Punti di non ritorno: il 40% della foresta pluviale amazzonica potrebbe diventare una savana
Una gran parte dell’Amazzonia si sta avvicinando al punto di non ritorno molto più velocemente di quanto si i pensasse in precedenza
[12 Ottobre 2020]
Le foreste pluviali sono molto sensibili ai cambiamenti che influenzano le precipitazioni per lunghi periodi e, se le precipitazioni scendono al di sotto di una certa soglia, possono trasformarsi in savane.
Arie Staal, ex ricercatore allo Stockholm Resilience Centre e ora al Copernicus Institute dell’università di Utrecht, principale autore dello studio “Hysteresis of tropical forests in the 21st century” pubblicato su Nature Communications, spiega che «In circa il 40% dell’Amazzonia, le piogge sono ora a un livello in cui la foresta potrebbe esistere in entrambi gli stati: foresta pluviale o savana».
Secondo il team di ricercatori svedesi e olandesi, si tratta di conclusioni preoccupanti perché già oggi grandi aree della regione amazzonica stanno ricevendo meno piogge del passato e «questa tendenza dovrebbe peggiorare con il riscaldamento della regione a causa dell’aumento delle emissioni di gas serra».
Lo studio ha analizzato solo gli impatti del cambiamento climatico sulle foreste tropicali. Non ha valutato lo stress aggiuntivo della deforestazione nei tropici a causa dell’espansione agricola e del disboscamento. Il team guidato da Staaal si è concentrato sulla stabilità delle foreste pluviali tropicali nelle Americhe, Africa, Asia e Oceani e ne ha valutato la resilienza rispondendo a due domande: se tutte le foreste tropicali scomparissero, dove ricrescerebbero? E cosa succederebbe, al contrario, se le foreste pluviali coprissero l’intera regione tropicale della Terra? I ricercatori simulato uno scenario senza foreste ai tropici in Africa, Americhe, Asia e Australia e nei loro modelli hanno visto le foreste emergere nel tempo. Questo ha permesso loro di valutare la copertura forestale minima per tutte le regioni. Poi i ricercatori hanno realizzato nuovi modelli che prevedevano un mondo in cui le foreste pluviali ricoprivano interamente le regioni tropicali della Terra. Ma avvertono che «Questo è uno scenario instabile perché in molti luoghi non ci sono abbastanza piogge per sostenere una foresta pluviale». E infatti, in molte aree, dai modelli è venuto fuori che le foreste si ridurrebbero a causa della mancanza di umidità. Come ultima cosa, i ricercatori hanno cercato di capire cosa succederà se in questo secolo le emissioni continueranno ad aumentare secondo lo scenario ad altissime emissioni dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc).
Obbe Tuinenburg, del Copernicus Institute dell’università di Utrecht, sottolinea che «Utilizzando gli ultimi dati atmosferici disponibili e modelli di teleconnessione, siamo stati in grado di simulare gli effetti sottovento della scomparsa delle foreste per tutte le foreste tropicali. Integrando queste analisi a tutti i tropici, è emerso il quadro della stabilità sistematica delle foreste tropicali».
Nel complesso, i ricercatori hanno scoperto che «Con l’aumento delle emissioni, sempre più parti dell’Amazzonia stanno perdendo la loro naturale capacità di recupero, diventano instabili e hanno maggiori probabilità di seccarsi e trasformarsi in un ecosistema tipo savana». Dallo studio emerge anche che nell’area si restringe anche la parte più resiliente della foresta pluviale.
Uno degli autori, Lan Wang-Erlandsson dello Stockholm Resilience Centre, spiega a sua volta che «Se, in uno scenario ad alte emissioni, rimuovessimo tutti gli alberi in Amazzonia, ricrescerebbe un’area molto più piccola di quanto sarebbe con il clima attuale»,
I ricercatori concludono che, in uno scenario ad alte emissioni, la più piccola area in grado di sostenere una foresta pluviale in Amazzonia si contrae di ben il 66%.
Nel bacino del Congo le cose potrebbero andare ancora peggio: la foresta pluviale è a rischio di cambiamento ovunque e, una volta scomparsa, non ricrescerebbe, Ma, anche in uno scenario ad alte emissioni, una parte della foresta pluviale congolese sarebbe meno incline di quella amazzonica a superare il punto di non ritorno. Wang-Erlandsson aggiunge però che «In questa zona, l’area in cui è possibile la ricrescita naturale delle foreste rimane relativamente piccola».
Gli scienziati hanno scoperto che l’estensione minima e massima delle foreste pluviali dell’Indonesia e della Malaysia sono relativamente stabili perché lì le precipitazioni dipendono più dall’oceano che le circonda che dalle piogge che si generano come risultato della copertura forestale.
Staal spiega ancora: «La dinamica delle foreste tropicali è interessante. Man mano che le foreste crescono e si diffondono in una regione, questo influisce sulle precipitazioni: le foreste creano la propria pioggia perché le foglie emettono vapore acqueo e questo ricade come pioggia sottovento. Pioggia significa meno incendi, il che porta persino a più foreste. Le nostre simulazioni catturano questa dinamica. Mano a mano che le foreste si restringono, abbiamo meno precipitazioni sottovento e questo causa l’essiccazione che porta a più incendi e perdita di foreste: un circolo vizioso».
Un altro autore dello studio, Ingo Fetzer dello Stockholm Resilience Centre, conclude: «Ora comprendiamo che le foreste pluviali di tutti i continenti sono molto sensibili ai cambiamenti globali e possono perdere rapidamente la loro capacità di adattamento. Una volta perse, il loro recupero richiederà molti decenni per tornare al loro stato originale. E dato che le foreste pluviali ospitano la maggior parte di tutte le specie globali, tutto questo andrà perduto per sempre».