Boris Johnson: entro il 2030 l’eolico offshore alimenterà tutte le case del Regno Unito
Il premier britannico in difficoltà punta sul greeen, ma i 40 GW di eolico entro il 2030 li aveva già promessi
[7 Ottobre 2020]
Intervenendo alla conferenza virtuale del partito conservatore, il primo ministro britannico Boris Johnson ha annunciato un finanziamento da 160 milioni di sterline per adeguare poti e fabbriche per la costruzione di turbine e pale eoliche per fare in modo che il Regno Unito “ricostruisca più Green”.
Un piano che punta a creare 2.000 posti di lavoro diretti nel settore edile e supportarne altri 60.000. Il premier conservatore – in difficoltà nei sondaggi e all’interno del suo Partito – ha promesso che il Regno Unito diventerà «il leader mondiale nell’energia eolica pulita».
Johnson ha spiegato: «Grazie alle brezze che soffiano in queste isole, il vostro bollitore, la vostra lavatrice, la vostra cucina, il vostro riscaldamento, il vostro veicolo elettrico plug-in, tutti loro riceveranno il loro juice in modo pulito e senza che abbiate sensi di colpa».
Il premier britannico si era già impegnato al recente vertice sulla biodiversità all’Onu a proteggere la natura sul 30% del territorio e ora punta a far diventare il suo Paese l’Arabia saudita dell’eolico con grossi investimenti a cominciare dalla produzione di elettricità a Teesside e Humber nell’Inghilterra settentrionale e in altri siti in Scozia e Galles.
Johnson ha detto che il governo sta innalzando il suo obiettivo per l’energia eolica offshore entro il 2030 da 30 gigawatt a 40 gigawatt, ma in realtà si tratta della riproposizione della prima fase del già annunciato piano in 10 punti per una “green industrial revolution”, i cui dettagli dovrebbero essere rivelati entro la fine dell’anno, per «accelerare il nostro progresso verso le emissioni net zero entro il 2050».
E’ però significativo che, mentre la destra italiana ripiega sull’ecoscetticismo alla Trump, il capo dei conservatori britannici cerchi di recuperare consensi all’interno del suo partito e nella società andando in direzione diametralmente opposta: proponendo di ridurre drasticamente le emissioni di gas serra, di compensare quelle rimanenti e di mitigare e neutralizzare gli effetti del cambiamento climatico che stanno già duramente colpendo il Regno Unito.
Mentre Salvini e Meloni dicono di non sprecare gli euro del recovery fund nelle energie rinnovabili, Johnson ha detto alla conferenza dei Tory che è convinto che «Tra 10 anni, l’eolico offshore alimenterà ogni casa nel Paese. Lontano nelle acque più profonde raccoglieremo le raffiche e aggiornando le infrastrutture in luoghi come Teesside e Humber e la Scozia e il Galles, aumenteremo una capacità eolica offshore che è già la più grande del mondo» e ha aggiunto: «L’Arabia Saudita sta al petrolio come il Regno Unito sta al vento: un luogo di risorse quasi illimitate, ma nel caso del vento senza le emissioni di carbonio e senza danno per l’ambiente».
Una retorica politica ben accolta dall’industria delle energie rinnovabili ma, come fa notare anche BBC News, non c’è nulla di nuovo nell’obiettivo di 40 GW di eolico che era nel programma elettorale del Partito conservatore. Quello che è davvero importante è la promessa di investire molto denaro per sostenere l’industria eolica offshore in Scozia e nel nord dell’Inghilterra, creando anche posti di lavoro che sostituiranno quelli persi dall’industria petrolifera in crisi.
Un’altra novità è che Johnson ora è disposto a sostenere l’eolico offshore galleggiante, grandi parchi di pale o eoliche ancorati lontani dalle coste della Scozia occidentale, dove le condizioni meteo-marine sono difficili ma i venti sono forti e costanti.
Ma l’analista ambientale della BBC Roger Harrabin sottolinea che «I progressi nell’energia eolica sono epocali, ma non dovrebbero essere esagerati. Il Primo Ministro promette energia sufficiente per tutte le case del Regno Unito, ma bisogna ricordarsi che le case rappresentano solo un terzo della domanda di elettricità. Il resto viene dagli uffici e dalle fabbriche. E c’è ancora molta strada da fare prima che l’economia venga decarbonizzata».
E proprio ‘industria sta ora aspettando il Libro bianco sull’energia promesso dal governo e non ancora pubblicato e che dovrebbe stabilire davvero quale sarà la roadmap per l’eolico onshore, il solare e le ultime due soluzioni energetiche delle quali si è innamorato il primo ministro: l’idrogeno prodotto con l’energia eolica in eccesso e la contestatissima carbon capture and storage. Inoltre, il governo dovrà anche decidere come finanziare le nuove centrali nucleari che, secondo Johnson, sono indispensabili al mix energetico del Regno Unito ma che un recentissimo studio dell’università britannica del Sussex e dell’ISM tedesco dice che sono incompatibili con le energie rinnovabili e le emissioni net zero.
Il premier conservatore britannico ha anche confermato che il governo sta pensando di anticipare la data per l’eliminazione graduale delle nuove auto a benzina e diesel dal 2035 al 2030.
Il direttore esecutivo di Greenpeace Regno Unito, John Sauven, ha commentato: «Il riconoscimento del primo ministro che l’impegno del manifesto dei Tory dello scorso anno sull’eolico offshore può generare posti di lavoro, tagliando le bollette energetiche e il carbonio è un grande momento illuminante. Se portato avanti aiuterebbe a consolidare la leadership globale del Regno Unito in questa tecnologia chiave. Ma fornire 40 gigawatt di potenza alla rete entro il 2030 richiede un’azione in questo Parlamento». E nessuno sa se Johnson ce la farà a portare a termine la legislatura, sia perché la sua pessima gestione della pandemia di Covid-19 ha minato la fiducia dell’elettorato conservatore, sia perché cresce la fronda interna nei conservatori dei contrari alle misure anti-Covid. Inoltre i parlamentari Tory, fieramente liberali e neoliberisti, scalpitano contro le misure statali a sostegno dell’occupazione e l’indebitamento, tanto che il premier è stato costretto a giustificarsi: «Siamo stati costretti dalle circostanze a espandere il ruolo dello Stato e a limitare le libertà personali contro i nostri istinti e la nostra volontà. Crediamo che lo Stato debba farsi da parte e lasciare che il settore privato prenda l’iniziativa. Non dobbiamo trarre le conclusioni sbagliate da questa crisi».