà pienamente raggiunto, quindi presi da soli i 20 obiettivi in 10 anni, abbiamo fallito. Sono attualmente in corso colloqui per un nuovo quadro che si basi su questi “fallimenti senza quotazione”».
Il documento è ancora in una fase iniziale di revisione nell’ambito di consultazioni informali, ma deve essere pronto per l’adozione alla 15a Conferenza delle Parti della Cbd che si terrà in Cina in Cina nel 2021. E all’Uno sottolineano che «Una delle principali differenze tra gli obiettivi della biodiversità di Aichi e il quadro post-2020 sarà l’attuazione». Dopo Aichi, alcuni Paesi hanno dovuto creare strategie nazionali per agire sugli obiettivi, ora si tratta di attuarle.
La Mrema aggiunge: «Non stiamo chiedendo di reinventare la ruota, quindi in pratica l’implementazione dovrebbe essere in grado di iniziare immediatamente».
Il nuovo quadro comprenderà anche azioni come il trasferimento di tecnologia e lo sviluppo di capacità che ad Aichi non erano considerate priorità. Per dare slancio a questo nuovo modo di vivere con la natura, il presidente dell’Assemblea generale dell’ONU ha convocato per il 30 settembre il vertice sulla biodiversità, durante il quale i leader mondiali dovrebbero dichiarare gli impegni dei loro Paesi per la salvaguardia della natura e di per un quadro per la biodiversità post-2020.
Inger Andersen, direttrice esecutiva dell’United Nations envoromen programme (Unep) è convonta che «Non diranno: “Continueremo sulla strada della distruzione”. Diranno: “Andremo sulla strada della sostenibilità»- La Andersen ha aggiunto che «Proprio come nel movimento per il clima, e poi nel vertice sull’azione climatica, abbiamo visto che l’energia che i giovani portano dentro, all’aula, per strada, a tavola, a casa, in classe e infine la cabina elettorale. Questa è un’energia che vogliamo vedere anche per la natura e la biodiversità».
Poi ha evidenziato il ruolo dei popoli indigeni: «Difensori dell’ambiente, sostenitori della natura e detentori della conoscenza, la cui voce, all’Onu e altrove, è inarrestabile e critica».
Il biodiversity summit Onu vedrà la partecipazione anche del settore privato e metterà in evidenza che occorre incentivare più efficacemente un’agricoltura in linea con la conservazione della biodiversità.
La direttrice esecutiva dell’Unep ha ricordato che «Mangiamo tutti, quindi dobbiamo capire che mangiare è importante. Ma le nostre pratiche agricole devono cambiare in meglio, e questo significa che la grande agricoltura ha un elemento in più da mettere nella sua lista in termini di come la facciamo, e i politici hanno un elemento in più per aiutarli a cambiare».
Rivolta ai leader politici mondiali la Mrema ha detto: «E’ tempo di agire. E, quindi, i capi di Stato devono capire che quello che diranno ora avrà davvero importanza, perché le generazioni future li giudicheranno. Saremo i leader che hanno fatto resistenza e hanno lasciato che le specie e la natura scomparissero? In modo chei vostri nipoti o il mio non vedano quel magnifico animale o quell’incredibile fiore o l’esistenza stessa dell’ecosistema che ci sostiene? Non è una piccola cosa. E’ molto, molto grande, perché è il futuro della sicurezza alimentare, perché è il futuro della pace, perché è il futuro dell’umanità come noi lo intendiamo».
A cogliere per primo l’appello è stato il primo ministro conservatore britannico Boris Johnson che ha promesso che, entro il 2030, il 30% del Regno Unito sarà area protetta. Si tratta di altri 400.000 ettari di territorio protetto per sostenere il recupero della natura
Attualmengte i parchi nazionali, le areas of outstanding natural beauty e altre aree protette costituiscono il 26% del territorio inglese. Johnson ha detto che il suo governo aumenterà la quantità di terra protetta nell’intero Regno Unito al 30% entro il 2030. L’ambiente è però una questione della quale si occupano direttamente i governi autonomi di Scozia, Galles e l’Irlanda del Nord e il premier conservatore ha detto che si accorderà con loro, e con proprietari terrieri, per aumentare la quantità di terra protetta in tutto il Regno Unito.
Johnson firmerà il Leaders ‘Pledge for Nature, che comprende impegni per dare la priorità a una ripresa verde post-Covid-19, raggiungere obiettivi ambiziosi sulla biodiversità e aumentare i finanziamenti per la natura e ha anticipato che al summit Onu dirà che «I paesi devono trasformare le parole in azione e concordare obiettivi ambiziosi e vincolanti. Non possiamo permetterci esitazioni e ritardi perché la perdita di biodiversità sta avvenendo oggi e sta avvenendo a un ritmo spaventoso. Se le mettiamo sotto controllo, le conseguenze saranno catastrofiche per tutti noi. L’estinzione è per sempre, quindi la nostra azione deve essere immediata».
Gli ambientalisti britannici esultano, ma ricordano che la natura è al collasso e ha urgente bisogno di protezione poiché strade, ferrovie, abitazioni e terreni agricoli ricoprono la Terra e che circa la metà dei Sites of Special Scientific Interest del Regno Unito sono in cattive condizioni, molti per mancanza di fondi. Inoltre, le misure per proteggere la fauna selvatica nel progetto di legge sull’ambiente sono ferme alla Camera dei Comuni. Gli ambientalisti ricordano anche al super-liberista Johnson che se il Regno Unito vuole davvero prendere sul serio la natura, deve evitare accordi commerciali che danneggiano la fauna selvatica e impedire le importazioni di cibo che causano la distruzione ambientale negli altri Paesi, come l’allevamento di bestiame in Amazzonia.
Secondo Martin Harper, direttore conservazione globale della Royal Society for the Protection of Birds ha detto a BBC News che «L‘impegno del 30% potrebbe essere un enorme passo avanti verso la risoluzione della crisi che la nostra fauna selvatica sta affrontando. Tuttavia, gli obiettivi sulla carta non saranno sufficienti. Quelli impostati una decina di anni fa hanno fallito perché non sono stati supportati dall’azione. L’impegno deve essere inserito nella legislazione nazionale come parte di una serie di obiettivi per ripristinare l’abbondanza e la diversità della nostra fauna selvatica, in ogni Paese del Regno Unito».
Craig Bennett, amministratore delegato di The Wildlife Trusts, conclude: «E’ un buon inizio, ma per ripristinare la natura è necessario un livello molto più elevato di azione urgente, compreso il salvataggio di siti della fauna selvatica attualmente in declino. Molti parchi nazionali e areas of outstanding natural beauty sono stati gravemente impoveriti di fauna selvatica a causa del pascolo eccessivo, della cattiva gestione o di pratiche agricole intensive, mentre circa la metà dei siti di particolare interesse scientifico sono in cattive condizioni e patiscono un declino della fauna selvatica».